Sindrome da iperconnessione, come combattere la smania di essere sempre presenti

L’ottimale equilibrio tra vita privata e lavoro passa anche attraverso la capacità di lasciare da parte le problematiche lavorative una volta chiuso l’ufficio, per rilassarsi e vivere serenamente tra le mura domestiche

Pubblicato: 25 Luglio 2024 16:42

Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Qualche tempo fa si è molto parlato del Café Brecht di Amsterdam. Attenzione, non si tratta di uno spot pubblicitario. Se ne è parlato perché il locale è diventato una sorta di isola felice, completamente isolata (ovviamente in senso informatico) dal mondo esterno. Niente smartphone, niente, tablet, nessuna mail, nessun segnale sono per avvisare dell’arrivo di un messaggio. Insomma, la pace, tanto che si è coniato il termine di “Offline Club”.
Pur se le vacanze sono sempre più “mordi e fuggi”, siamo nel bel mezzo del periodo di ferie. E bisognerebbe trovare la forza di sconnettersi, dimenticando agende, orari, passaggi di ogni tipo che ci riportano con la mente all’impegno di lavoro. Insomma, sarebbe importante riuscire a staccare. Facile a dirsi, ma tremendamente difficile da fare. Anche se la psiche e il corpo hanno bisogno di recuperare una dimensione umana fatta di sguardi, sorrisi, interazioni vocali e non solo.

La smania di essere sempre presenti

Diciamolo. In qualche modo, essere connessi è una necessità cui purtroppo fatichiamo a fare a meno. Come una specie di stigmata che ci segna. Ad ogni ora del giorno (e a volte anche della notte!), quando la mente pare essere entrata in un percorso di riposo e relax, spesso non riusciamo ad impedire a noi stessi di mettere mano allo smartphone o al computer se ci troviamo a casa per guardare se per caso è arrivato un messaggio di posta elettronica. O comunque andiamo a collegarci ai social. O ci sentiamo orfani di notizie.

Per chi si trova in queste condizioni, magari in vacanza su una spiaggia o lungo un sentiero di montagna, dietro l’angolo possono esserci i segnali della sindrome da iperconnessione. Il quadro, anche se può sembrare strano, nasce dall’ansia costante di sentirsi competitivi ed adeguati, rispetto al ruolo che si ha. E quindi si rischia di introdursi in una condizione che ricorda quella dello stress cronico, con ripercussioni che possono andare oltre il semplice desiderio della connessione costante, cercando reti dove queste non esistono o magari sviluppando fastidi come difficoltà a prendere sonno o agitazione inspiegabile solo perché la mail non arriva. In pratica, si rischia una forma di dipendenza dalla connessione, che andrebbe evitata per il proprio benessere. Perché fermarsi è importante, e ne abbiamo bisogno.

Attenzione anche per i manager

L’ansia di prestazione, sia chiaro, non è un problema d’età. E con essa non guarda alla carta d’identità anche il bisogno di ritrovarsi comunque sempre informati e disponibili. Eppure ci sono studi che dicono quanto e come chi ha ruoli di responsabilità o comunque gestisce i collaboratori avrebbe bisogno di ritrovarsi tranquillo e in pace. Perché riuscire a disconnettersi non è solamente un piacere ma diventa quasi un obbligo in termini di efficacia ed efficienza sul lavoro.

A segnalare come la forza di dire stop al collegamento continuo sia utile non solo sul fronte psicologico ma anche nell’attività professionale c’è uno studio condotto qualche tempo fa da esperti dell’Università della Florida, pubblicato su Journal of Applied Psychology. Stando ai risultati della ricerca, l’ottimale equilibrio tra vita privata e lavoro passa anche attraverso la capacità di lasciare da parte le problematiche lavorative una volta chiuso l’ufficio, per rilassarsi e fare una vita piena e soddisfacente tra le mura domestiche.

Traslando questi dati, la vacanza diventa ancor più importante. Perché consente davvero di rimettersi in forma. Sia chiaro. Nell’indagine il problema della iperconnessione è stato vissuto sul ritmo circadiano, e non di giorni o settimane. Ma lo studio mostra chiaramente che quando chi comanda è stato in grado di staccare completamente la spina senza pensare al lavoro la notte, nella giornata successiva si è sentito più in forma e soprattutto più riconosciuto come “guida” da parte dei collaboratori.
Al contrario, chi invece non è riuscito a togliersi dalle mente le preoccupazioni, magari anche rimanendo a chattare o a rispondere ai messaggi di posta elettronica nelle ore notturne, il giorno dopo è risultato con meno energie. E questo è stato notato da chi lavorava con lui/lei.

Come possiamo “resettarci” in vacanza

Ed allora? Allora pensiamo che la sindrome da iperconnessione esiste e proviamo, per quanto possibile, a resettarci in ferie. Facendolo a modo nostro, perché non esiste la ricetta valida per tutti. C’è chi preferisce l’attività fisica, magari con la classica partita a tennis, la corsa o gli esercizi in palestra, e chi invece vuole del tempo di qualità in famiglia. Per ogni persona insomma c’è la ricetta su misura. L’importante è non precipitare nelle trappole imposte dalla disponibilità di un formidabile strumento di connessione come lo smartphone, sempre vicino a noi, manager o meno.

Il rischio è quello di trovarsi vittime del “phubbing”, caratterizzato dalla tendenza a trascurare le persone e la compagnia per controllare compulsivamente il cellulare. E non solo per guardare gli impegni di lavoro. Sia che si sia manager sia che si viva una realtà professionale e sociale meno carica di responsabilità, insomma, abbiamo bisogno di disintossicarci. Questo potrà aiutarci a superare una serie di piccoli, potenziali problemi.

Non ci credete? Andate a rileggere una ricerca presentata qualche tempo fa al congresso della Radiological Society of North America, condotta all’Università di Seul. Lo studio dice che l’incapacità di stare lontani da portatili o web, oltre a essere associato a vari disturbi, senso di solitudine, auto-isolamento sociale, squilibrio dei ritmi del sonno, aumento di peso e depressione, può davvero “sballarci”. Si metterebbe infatti in moto una vera e propria alterazione nei rapporti tra i diversi composti che veicolano le informazioni tra le cellule del sistema nervoso. Il che, alla fine, può anche contribuire ad aprire la porta ad ansia e umore cupo.

Quattro consigli per non diventare vittime della “connessione”

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