Il “Quarto Rapporto sull’Ambiente” dell’Snpa, presentato il 21 febbraio 2024 in presenza del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, dipinge un’immagine contrastante della situazione ambientale italiana.
L’Italia è allineata agli obiettivi europei per lo sviluppo sostenibile e la produzione energetica da fonti rinnovabili. Si è verificato un incremento nella raccolta differenziata dei rifiuti e una riduzione del loro conferimento in discarica. La qualità dell’aria mostra segni di miglioramento, in particolare per quanto riguarda le particelle PM2,5. L’agricoltura biologica ha ottenuto risultati lodevoli, con un intensificarsi dei controlli sugli impianti di produzione.
Nonostante questi progressi, permangono delle sfide. Le emissioni di gas serra sono ancora troppo alte e il turismo ha un impatto notevole sulla produzione di rifiuti urbani. Inoltre, si assiste a un continuo aumento nella produzione di rifiuti speciali e nel consumo di suolo. La situazione rimane stabile per quanto riguarda i piani di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione delle aree naturali protette e l’inquinamento acustico.
Indice
Rapporto Ambiente 2024: uno strumento per monitorare lo stato dell’ambiente in Italia
Il documento viene realizzato in ottemperanza alla legge n. 132 del 2016 e rappresenta un mezzo di conoscenza delle condizioni ambientali in Italia per decisori politici e istituzionali, per scienziati, tecnici e cittadini. Questo perché gli indicatori che popolano il Rapporto Ambiente sono utili a monitorare gli obiettivi fissati dal Green Deal europeo, dall’Agenda 2030, dalla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile e dall’Ottavo programma d’azione ambientale.
Il documento descrive e confronta le diverse realtà regionali attraverso l’analisi di 21 indicatori, condivisi dal Sistema, che delineano le tendenze delle principali tematiche ambientali; la fonte dei dati/indicatori è costituita dalla Banca dati Indicatori ambientali di Ispra. Il Rapporto è realizzato in un unico volume strutturato in due parti. La prima descrive le realtà regionali attraverso l’analisi di 21 indicatori; la seconda è composta da brevi articoli che riguardano specificità regionali e/o attività Snpa particolarmente rilevanti e di interesse per la collettività. In sintesi, il documento assegna a ogni indicatore un trend, che può essere positivo, negativo, stabile oppure non definibile ma in stato buono.
Cambiamenti climatici: valutazione e risposta dell’Italia
La valutazione dei progressi nelle politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici è cruciale per analizzare la loro evoluzione e l’efficacia delle azioni intraprese. Il clima sta cambiando, con un incremento delle temperature, variazioni nelle precipitazioni, scioglimento di ghiacciai e innalzamento del livello del mare. Eventi estremi come inondazioni e siccità diverranno più frequenti e severi.
Nonostante gli sforzi internazionali per ridurre le emissioni stiano dando frutti, gli effetti del cambiamento climatico sono inevitabili, richiedendo azioni di adattamento. Mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C, preferibilmente 1,5°C, è essenziale per limitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana. Negli ultimi trent’anni, l’Italia ha registrato anomalie nella temperatura media spesso superiori alla media globale. Il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1961, con un’anomalia di +1,23°C rispetto alla media del periodo 1991–2020.
Le strategie italiane di risposta ai cambiamenti climatici includono la mitigazione, tramite la riduzione delle emissioni di gas serra, e l’adattamento, per minimizzare impatti negativi e prevenire danni. Queste misure sono complementari e sinergiche. Dal 1990 al 2021, l’Italia ha ridotto le sue emissioni di gas serra di circa il 20%. Tuttavia, nel 2021 si è registrato un aumento dell’8,5% rispetto al 2020. Secondo le previsioni, entro il 2030, le emissioni italiane rientranti nell’ambito del regolamento “Effort sharing” si ridurranno del 28,5% rispetto ai livelli del 2005, contro un obiettivo di riduzione del 43,7%.
Dal 21 febbraio in vigore il Piano Nazionale per l’Adattamento Climatico
È in vigore dal 21 febbraio 2024 il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), il documento che fornisce le linee guida per l’implementazione di azioni concrete per contrastare gli effetti del riscaldamento globale. Il Piano è stato approvato il 21 dicembre 2023 attraverso un decreto ministeriale.
Il Pnacc identifica 361 misure da adottare su scala nazionale o regionale, coprendo una vasta gamma di tematiche cruciali. Queste misure si concentrano su settori chiave come acquacoltura, agricoltura, energia, turismo, foreste, dissesto idrogeologico, desertificazione, ecosistemi acquatici e terrestri, zone costiere, industrie, insediamenti urbani, patrimonio culturale, risorse idriche, pesca, salute e trasporti.
Questa iniziativa rappresenta un passo significativo verso un futuro più sostenibile, evidenziando l’impegno del paese nell’affrontare e mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici su scala nazionale e regionale.
