Pensioni a rischio per il disequilibrio tra centenari e nuovi nati in Italia

Lo squilibrio demografico tra centenari e nuovi nati compromette la stabilità del sistema previdenziale e del mondo del lavoro

Pubblicato:

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

L’Italia è sempre più un Paese di anziani, dove ci sono sempre meno nascite e crescono, invece, i centenari. Secondo i dati Istat pubblicati a novembre 2925, al 1° gennaio 2025 i centenari sono oltre 23.500, in aumento di più di 2mila unità rispetto all’anno precedente.

Di contro, le nascite continuano a diminuire. Nel 2024 sono stati registrati 369.944 nuovi nati, e nei primi sette mesi del 2025 il calo prosegue, con 13mila nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. E questo rischia di compromettere l’equilibrio economico e sociale.

Quanti sono i centenari in Italia e dove vivino

Al 1° gennaio 2025 i centenari residenti in Italia sono 23.548, quasi l’83% dei quali donne. Nel 2009 erano poco più di 10mila. In appena 16 anni la popolazione ultracentenaria è più che raddoppiata (del 130%). La crescita è stata costante, salvo una breve flessione tra il 2015 e il 2019 dovuta alle generazioni più esigue nate durante la prima guerra mondiale.

Anche la fascia dei cosiddetti semi-supercentenari (105 anni e oltre) è in aumento. Sono in tutto 724 persone, di cui 657 donne. I supercentenari, cioè coloro che hanno superato i 110 anni, sono 19 (uno solo uomo). E il “decano d’Italia” è un uomo lucano di 111 anni, mentre la donna più longeva, campana, si prepara a festeggiare 115 anni.

A livello territoriale, la Liguria si conferma tra le regioni più longeve, con quasi 60 centenari ogni 100mila abitanti, seguita da Friuli-Venezia Giulia e Toscana. In rapporto alla popolazione, il primato spetta però al Molise (61 centenari per 100mila residenti).

Tra le province spiccano Isernia e Nuoro, territori legati alle cosiddette zone blu, aree in cui la longevità media è significativamente superiore alla media nazionale.

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Una popolazione che invecchia: effetti e paradossi

Il fenomeno della longevità, da solo, non sarebbe un problema. È il suo squilibrio rispetto alle nuove nascite a destare preoccupazione. Secondo i dati Istat, tra il 2009 e il 2025 la quota di persone che ha raggiunto i 105 anni rispetto alla propria coorte di nascita è più che raddoppiata. Ciò significa che un numero sempre maggiore di persone sopravvive oltre i 100 anni, mentre le nuove generazioni si assottigliano di anno in anno.

Il risultato è un rapporto demografico distorto: sempre più anziani, sempre meno giovani. Questo sbilanciamento mette in difficoltà il ricambio generazionale nel lavoro e la sostenibilità del sistema previdenziale, che si fonda sul principio della solidarietà intergenerazionale. Ovvero i lavoratori attivi finanziano le pensioni di chi non lavora più.

Già oggi l’Italia registra uno dei tassi di dipendenza più alti d’Europa. A fronte di 100 persone in età lavorativa (15-64 anni) ci sono quasi 40 over 65. Se la tendenza attuale dovesse proseguire, nel 2050 il rapporto potrebbe superare i 70 anziani ogni 100 lavoratori.

A questo si aggiunge il crescente fabbisogno di servizi sanitari e assistenziali per la popolazione anziana. Un numero maggiore di ultraottantenni e centenari significa più spesa sanitaria per cure croniche, lungodegenze e supporto domiciliare, in un sistema già sotto pressione per mancanza di personale e risorse.

Natalità in caduta libera: meno di 370mila nati nel 2024

Sul fronte opposto, la situazione della natalità continua a preoccupare. Nel 2024 i nati residenti in Italia sono stati 369.944, quasi 10mila in meno rispetto all’anno precedente (-2,6%). Il tasso di natalità si ferma a 6,3 nati per mille abitanti, mentre nel 2008 era di 9,7. In soli 16 anni il Paese ha perso oltre 200mila nascite all’anno (-35,8%).

Il numero medio di figli per donna ha raggiunto un nuovo minimo storico: 1,18 nel 2024, con una stima provvisoria di 1,13 nel 2025. Per garantire il ricambio generazionale servirebbe un valore di 2,1 figli per donna, più del doppio rispetto alla media attuale.

Le cause che spingono a fare meno figli sono molteplici. Affondano le loro radici nella precarietà lavorativa, difficoltà di accesso alla casa, stipendi bassi e mancanza di servizi per l’infanzia. Si accoda anche un cambiamento culturale. Rispetto alle generazioni precedenti, cioè, si diventa genitori sempre più tardi o si sceglie di non avere figli affatto.

La diminuzione riguarda tutto il Paese, ma con intensità diverse. Nel 2025, tra gennaio e luglio, le nascite sono diminuite del 6,3% rispetto allo stesso periodo del 2024. Le flessioni più marcate si osservano al Centro (-7,8%) e al Sud (-7,2%), con punte del -10% in Abruzzo e Sardegna. Le uniche eccezioni positive sono la Valle d’Aosta (+5,5%) e le province autonome di Bolzano (+1,9%) e Trento (+0,6%), territori in cui le politiche familiari risultano più efficaci.

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Un rischio per pensioni, sanità e crescita

La combinazione tra più centenari e meno neonati si traduce in una crisi strutturale del sistema economico e sociale. Ogni anno, meno lavoratori entrano nel mercato del lavoro e più persone ne escono, andando in pensione o necessitando di assistenza. Questo riduce la base imponibile e aumenta la spesa pubblica, in particolare per pensioni e sanità.

Nel 2025 la spesa pensionistica italiana supera già il 16% del Pil, una delle più alte d’Europa. Se la popolazione in età lavorativa continua a diminuire, il rischio è di rendere insostenibile il sistema a ripartizione.

Sul piano sanitario, invece, l’invecchiamento accelera la domanda di cure e servizi. Le malattie croniche, la non autosufficienza e le esigenze di assistenza continuativa faranno crescere la spesa pubblica e privata nei prossimi decenni.

Nel frattempo, il mercato del lavoro soffrirà una carenza di manodopera giovanile e qualificata. Secondo le proiezioni Istat, entro il 2040 la forza lavoro italiana potrebbe ridursi di oltre 3 milioni di persone, con effetti negativi su produttività, innovazione e competitività.

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