Non c’è rischio o trattative che tenga: Israele è intenzionato a far fuori tutti i nemici che la circondano. E mentre è ancora impegnato da quasi nove mesi contro Hamas nella Striscia di Gaza, ingaggia combattimenti sempre più violenti e serrati anche contro Hezbollah.
Il Libano sembra così destinato a diventare il prossimo teatro dell’allargamento del conflitto mediorientale. Al netto di tutti i giganteschi rischi che ne conseguono, dall’Iran che paventa “l’inferno in terra” in caso di attacco israeliano alla potenza dell’esercito delle milizie sciite libanesi, almeno 10 volte maggiore rispetto a quella dei fondamentalisti palestinesi.
Israele simula un attacco in Libano
Israele fa sul serio e non manca occasione di sbandierarlo al mondo intero. La sconfitta tattica subita da Hamas il 7 ottobre 2023 ha incrinato fortemente la sua immagine di grande potenza nucleare del Medio Oriente, mettendo a rischio lo strategico processo di normalizzazione diplomatica con le monarchie arabe tramite gli ormai celebri Accordi di Abramo. Anche per questo motivo, le Idf hanno condotto un’esercitazione che simulava un’offensiva terrestre in Libano. Compresi “scenari di combattimento sul fronte settentrionale, il rapido dispiegamento delle forze sul terreno, il coordinamento del quartier generale della divisione e della brigata e la prontezza delle truppe per un attacco”.
I riservisti “continuano ad aumentare i preparativi per la guerra in territorio libanese”, avevano riferito le stesse Forze di Difesa israeliane a fine maggio. Dall’8 ottobre 2023 sono proseguiti a cadenza quotidiana gli scontri tra i miliziani di Hezbollah e le Idf lungo il confine. I vertici più estremisti del governo Netanyahu hanno ripetutamente minacciato di andare in guerra con il Libano, con lo stesso premier che ha confermato l’esistenza di “piani sorprendenti” per affrontare i fondamentalisti filo-iraniani.
Le condizioni di Hezbollah per cessare i combattimenti
In un’intervista di 40 minuti rilasciata ad Associated Press, il vice del gruppo militante libanese Hezbollah, Sheikh Naim Kassem, ha dichiarato che l’unica strada certa per una tregua al confine fra Libano e Israele è un cessate il fuoco completo a Gaza. “Se ci sarà la fine del conflitto nella Striscia, ci fermeremo senza alcuna discussione”, ha affermato Kassem sottolineando che la partecipazione del suo gruppo alla guerra di Gaza è stata un “fronte di sostegno” per il suo alleato Hamas. E che “se la guerra si ferma, questo sostegno militare non esisterà più”. Kassem ha però aggiunto che, se Tel Aviv ridimensiona le sue operazioni militari senza un accordo formale di cessate il fuoco e un ritiro completo da Gaza, le implicazioni per il conflitto al confine nord della Striscia “sono meno chiare”.
“Se ciò che accade a Gaza è un mix tra cessate il fuoco e non cessate il fuoco, guerra e non guerra, non possiamo rispondere ora su come reagiremo. Perché non conosciamo la sua forma, i suoi risultati, i suoi impatti”, ha proseguito Kassem. Nelle ultime settimane, con il vacillare dei colloqui per il cessate il fuoco a Gaza, sono aumentati i timori di un’escalation sul fronte Libano-Israele. Negli ultimi nove mesi, il conflitto di basso livello fra Stato ebraico e Hezbollah ha causato decine di migliaia di sfollati su entrambi i lati della frontiera. Mesi di colloqui di mediazione internazionale sono ripetutamente falliti. Hamas ha chiesto la fine delle ostilità, e non solo una pausa nei combattimenti, mentre Netanyahu si è categoricamente rifiutato di prendere tale impegno finché Israele non avrà raggiunto i suoi obiettivi: distruggere le capacità militari e di governo di Hamas, riportare a casa i circa 120 ostaggi detenuti dai fondamentalisti palestinesi e controllare l’intero territorio tra Mediterraneo e Valle del Giordano.
Il mese scorso, l’esercito israeliano aveva riferito di aver “approvato e convalidato” i piani per un’offensiva in Libano qualora non si raggiunga una soluzione diplomatica agli scontri in corso. Qualsiasi decisione di lanciare un’operazione di questo tipo dovrebbe essere presa dalla leadership politica del Paese. Alcuni funzionari israeliani hanno dichiarato di stare cercando una soluzione diplomatica allo stallo, nella speranza di evitare una guerra più ampia. Allo stesso tempo, hanno avvertito che le scene di distruzione viste a Gaza si ripeteranno in Libano se il conflitto si allargherà.
Perché Israele e Hezbollah sono nemici
Al di là del fare gli interessi militari dell’Iran, Hezbollah persegue una propria agenda e ha i suoi personali motivi per opporsi a Israele. Quest’ultimo e il Libano sono in stato di guerra da decenni, da quando lo Stato ebraico lanciò una devastante invasione nel 1982, inviando carri armati fino alla capitale Beirut, dopo essere stato attaccato a sua volta dai militanti palestinesi nel Paese. Israele ha poi occupato il Libano meridionale per 22 anni, finché non è stato cacciato proprio da Hezbollah nel 2000. Per questo motivo, in Libano il “Partito di Dio” è ufficialmente considerato un gruppo di “resistenza” incaricato di affrontare Israele, che Beirut classifica come uno Stato nemico. Ovviamente, dall’altro lato, gran parte del mondo occidentale ha designato Hezbollah come un’organizzazione terroristica.