Verso un futuro sostenibile: energia e riciclo in Italia
Dal 2008, l’Italia ha visto una significativa riduzione delle emissioni, grazie alla diminuzione dei consumi energetici e delle produzioni industriali, causata dalla crisi economica e dalla delocalizzazione di alcune attività produttive. Questo cambiamento è stato accompagnato da un incremento nella produzione di energia da fonti rinnovabili e da un miglioramento dell’efficienza energetica. Le politiche di incentivazione hanno portato le fonti rinnovabili da 14 Mtep nel 2005 a 29 Mtep nel 2021, rappresentando circa il 20% del mix energetico nazionale. In parallelo, la domanda di energia da fonti fossili è diminuita di circa 60 Mtep, con una riduzione media annua del 3%, e con cali più marcati per petrolio e carbone rispetto al gas naturale.
Le energie rinnovabili sono diventate un pilastro del sistema energetico italiano. Sebbene l’obiettivo per il 2030 sia ancora lontano, nel 2020 la quota di energia rinnovabile ha raggiunto il 20% del consumo finale lordo, superando l’obiettivo del 17% previsto per lo stesso anno e più che triplicando rispetto al 6,3% del 2004. Nel 2021, tuttavia, si è registrata una leggera flessione, con una percentuale scesa al 19%.
In linea con il D.Lgs 121/2020, dal 2030 sarà proibito lo smaltimento in discarica di tutti i rifiuti riciclabili o recuperabili, in particolare i rifiuti urbani, ad eccezione di quelli per cui la discarica rappresenta la soluzione più vantaggiosa per l’ambiente, come stabilito dall’articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Nel 2021, i rifiuti urbani smaltiti in discarica sono stati 5,6 milioni di tonnellate, il 19% del totale nazionale (29,6 milioni di tonnellate). Utilizzando il metodo di calcolo del D.Lgs. 36/2003, questa percentuale scende al 17%, con l’obiettivo di ridurla al 10% entro il 2035. L’analisi dei dati sottolinea l’urgenza di accelerare il miglioramento della gestione dei rifiuti per raggiungere gli ambiziosi obiettivi imposti dalla normativa europea; nei prossimi 15 anni, lo smaltimento in discarica dovrà essere ridotto della metà (10% entro il 2035).
Obiettivi e progressi nella qualità dell’aria in Italia
Le normative e le politiche italiane per l’aria pulita mirano a un marcato miglioramento della qualità dell’aria, con l’obiettivo di avvicinarsi ai livelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e di ridurre significativamente le emissioni dei principali inquinanti atmosferici entro il 2030. Dal 2013 al 2022, si è osservata una tendenza alla diminuzione della concentrazione di PM10 in circa il 45% delle stazioni monitorate, con un calo medio annuo del 2,1%. Nel 2022, il valore limite annuale di PM10 è stato superato solo nello 0,2% dei casi, mentre il valore limite giornaliero è stato superato nel 20% dei casi. Tuttavia, la maggior parte delle stazioni ha superato sia il valore di riferimento annuale (93% dei casi) sia quello giornaliero (88% dei casi) stabiliti dall’Oms.
Per quanto riguarda il PM2,5, si è registrata una diminuzione dei livelli atmosferici, risultato della riduzione combinata delle emissioni di particolato primario e dei suoi principali precursori (ossidi di azoto, ossidi di zolfo, ammoniaca e composti organici volatili). Il valore limite annuale di PM2,5, fissato a 25 µg/m³, è stato rispettato nella quasi totalità delle stazioni, con superamenti registrati in solo 4 stazioni (1,3% dei casi). Nonostante ciò, quasi tutte le stazioni hanno superato il nuovo valore di riferimento annuale dell’Oms, che è stato abbassato a 5 µg/m³ nelle nuove linee guida, rispetto al precedente valore di 10 µg/m³, con superamenti nel 99,7% dei casi.
Qualità delle acque in Italia: luci e ombre
Le acque interne, che comprendono tutte le acque superficiali e sotterranee entro i confini territoriali, sono una componente vitale dell’ecosistema terrestre. L’Italia, con i suoi circa 6.900 fiumi e quasi 350 laghi, rappresenta un esempio della ricchezza idrica del pianeta, dove circa due terzi della superficie è coperta da acqua.
A livello nazionale e distrettuale, si osserva un miglioramento nella qualità chimica dei corpi idrici fluviali e lacustri. Attualmente, il 78% dei fiumi italiani è classificato in stato chimico buono, mentre il 13% è in stato non buono e il 9% non è stato ancora classificato. Per quanto riguarda i laghi, il 69% si trova in uno stato buono. In termini di stato ecologico, il 43% delle acque superficiali interne raggiunge l’obiettivo di buono superiore, ma il 10% rimane in uno stato sconosciuto.
Per le acque sotterranee, nel periodo 2016-2021, il 70% è stato classificato in stato chimico buono e il 27% in stato scarso. Le percentuali di raggiungimento del buono stato mostrano un trend generale di miglioramento rispetto al precedente Piano di Gestione di Distretto Idrografico.
