La guerra civile in Siria non è mai finita, ma noi non ce ne eravamo accorti. Il Paese rappresenta un tassello fondamentale per la stabilità, e l’instabilità, del Medio Oriente. Soprattutto perché rappresenta una miccia da far esplodere per mano delle potenze straniere che vi agiscono da anni, allo scopo di colpire o distrarre i loro rivali.
Ma prima di tutto vediamo i fatti. Miliziani jihadisti e forze filo-turche hanno compiuto un’enorme offensiva a sorpresa su Aleppo, riprendendo dopo otto anni il controllo della città che era già divenuta il simbolo della guerra civile scoppiata nel 2011 in seguito alla cosiddetta Primavera Araba. Una mossa che ha chiamato direttamente in causa la Russia, presente stabilmente in Siria da allora, con raid ed escalation dal potenziale molto pericoloso. Ma perché ora?
La Siria ripiomba nella guerra civile
Lo abbiamo detto: in questi 13 anni la guerra in Siria non ha mai conosciuto pause autentiche. Preda di interessi confliggenti tra Russia, Stati Uniti, Israele, Turchia e Iran, il Paese mediorientale è dilaniato dal conflitto tra il regime di Bashar al-Assad, sostenuto dalla Russia, e le milizie ribelli. Queste ultime rappresentano un fronte variegato, nel quale spiccano gruppi islamisti e mercenari e miliziani filo-turchi. La formazione jihadista che è avanzata su Aleppo nel giro di pochi giorni è Hayat Tahrir al-Sham, letteralmente “Commissione per la liberazione della Siria”. La mossa degli estremisti ha spinto le forze russe a compiere i primi bombardamenti aerei su Aleppo dal 2016, mentre le forze governative siriane si sono ritirate dalla città. In meno di una settimana si sono superati già i 400 morti. In definitiva, l’offensiva ribelle si estende su tre direttrici: nelle province di Idlib (nord-ovest), Hama (centro) e Aleppo (nord).
Il conflitto siriano è rimasto dormiente (e dunque meno interessante per i media) da quando è stato negoziato un cessate il fuoco nel 2020, motivo per cui gli sviluppi recenti sono stati uno shock. In risposta all’avanzata jihadista, il regime di Assad e quello di Vladimir Putin hanno unito le forze per riprendere il controllo del territorio occupato dai ribelli. Domenica i jet russi hanno colpito la provincia di Idlib controllata dagli insorti. Seppur impegnata nella guerra in Ucraina, Mosca rappresenta il principale sostenitore del governo Assad, in particolare nei cieli.
Ad Aleppo i raid russi hanno colpito anche un collegio francescano, Terra Sancta. Mentre i primi cittadini italiani vengono evacuati, Assad ha chiesto aiuto ai suoi alleati. È la prima volta dal 2011 che il regime siriano perde completamente il controllo di quello che era il cuore economico del Paese prima della guerra civile. Le Nazioni Unite hanno avviato un’evacuazione verso Damasco, ancora in fase iniziale. Nelle mani degli insorti intanto è finito anche l’aeroporto internazionale di Aleppo, mai occupato dalle forze ribelli dal 2011.
Breve storia del conflitto siriano
Un aspetto sulla guerra siriana, più di altri, è necessario da tenere a mente: quelle che vengono definite forze ribelli costituiscono un fronte variegato, composto da agende diverse ma mosso dal comune intento di rovesciare Assad. E sostenuto (meglio dire: manovrato) in vari modi da potenze straniere tra cui la vicina Turchia, i giganti regionali Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, oltre agli Stati Uniti. Dall’altro lato della barricata, a favore dunque del regime di Assad, sono schierati Iran e Russia. Sul terreno, la Guardia Rivoluzionaria iraniana e il suo agente di prossimità libanese Hezbollah hanno aiutato il governo siriano a combattere i gruppi ribelli armati. Nei cieli, l’Aeronautica militare siriana è stata rafforzata dai caccia russi.
L’inasprimento dei combattimenti in Siria divenne un’occasione anche per altri estremisti islamici, tra cui al Qaeda, che sposarono la causa dell’opposizione siriana moderata, la quale non vedeva di buon occhio il coinvolgimento jihadista. Nel 2014 il fronte islamista prevalse e l’Isis iniziò a espandersi in tutto il Paese. Temendo che la Siria sarebbe diventata un focolaio di violenza permanente, una coalizione internazionale guidata dagli Usa è intervenuta con l’obiettivo di eliminare il gruppo, ma senza confrontarsi con il regime siriano. Propaganda a parte, l’intervento degli Usa rispondeva a un chiaro principio strategico: evitare il caos in Medio Oriente per tenere al sicuro Israele, baluardo occidentale (e nucleare) contro l’Iran e, in generale, contro l’emergere di un’unica potenza nella regione.
Le Forze democratiche siriane, alleate degli Stati Uniti composto da combattenti curdi, hanno combattuto contro lo Stato Islamico, ponendo di fatto fine all’esistenza territoriale del gruppo. Nel 2020, Russia e Turchia hanno concordato un cessate il fuoco nell’ultima provincia ancora controllata dai ribelli, Idlib, accettando di istituire un corridoio di sicurezza con pattugliamenti congiunti. Da allora non si sono registrati picchi di violenza come in passato, ma il governo siriano non ha mai riconquistato tutto il territorio finito in mani jihadiste. E, come hanno dimostrato gli odierni eventi di Aleppo, la resistenza armata non è mai scomparsa.
