In queste settimane si è tornati a parlare molto di peste suina, dopo il rilevamento del virus su un cinghiale rinvenuto nel territorio Nord Ovest di Roma, dove è anche scattata una “zona rossa” (qui cosa significa). Iniziamo col dire che la peste suina africana è una malattia virale dei suini e dei cinghiali selvatici, di solito letale.
Non esistono vaccini né cure, motivo per cui è una malattia molto dannosa che provoca gravi conseguenze socio-economiche nei Paesi in cui è diffusa. Sgombriamo il campo da ogni dubbio dicendo subito, come precisato anche dal Ministero della Salute, che la peste suina non si può trasmettere all’uomo in nessun modo, quindi per noi il virus non può essere pericoloso.
Indice
Quanto resiste il virus
La presenza del virus nel sangue dell’animale dura dai 4 ai 5 giorni. I ceppi più aggressivi del virus sono generalmente letali: il decesso avviene rapidamente, entro 10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi. Gli animali infettati da ceppi meno aggressivi del virus della peste suina africana possono non mostrare i tipici segni clinici.
Gli animali che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione.
Il virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni, sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi.
Come si prende
La malattia si diffonde direttamente per:
- contatto con animali infetti, compreso il contatto tra suini che pascolano all’aperto e cinghiali selvatici;
- ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali infetti: scarti di cucina, broda a base di rifiuti alimentari e carne di cinghiale selvatico infetta, comprese le frattaglie;
- contatto con qualsiasi oggetto contaminato dal virus, come abbigliamento, veicoli e altre attrezzature;
- morsi di zecche infette.
La circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più rilevanti di diffusione della malattia.
I sintomi
La peste suina africana è una malattia provocata da un virus che non è pericolosa per gli esseri umani, ma quasi sempre mortale nel giro di pochi giorni per i cinghiali infetti. La malattia non ha sintomi specifici, se non febbre resistente ai trattamenti o morte improvvisa.
I segni tipici della peste suina africana sono simili a quelli della peste suina classica e per distinguere l’una dall’altra occorre una diagnosi di laboratorio: immunofluorescenza, PCR, ELISA e Immunoperossidasi.
Può verificarsi anche la morte improvvisa. I sintomi principali negli animali colpiti sono:
- febbre
- perdita di appetito
- debolezza del treno posteriore con conseguente andatura incerta
- difficoltà respiratorie e secrezione oculo-nasale
- costipazione
- aborti spontanei
- emorragie interne
- emorragie evidenti su orecchie e fianchi.
Cosa succede se si mangia carne infetta
Mangiare carne o prodotti alimentari contenenti carne suina è sicuro.
I prodotti a base di carne suina possono essere consumati in sicurezza, perché come visto il virus della peste PSA non è trasmissibile all’uomo.
Cosa fare
Al momento non esiste un vaccino per la peste suina africana. Come previsto dal Piano nazionale di sorveglianza e dalle norme di settore, quando si riscontrano uno o più sintomi tali da far sospettare la presenza di PSA in un allevamento di suini, occorre immediatamente darne comunicazione ai servizi veterinari competenti per territorio.
Analogamente, quando si rinviene una carcassa di cinghiale nell’ambiente, o a seguito di incidente stradale che abbia coinvolto un cinghiale, è necessario segnalare l’evento ai servizi veterinari, alle forze dell’ordine o enti parco, guardie forestali, oppure contattare i numeri verdi regionali.
Chiunque provenga da aree in cui la malattia è presente può rappresentare un veicolo inconsapevole di trasmissione del virus agli animali. E’ indispensabile quindi adottare una serie di comportamenti corretti e di precauzioni per prevenire la diffusione della malattia.
Per tutti
- non portare in Italia, dalle zone infette comunitarie, prodotti a base di carne suina o di cinghiale, quali, ad esempio, carne fresca e carne surgelata, salsicce, prosciutti, lardo, che non siano etichettati con bollo sanitario ovale
- smaltire i rifiuti alimentari, di qualunque tipologia, in contenitori idonei e chiusi e non somministrarli per nessuna ragione ai suini domestici o ai cinghiali
- non lasciare rifiuti alimentari in aree accessibili ai cinghiali
- informare tempestivamente i servizi veterinari del ritrovamento di una carcassa di cinghiale.
Per i cacciatori
- pulire e disinfettare le attrezzature, i vestiti, i veicoli e i trofei prima di lasciare l’area di caccia
- eviscerare i cinghiali abbattuti solo nelle strutture designate
- evitare i contatti con maiali domestici dopo aver cacciato.
Per gli allevatori
- Rispettare le norme di biosicurezza, in particolare il cambio di abbigliamento e calzature quando si entra o si lascia l’allevamento
- scongiurare i contatti anche indiretti con cinghiali o maiali di altri allevamenti
- notificare tempestivamente ai servizi veterinari sintomi riferibili alla PSA e episodi di mortalità anomala
- smaltire sempre in contenitori chiusi per rifiuti i residui di carni suine fresche e stagionate di animali infetti, che possono rappresentare un grave rischio di trasmissione della malattia agli animali sani.