Tel Aviv si piega alle pressioni statunitensi e accetta (apparentemente e in parte) la tregua. È Antony Blinken, il segretario di Stato Usa, a confermare la svolta, dopo una giornata di colloqui intensi con le autorità israeliane. A Gerusalemme, Netanyahu cambia direzione e apre all’accordo proposto dagli americani. Ma non c’è tempo per festeggiare: ora è Hamas che deve controfirmare per mettere fine, anche se temporaneamente, ai bombardamenti nella Striscia di Gaza e avviare il rilascio degli ostaggi israeliani. Un processo di pace che, a quanto pare, rischia di essere fragile e di breve durata. A complicare il quadro c’è il pressing del ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, deciso a non fermare l’operazione fino a quando non saranno raggiunti gli obiettivi dichiarati: riportare a casa gli ostaggi e smantellare Hamas.
Ore decisive di colloqui tra Netanyahu e Blinken
Il faccia a faccia tra Netanyahu e Blinken è durato tre ore. Un incontro che fonti vicine al premier israeliano definiscono “positivo”, con un’atmosfera distesa. Netanyahu ha dato via libera al piano avanzato da Washington la scorsa settimana a Doha, impegnandosi a inviare al summit del Cairo i suoi più stretti collaboratori, tra cui i vertici di Mossad e Shin Bet. Sarà quello il vero campo di battaglia per decidere il futuro della tregua e degli equilibri nella regione. Ma il tour diplomatico di Blinken non si ferma qui: dopo l’Egitto, si sposterà a El Alamein per proseguire la sua missione in Medio Oriente. Da lì, diretto in Qatar, con una scadenza urgente e l’intenzione di chiudere in fretta.
Blinken incalza: l’accordo ora deve passare dalle mani di Hamas
Nessun tentennamento nelle parole di Blinken, che ai giornalisti ha parlato di un incontro “costruttivo”, confermando il cambio di rotta di Netanyahu. Il leader israeliano sembra aver capito che il rischio per la sicurezza del suo paese cresce ogni giorno di più. Ma la vera incognita resta la risposta di Hamas, che potrebbe decidere di non cedere. Per gli Stati Uniti, è tempo di mettere da parte le ambiguità e definire, una volta per tutte, i dettagli dell’accordo. Un risultato che richiederà scelte nette e coraggiose, come ha lasciato intendere lo stesso Blinken. Il segretario di Stato ha ribadito che gli Usa resteranno al fianco di Israele, ma chiede anche uno stop immediato alle violenze dei coloni in Cisgiordania.
La posizione di Gallant: “Israele non si ferma”
Se da un lato la diplomazia tenta la strada della tregua, dall’altro la macchina bellica israeliana non si ferma. Gallant, il ministro della Difesa, non arretra di un millimetro: l’operazione a Gaza deve proseguire senza sosta. Il suo obiettivo è chiaro e non ammette deroghe: riportare a casa tutti gli ostaggi e annientare Hamas, una volta per tutte. “Fino a quando non saranno raggiunti questi obiettivi, Israele resterà impegnata nella sua missione”. Per Tel Aviv, la tregua è solo un mezzo temporaneo, non la fine del conflitto.
Colloqui difficili, molte incognite
Nonostante la parvenza di un accordo, le trattative si preannunciano tutt’altro che semplici. Sul tavolo resta aperta la questione del corridoio Filadelfia, il passaggio strategico di 14 chilometri che separa Gaza dall’Egitto. Netanyahu, su questo fronte, non sembra intenzionato a cedere, mantenendo una posizione inflessibile che rischia di far saltare tutto. Anche il controllo del valico di Rafah e del corridoio Netzarim, arterie cruciali per la Striscia di Gaza, resta un tema caldo.