Nato nel 1853 e deceduto nel 1921, Francesco Tedesco è stato un politico, economista, giurista e magistrato. Nel corso della sua eccellente carriera ha più volte ricoperto il ruolo di ministro nel Regno d’Italia. Una personalità illustre, il cui impegno spinse il governo Giolitti, nel 1905, a nazionalizzare le linee ferroviarie.
Il discorso alla Camera dei deputati
Eletto deputato nel 1900, venne nominato nel secondo governo Giolitti ministro dei Lavori Pubblici. Il tema delle ferrovie fu per lui molto caro, come dimostra il suo storico discorso tenuto dinanzi alla Camera dei deputati.
Parole molto dure, le sue, che denunciavano un vero e proprio regime, quello delle concessioni alle società private. Tutto ciò andava a causare dei danni enormi agli interessi dello Stato. Al tempo di questo confronto accesissimo, non era ancora divenuto ministro. L’allora responsabile dei Lavori Pubblici, Girolamo Giusso, ebbe una reazione molto dura. Ottenne infatti la sua dispensa dall’ufficio di ispettore generale.
Si era duramente scagliato contro le compagnie private, ree a suo dire di fare unicamente i propri interessi. Avrebbero dovuto gestire il sistema ferroviario italiano al meglio ma Tedesco ne denunciò l’assoluta incapacità nell’adeguamento a quelle che erano le nuove esigenze dettate dallo sviluppo industriale. Parole che fecero scattare numerose richieste sindacali da parte dei ferroviari, arrivando a far vacillare il governo.
Nazionalizzazione delle ferrovie
Il processo di statalizzazione delle ferrovie italiane è avvenuto tra il 1903 e il 1915. Come evidenziato dal discorso citato di Francesco Tedesco, era attivo il dibattito sulla necessità o meno di rinnovare le concessioni ferroviarie.
Quest’ultime sarebbero scadute nel 1905, dopo la stipula avvenuta nel 1885 in favore della Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali, così come della Società per le Strade Ferrate del Mediterraneo e della Società per le strade ferrate della Sicilia, rispettivamente rete Adriatica, Mediterranea e Sicula.
Era già stata evidenziata una crisi economica del settore ferroviario, tra il 1885 e il 1896. Lo Stato italiano dovesse intervenire per risolvere la situazione compromessa. Ciò portò però nel 1899 a nominare una commissione ministeriale d’indagine.
L’obiettivo era principalmente quello di constatare le condizioni dei lavoratori ferroviari, dai quali provenivano le maggiori critiche. Ciò evidenziato dalla reazione sindacale successive alle durissime parole di Tedesco alla Camera dei deputati.
Nel 1902 il lavoro della commissione ebbe termine, evidenziando un parere favorevole al rinnovo delle concessioni in essere. Nello stesso anno, però, i ferrovieri, che si erano già riuniti in un potente sindacato da due anni, organizzarono imponenti scioperi per degli aumenti salariali. Dovette intervenire il governo con un contributo finanziario.
La situazione divenne insostenibile, poi, quando fu chiaro che le società private volessero accollare i propri debiti pregressi allo Stato. Quest’ultimo avrebbe inoltre dovuto gestire gli aumenti dei ferrovieri e il rinnovo dei materiali.
In questo scenario, sospinto dal ministro Francesco Tedesco, il governo Giolitti decise per la nazionalizzazione delle ferrovie. Una scelta saggia, reso ormai evidente l’assente interesse dei privati nell’effettuare investimenti nel settore, ormai inadeguato. Lo Stato si ritrovò così in gestione le tre linee già indicate, Adriatica, Sicula e Mediterranea, con ben 75871 operai alle proprie dipendenze.