Chi sono i jihadisti che hanno conquistato Aleppo
L’Hts è l’ex ramo siriano di al Qaeda. Si tratta di un raggruppamento di milizie jihadiste capeggiate e fondate nel 2012 da Abu Mohammad al-Jolani, poi staccatosi dal qaidismo internazionale per dar vita a una forma più pragmatica di jihadismo politico con base a Idlib. In questi anni l’Hayat Tahrir al Sham ha di fatto governato de facto l’area in cui, nel frattempo, la Turchia ha esteso la sua influenza politica e militare diretta, nella sua campagna di contrasto della resistenza curda nel nord del Paese. Abu Mohammad al-Jolani, 42enne originario della regione di Damasco, non ha mai ammesso legami diretti con la rete paramilitare estera che risponde al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Mercoledì l’Hts ha intrapreso la sua avanzata verso est, cioè verso Aleppo.
Tra le fila del gruppo militano ex ribelli siriani anti-governativi, fautori delle prime rivolte armate contro il regime di Assad. Ma non solo: nell’Hts si trovano anche transfughi del qaidismo locale e dell’Isis, oltre a mercenari filo-turchi provenienti dalle regioni turcofone del Caucaso e dell’Asia Centrale. Perfino uiguri dallo Xinjang cinese. Si tratta di combattenti non siriani, non arabi ma musulmani sunniti con profondi sentimenti anti-russi e anti-cinesi, sodali dunque alla causa turca e, di conseguenza, alla lotta siriana contro Assad.
A complicare la situazione c’è il fatto che alcuni gruppi ribelli stanno combattendo anche contro le Forze democratiche siriane. L’Esercito libero sostenuto dalla Turchia, che fa parte della coalizione ribelle che ha preso il controllo di Aleppo, ha dichiarato domenica di aver preso il controllo delle città di Tal Rifaat, Ain Daqna e Sheikh Issa nella parte settentrionale del governatorato di Aleppo. Le Forze democratiche siriane sono composte in gran parte da combattenti curdi appartenenti a una formazione nota come Ypg (Unità di Protezione Popolare), considerato un’organizzazione terroristica da Ankara.
Perché l’escalation in Siria era prevedibile e cosa succederà
Non solo era prevedibile, ma noi lo avevamo proprio previsto. La Siria è tornata agli onori delle cronache per via del conflitto tra Israele e il fronte della “tripla H” (Hamas, Hezbollah e Houthi). Questo perché il Paese rappresenta la piattaforma privilegiata del passaggio di armi e forniture dirette dall’Iran ai suoi satelliti anti-israeliani in Libano e Striscia di Gaza. Piattaforma che lo Stato ebraico vuole distruggere, per spezzare definitivamente la rete di contenimento costruita attorno dal grande nemico sciita. Anche la tregua di 60 giorni concordata col Libano (ma non con Hezbollah, attenzione) va letta nella stessa ottica: Israele ha voluto congelare momentaneamente almeno un fronte di conflitto per concentrarsi su obiettivi più deboli, come la Siria. Per quanto riguarda Tel Aviv il Paese rappresenta un “campo aperto”, per prendere in prestito le parole di Hanin Ghaddar, senior fellow del Washington Institute. La previsione generale indica che, finché la guerra a Gaza e in Libano proseguiranno, Israele continuerà a bombardare obiettivi siriani. Specialmente nei momenti in cui l’accanimento su altri territori risulterà troppo insistente e, dunque, possibile causa di un’escalation totale con l’Iran che ancora non si vuole.
Sulla scia dell’escalation di violenza e instabilità in tutto il Medio Oriente, le potenze attive nel Paese hanno creduto di approfittare della situazione. Turchia e Stati Uniti, ad esempio, possono solo beneficiare della sovraesposizione della Russia sul fronte siriano, in modo da indebolirla ulteriormente e da distrarla dalla guerra in Ucraina.
Perché Assad non reagisce con forza?
La domanda è più che legittima. Pur avendo interessi propri, il regime di Assad deve rendere conto delle esigenze tattiche del suo patron, cioè l’Iran. Iran che, assieme alla Russia, aiuterà di certo il governo a contenere l’ondata jihadista, nella consapevolezza che dietro vi si nascondono potenze avversarie. Lo stesso Assad ha promesso vendetta, finora non pervenuta. Per quanto riguarda l’altro motivo di escalation, i continui raid israeliani, il governo siriano reputa questi attacchi ancora “di basso profilo”, lanciati cioè per tenere alta la pressione su Teheran ma non con intenti distruttivi. Al netto dell’inaccettabile tragedia dei morti civili.
Mentre sanguina ancora dalle ferite aperte 13 anni fa, la Siria guarda con estremo timore all’inasprimento ulteriore della guerra civile e alla sovraesposizione militare. Anche per questo motivo, le timide risposte di Damasco a Israele sono consistite in qualche razzo lanciato oltre confine e atterrato su terreni deserti. La Siria resterà base di retroguardia e insieme rampa di lancio per gli attacchi dei proxy dell’Iran verso lo Stato ebraico. Finché guerra non li separi.