Gli habitat marino costieri, importanti sia ecologicamente sia paesaggisticamente, sono tra gli ecosistemi più vulnerabili e minacciati. I litorali italiani hanno subito notevoli cambiamenti geomorfologici negli ultimi decenni, sia per cause naturali sia per l’intervento umano. L’alga Ostreopsis cf. ovata è stata trovata in 11 regioni costiere italiane, ma è assente lungo le coste di Emilia-Romagna, Molise e Veneto. A livello nazionale, oltre il 66% dei corpi idrici marino costieri (291 su 394 totali) è classificato in stato ecologico buono o elevato, avvicinandosi all’obiettivo normativo vigente.
Inquinamento acustico in Italia: situazione e sfide
Elevati livelli di rumore possono influire sullo stato di benessere; gli effetti del rumore sulla salute comprendono lo stress, la riduzione del benessere psicologico e i disturbi del sonno, ma anche problemi cardiovascolari. Una significativa porzione della popolazione italiana è esposta a livelli di rumore, sia diurni che notturni, considerati rilevanti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per contrastare l’inquinamento acustico, la normativa nazionale sul rumore stabilisce valori limiti assoluti per l’ambiente esterno e limiti differenziali per l’interno degli ambienti abitativi, variando in base alle diverse tipologie di sorgenti sonore. La zonizzazione acustica, o classificazione acustica del territorio, è la suddivisione del territorio comunale in aree acustiche omogenee con associati specifici limiti acustici. Al 2021, il Piano di classificazione acustica è stato adottato nel 63% dei comuni italiani, sebbene permangano differenze regionali nell’applicazione di questo strumento di pianificazione.
Nel 2021, le attività di servizio e/o commerciali sono state le sorgenti più frequentemente controllate, rappresentando il 49% del totale, seguite dalle attività produttive con il 35,3%. Tra le infrastrutture di trasporto, che costituiscono l’11,5% delle sorgenti controllate, le strade risultano essere le più monitorate, con una percentuale del 6,5% sul totale. L’attività di controllo è prevalentemente scaturita da segnalazioni o esposti dei cittadini, che nel 2021 hanno rappresentato l’89,5% delle sorgenti controllate, equivalenti a 1.359 casi. Le attività di servizio e/o commerciali sono anche quelle in cui si è registrata la percentuale più alta di superamenti dei limiti normativi, con il 50,2%, seguite dalle attività produttive (38,2%). Superamenti significativi sono stati rilevati anche per le infrastrutture ferroviarie (35,4%) e stradali (31,3%), nonché per le attività temporanee (28,1%).
Biodiversità in Italia: progressi e sfide
L’Italia si distingue per la sua straordinaria biodiversità e alti livelli di endemismo, con una notevole percentuale di specie uniche al territorio. Il paese è parte attiva in molteplici convenzioni e accordi internazionali per la salvaguardia della biodiversità e si impegna nell’attuazione di direttive europee come le Direttive Habitat e Uccelli e la Direttiva Quadro sulla Strategia Marina. È inoltre coinvolta nel monitoraggio degli obiettivi della Strategia Europea per la Biodiversità 2030 (Seb 2030). Attualmente, la copertura nazionale di aree protette in Italia, escludendo le sovrapposizioni tra aree protette e siti Natura2000, ammonta a circa 3.920.174 ettari in mare, corrispondenti all’11,2% delle acque territoriali e ZPE (Zone di Protezione Ecologica) italiane, e a circa 6.530.473 ettari su terra, pari al 21,7% del territorio nazionale.
Per raggiungere l’obiettivo del 30% stabilito dalla Seb 2030, l’Italia deve ancora proteggere un ulteriore 19% della superficie marina e circa l’8% della superficie terrestre. L’introduzione di specie esotiche potenzialmente invasive rappresenta un serio rischio per la biodiversità, un problema riconosciuto a livello globale. Il numero di specie alloctone in Italia è in costante crescita; attualmente, più di 3.600 specie esotiche o di status incerto sono state introdotte nel paese, di cui 3.498 sono ancora presenti. Il tasso medio annuo di introduzione di specie aliene è aumentato esponenzialmente, raggiungendo 16 specie all’anno nell’ultimo decennio (2010-2019). Il numero complessivo di specie introdotte in Italia dal 1900 mostra un incremento superiore al 500% in 120 anni.
La sfida del consumo di suolo in Italia
In Italia, il consumo di suolo non mostra segni di arresto. Dal 2006 al 2022, si è verificato un aumento di oltre 120.000 ettari, con quasi il 40% di questa espansione concentrata nelle regioni settentrionali, in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Solo nell’ultimo anno, il consumo netto di suolo in Italia ha raggiunto una media di oltre 21 ettari al giorno, pari a 2,4 m² al secondo. Questo incremento si allontana dall’obiettivo di azzeramento del consumo netto di suolo, come previsto dall’Ottavo Programma di Azione Ambientale, e rappresenta una preoccupante inversione di tendenza rispetto ai segnali di rallentamento osservati nel 2020.