Salute mentale in Italia, crisi della Sanità pubblica: servono 2 miliardi di euro

Cosa fa il nostro Paese per garantire sostegno sul fronte della salute mentale? Decisamente poco. Ecco la condizione attuale

Pubblicato: 10 Ottobre 2024 12:07

Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Quando si parla di salute mentale in Italia si tocca sempre un tasto dolente. Analizzando la nostra società, è evidente come il tema sia ancora un taboo. Per quanto le nuove generazioni lottino per “normalizzare” il prendersi cura di sé, internamente quanto fisicamente, si tratta ancora di una bella montagna da scalare.

A ciò si aggiunge però una problematica ben più grave: le condizioni del nostro sistema sanitario. Il pubblico arranca e il privato tratta la salute mentale come una sorta di vizio per ricchi. L’ultima moda del momento, con una media di 70-80 euro per quattro sedute mensili. Cifra che in alcuni contesti può calare fino a 60 euro, spesso a patto di accettare il saldo in nero, con zero possibilità di eventuali sgravi fiscali, per chi ne ha diritto.

Una morsa che stringe pazienti e potenziali tali in una morsa. Nessuno dovrebbe scegliere tra la spesa e la propria salute mentale e, al tempo stesso, nessuno dovrebbe sottoporsi al tipo trattamento di molti centri pubblici, per come sono strutturati.

Salute mentale, la crisi italiana

Non giunge di certo come una novità il fatto che il settore medico in Italia sia in crisi. È una realtà ben nota, che pare spingerci in direzione di una versione ibrida tra il nostro sistema e quello statunitense. Il privato ha sempre più spazio, anche in ambito pubblico, e l’inflazione spinge i costi a carico dei cittadini verso le stelle.

Tendenzialmente, come Paese, siamo però propensi a dare precedenza ad altri disturbi sanitari, quelli fisici, evidenti e visibili. La salute mentale è importante, certo, ma lo è troppo spesso soltanto in termini teorici.

Se ne fa un gran parlare da anni, come se fosse un’assoluta novità post Covid, ma i numeri non migliorano. La situazione non è di fatto concretamente migliore rispetto a quando tutto ciò doveva rappresentare una vergogna e andare in terapia equivaleva a essere pazzi.

Il Collegio nazionale dei direttori dei dipartimenti di salute mentale sottolinea la necessità di almeno 2 miliardi di euro in più. Non una cifra per un sistema perfetto, sia chiaro. Una somma per dare decenza al settore, che richiede almeno un 30% in più in termini di personale. Parliamo dunque di 7.500 operatori, per essere chiari.

Nel documento si parla di quest’area come della “Cenerentola della sanità pubblica (…). Un fantasma nei lavori del G7 Salute”. A fronte di un crescente disagio psichico, la condizione di questo ambito pubblico non riesce neanche a essere stazionaria. I dati evidenziano infatti un peggioramento.

Centri di salute mentale, manca il personale

Mancanza di fondi e di professionisti, il che si traduce in un generale: abbiamo le strutture. Una condizione allarmante, a dir poco, in un Paese in cui, secondo il Report Gallup 2024, il 20% dei dipendenti riferisce di sentirsi solo ogni giorno.

Sguardo rivolto soprattutto ai giovani under 35, con percentuali più elevate, pari al 22%. Cifra che sale al 25% nel caso dei dipendenti che lavorano completamente da remoto. Evidente la differenza rispetto a quelli che lavorano in sede, con il 16% che riporta questo stato d’allerta.

E questi sono soltanto un po’ di numeri relativi al mondo lavorativo, che soddisfa e fa sentire realizzati gli italiani soltanto nell’8% dei casi. Ciò dovrebbe aiutare a comprendere qual è il quadro generale, che comprende anche chi non lavora e chi non studia, chi fa entrambe le cose e chi è unicamente dietro i banchi di scuola. Per non parlare di chi è impegnata/o a occuparsi di casa ed eventuali figli.

Giuseppe Ducci è il vicepresidente del Collegio nazionale dei direttori dei dipartimenti di salute mentale, oltre che direttore del Dipartimento della Asl Roma 1. Ecco il suo grido: “Chiediamo che almeno il 5% del Fondo Sanitario Nazionale e Regionale venga destinato alla salute mentale. La quota di spesa per l’assistenza psichiatrica, oggi è in calo in media al 2,5% del Fondo, pari a poco più di 3 miliardi e mezzo. Ciò rende l’Italia il fanalino di coda in Europa, tra i Paesi ad alto reddito.

