Guerra Ucraina, non esiste alcun piano di pace: perché è prematuro parlarne

Tralasciando i programmi di Russia e Ucraina, reciprocamente inconciliabili, il piano Kellogg americano resta l'unico piano per far cessare la guerra. Ma nessuno l'ha mai letto davvero, né tantomeno firmato. Ecco cosa vuol dire

Pubblicato: 23 Dicembre 2024 02:07

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Negli ultimi mesi è sfilato un grande carosello di piani di pace. Dell’Ucraina, della Russia, degli Stati Uniti, dell’Unione europea, della Cina. Inutile dire che nessuno di questi presunti documenti, che nessuno ha mai letto con un timbro ufficiale sopra, è accettabile dalle altre parti. Finora non esiste un accordo firmato dalle parti in causa, Russia e Ucraina, né tantomeno dal grande mandante del conflitto per procura: gli Stati Uniti.

Nelle ultime settimane si è sentito molto parlare in particolare del Piano Kellogg, dal nome del generale in pensione Keith Kellogg, nominato da Donald Trump inviato speciale per la guerra russo-ucraina. Osannato dai media di tre quarti di mondo, è in realtà meno di un programma. Perché manca degli elementi più importanti.

La pace che non c’è: cos’è il piano Kellogg degli Usa per l’Ucraina

Il famigerato Piano Kellogg non è altro che una cartella contenente qualche foglio che l’omonimo generale in pensione ha presentato al presidente eletto nel suo resort di Mar-a-Lago a maggio, ben prima che fosse anche soltanto immaginabile una sua vittoria alle presidenziali. Donald Trump era determinato a giocarsi la carta elettorale del “metterò fine a tutte le guerre” e si stava portando decisamente avanti con il lavoro. Sempre e comunque nel segno del motto “America First”, mantra che ne ha determinato ancora una volta il successo nell’elettorato americano. Essendo quella in Ucraina una guerra per procura che gli Usa combattono “da remoto” contro la Russia, il presunto piano sarebbe dirimente per le sorti di tutte le parti coinvolte.

A differenza di quattro anni fa, ora gli apparati statunitensi sono più propensi ad aprire alla Russia, piuttosto che proseguirne nel suo contenimento duro e puro. L’America avverte tutta la stanchezza della sovraesposizione su molteplici fronti e vuole delegare agli Stati Ue il supporto di Kiev. Per arginare la posizione intransigente del governo di Volodymyr Zelensky, che per decreto non può trattare accordi con la Russia finché Vladimir Putin sarà al potere, il Piano Kellogg prevede una forma di ricatto. Se Kiev non accetterà di convolare a negoziati con Mosca, il nuovo Congresso americano (ora nella morsa repubblicana) bloccherà o limiterà fortemente i rifornimenti militari. Un’altra parte del programma Kellogg lo abbiamo già rintracciato nelle ultime dichiarazioni del presidente ucraino, quando ha detto che il Paese “non ha la forza” di riconquistare i territori occupati dai russi. Il documento consegnato a Trump afferma infatti che l’Ucraina non deve riconoscere “legalmente” l’annessione dei territori a Mosca, ma soltanto ammettere l’impossibilità di riottenerli per via militare.

La roadmap proposta al presidente americano si concentra anche sull’altra parte in causa, la Russia. Per convincerla a sedersi al tavolo delle trattative, sarebbero già pronte due garanzie:

Per contro, il Cremlino dovrebbe accettare di creare una zona demilitarizzata proprio nel suo territorio. Una condizione decisamente indigesta a Mosca, che per questo e altri motivi non firmerà il documento così com’è. Il futuro gabinetto di Trump confida nella complementare stanchezza russa, uscita malconcia anche dal caos esploso in Siria e nel mezzo di una crisi economica e demografica. Le navi che hanno lasciato i porti siriani sono ancora al largo del Mediterraneo e, al contrario di quanto hanno riferito vari media, non potranno rifugiarsi nella vicina Libia. La base in Cirenaica ancora non esiste e la sua costruzione, se approvata da ambo le parti, costerà soldi e tempo. Ed entrambi scarseggiano. Anche sul versante ucraino, con Kiev che in cambio di far finta di non cedere i propri territori otterrebbe forniture di energia russa, essenziali per il processo di ricostruzione.

Perché la pace in Ucraina è ancora tutta da scrivere

Più che da scrivere, la pace sembra ancora tutta da firmare, potremmo dire. C’è il fondato sospetto che Trump neanche abbia letto il Piano Kellogg o, comunque, che non si sia esposto in merito. Al di là delle uscite retoriche del tipo “porrò fine a tutte le guerre”, il presidente eletto non ha di fatto mai detto come intende procedere con Mosca e Kiev. Il sospetto si trasforma in prova se consideriamo una questione: negli Stati Uniti, prima che si insedi un nuovo presidente, c’è un passaggio materiale di consegne tra la vecchia e la nuova amministrazione. Oltreoceano lo chiamano “briefing” e avviene rigorosamente a telecamere spente, senza annunci, e dura di solito più giorni.

In questo lasso di tempo il presidente entrante viene ricevuto al Pentagono e viene messo al corrente delle varie situazioni militari in giro per il mondo. Non semplicemente a livello informativo, ma operativo, nonostante il presidente non sia un tecnico ma soltanto un ingranaggio della macchina statale. E qui subentra la prima discordanza: il Piano Kellogg risale a maggio, quando Trump era ancora solo un candidato, mentre a gennaio si troverà di fronte una situazione profondamente diversa per quanto riguarda la contesa russo-ucraina. Al netto del fatto che i militari della Difesa gli riveleranno dettagli tecnici, anche molto importanti, in precedenza travisati per fini elettorali.

Trump e il Pentagono faranno l’interesse americano, senza dubbio. Ma dovranno stare attenti a non pagare un prezzo scomodo nel voler aprire alla Russia, la quale potrà sicuramente affermare in patria di aver “sconfitto l’America” in caso di negoziati favorevoli. Si tratta di un obiettivo strategico per Putin, che nella narrazione anti-occidentale ha fatto rispecchiare e riconoscere un intero popolo, nel Paese più esteso del pianeta. Allo stesso modo, la propaganda è fondamentale anche per gli Usa, che non potranno in alcun modo passare per i “deboli” della situazione. Anche a costo di far pagare l’intero prezzo agli ucraini, dopo tutto quello che hanno già subìto.

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