Da allora le due parti si sono scontrate sporadicamente, fino alla grande escalation del 2006, quando Israele è intervenuto in forze nel sud del Libano dopo che Hezbollah aveva rapito due soldati israeliani. In quel conflitto furono uccisi più di mille libanesi, perlopiù civili, così come 49 civili israeliani e 121 soldati. Due anni dopo, Hezbollah restituì i resti dei militari rapiti in cambio del rilascio dei prigionieri libanesi e palestinesi nelle carceri israeliane, nonché dei corpi dei militanti detenuti da Israele. Un copione già visto, sì. Le ostilità tra Israele e Hezbollah sono cresciute nuovamente dopo il fatidico 7 ottobre. Ciò ha spinto Tel Aviv a entrare in guerra contro Hamas a Gaza con la ferocia che ben conosciamo, radendo al suolo gran parte degli insediamenti nella Striscia e uccidendo oltre 36mila civili palestinesi. Hezbollah ha quindi potuto aggiungere come giustificazione della sua “guerra giusta” anche la causa palestinese.
La capacità militare del gruppo libanese è cresciuta dal 2006, quando faceva affidamento in gran parte sugli imprecisi razzi Katyusha di produzione sovietica. Oggi il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, sostiene che il suo gruppo vanta più di 100mila combattenti e riservisti. Si ritiene inoltre che l’arsenale includa oltre 150mila razzi, che potrebbero sopraffare le difese di Israele nel caso scoppiasse una guerra totale. Hezbollah rappresenta dunque di fatto la più grande minaccia militare per lo Stato ebraico. Come ha dimostrato appunto nel 2006, quando resistette all’assalto a tutto campo di Tel Aviv. Da allora il gruppo libanese non ha fatto altro che rafforzarsi, accumulando armi sempre più sofisticate ed esperienza e combattendo al fianco del governo siriano. E incrementando anche il suo risentimento verso Israele e la sua “dottrina Dahiya” di guerra asimmetrica – dal nome di un quartiere di Beirut controllato da Hezbollah – che prevede di prendere di mira le infrastrutture civili.
Verso l’allargamento del conflitto in Medio Oriente?
Si ritiene dunque che Hezbollah possegga un vasto arsenale di razzi e missili in grado di colpire ovunque in territorio israeliano. Kassem ha detto di non credere che lo Stato ebraico abbia la capacità o abbia preso la decisione di lanciare una guerra al momento. In ogni caso ha avvertito che anche se Tel Aviv intendesse lanciare un’operazione limitata in Libano, che si fermi al di sotto di una guerra su larga scala, non dovrebbe aspettarsi che i combattimenti restino limitati. Lo Stato ebraico “può decidere ciò che vuole: guerra limitata, guerra totale, guerra parziale“, ha detto il vice leader di Hezbollah, “ma deve aspettarsi che la nostra risposta e la nostra resistenza non siano all’interno di un tetto e di regole di ingaggio stabilite da Israele”.
Se lo Stato ebraico fa la guerra,” significa che non ne controlla l’estensione o chi vi entra”. Questo sembra un apparente riferimento agli alleati di Hezbollah nel cosiddetto “Asse della Resistenza” (o, secondo la vulgata occidentale, la “Mezzaluna sciita”) sostenuto dall’Iran nella regione, che include gruppi armati in Iraq, Siria e Yemen. Questi gruppi e potenzialmente la stessa Teheran potrebbero entrare in gioco in caso di una guerra su larga scala in Libano, che potrebbe arrivare a chiamare in causa anche il più forte alleato di Israele, gli Stati Uniti. Scenario estremo e di scarsa probabilità, almeno al momento. L’escalation del conflitto non giova a nessuno e nessuno sembra volerla davvero, al di là dei proclami bellicosi. Ma negli scontri armati, lo abbiamo imparato, la componente irrazionale gioca un ruolo decisivo e imprevedibile.
Gli Stati Uniti, da parte loro, non ritengono che una “piccola guerra regionale” sia un’opzione realistica, perché sarà difficile impedire che si allarghi e si espanda. Tuttavia per la Casa Bianca sarà impossibile riportare la distensione al confine israelo-libanese senza prima aver concluso un cessate il fuoco a Gaza. Nonostante i proclami e le minacce odierne, Israele non avrebbe reale intenzione di invadere la parte di Libano controllata da Hezbollah. E, dall”altro lato della barricata, anche i fondamentalisti sciiti hanno tutto l’interesse a non accelerare l’inasprimento della contesa militare col nemico confinante. In altre parole a Iran e Hezbollah conviene che il conflitto resti a bassa intensità e tenga impegnato Israele a lungo, mentre dall’altra parte c’è più urgenza di inasprire il conflitto, ma manche l’opportunità e la forza necessarie.