Salute mentale nel pubblico, come funziona

L’Italia fatica a seguire i soggetti con patologie psichiatriche acclarate, come potrebbe mai garantire in ambito pubblico un adeguato sostegno a chi intende iniziare un percorso terapeutico “soltanto” per stare meglio con se stesso/a?

Semplicemente non è possibile, considerando la presenza di circa 25.000 operatori tra psichiatri, psicologi, infermieri ed educatori. Ciò si traduce in 55 per ogni 100mila abitanti. Rispetto a quanto prevedono gli standard recepiti in Conferenza Stato-Regioni, siamo al di sotto del 30%. Questa percentuale, qualora colmata, servirebbe a raggiungere un livello base accettabile, in alcuni casi anche buono, non di certo ottimo. Ciò per evidenziare quanto sia allarmante la situazione odierna.

Oggi sono più di 16 milioni gli italiani che lamentano un disagio mentale di livello medio grave. È evidente come oggi si abbia più propensione all’apertura sotto questo aspetto, ma ci si scontra sempre con l’esigenza di affidarsi al privato.

Ciò anche perché in molte realtà l’ambito pubblico non è soltanto poco finanziato e attrezzato, ma anche ricco di soggetti che svolgono il proprio ruolo come se fosse quello di un addetto allo sportello alle Poste.

In tanti si ritrovano nell’impossibilità di seguire un reale percorso, perché la figura medica di riferimento varia. Di volta in volta ci si ritrova a confrontarsi con una persona differente, ripartendo sempre dal punto 0 e venendo valutati principalmente in base a quanto riportato su un foglio di carta.

I centri di salute mentale come gli uffici bancari che valutano la concessione di un mutuo sulla base dei numeri prodotti da un computer. Come tutto ciò può classificarsi come aiuto psicologico? Come detto, il privato ha un costo elevato, pari a un affitto mensile, per non parlare di eventuali ricoveri in casi più gravi.

Si può arrivare a pagare quanto in una struttura alberghiera (200 euro al giorno è una cifra riscontrata in differenti strutture, ndr), e per una potenziale convenzione, che si traduce in un netto risparmio, occorre passare dal pubblico, lo stesso al quale in molti rifiutano di affidarsi (per non parlare della facilità con la quale alcuni soggetti, stressati da una condizione lavorativa malsana, prescrivono farmaci dall’impatto notevole dopo una singola e breve “visita” conoscitiva).

Tornando ai numeri, la crescita dei soggetti in cerca d’aiuto è pari a un +6% rispetto al 2022, con donne e giovani in vetta per ansia e depressione. È quanto evidenziato dall’analisi di Unicusano sulle difficoltà psicologiche più comuni in Italia:

Bonus psicologo 2024

Qual è l’intervento del governo di Giorgia Meloni in merito a questa condizione d’emergenza? I fondi messi a disposizione sono decisamente limitati e ben lontani dall’essere bastevoli a soddisfare le tantissime richieste giunte. A dire il vero, però, viene da chiedersi anche che tipo di supporto garantisca la cifra garantita, qualora ricevuta.

Nel 2024 sono giunte 400.505 richieste all’Inps, al fine di ottenere il voucher messo a disposizione dall’esecutivo, il famoso Bonus Psicologo. L’erogazione è affidata all’ente, che ha proceduto ad accogliere un numero incredibilmente basso rispetto a chi ha tentato di ricevere questo aiuto: 3.325.

Una manciata di persone ha ricevuto un aiuto pari a 1.500 euro, in presenza di un Isee inferiore a 15.000 euro, 1.000 euro in caso di Isee tra 15 e 30mila euro, e 500 euro per un Isee tra 30 e 50mila euro.

Tutto ciò a fronte di una spesa annuale che va generalmente dai 3.000 euro (60 euro a seduta) ai 4.000 euro, circa (80 euro a seduta). Il numero di richieste accolte fa riferimento al 2023 ma nel 2024 la situazione non è migliorata. Ci attestiamo intorno al 10% di domande accolte, in un sistema che prevede inoltre una corsa al premio che ha dell’assurdo. Per migliorare le proprie chance, infatti, occorre avere un’ottima connessione internet e del tempo a disposizione, oltre a un reddito basso. I primi a cliccare, superando il prevedibile blocco dei sistemi dovuto alla gran presenza di utenti, avranno la meglio.

Tutto ciò si traduce in sedute gratuite? No! La spesa massima coperta è di 50 euro, il che vuol dire che si pagheranno di tasca propria circa 20-30 euro a seduta. Ciò a patto che i professionisti non aumentino i propri tariffari, poco soddisfatti dal rimborso Inps che impiega alcuni mesi a giungere.

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