Quanto costa aprire una partita Iva?

Quanto costa aprire una partita Iva: tutto ciò che un lavoratore autonomo o un'impresa devono sapere per portare avanti la propria attività

Pubblicato: 11 Settembre 2018 14:08Aggiornato: 3 marzo 2023 11:12

Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Per motivi fiscali e contabili l’apertura della partita Iva è fondamentale sia per i lavoratori indipendenti che per le imprese. Qualsiasi professionista che decida di mettersi in proprio per vendere, produrre e scambiare beni o servizi deve infatti registrare regolarmente le fatture, esattamente come chiunque voglia avviare un’attività commerciale.

La partita Iva è di fatto un insieme di undici numeri atti a identificare una persona fisica o una società, e al tempo stesso la posizione fiscale in essere. Le prime sette cifre della sequenza univoca vanno a indicare il contribuente, le successive tre sono relative al codice dell’Ufficio delle Entrate, mentre l’ultima ha carattere di controllo. Ma andiamo a vedere quali sono i costi e le modalità di apertura.

Quanto costa aprire una partita Iva

La procedura operativa da seguire per aprire una partita Iva è in realtà abbastanza semplice. Se compiuta in autonomia al netto di eventuali bolli o diritti di segreteria è gratuita: non necessita di alcuna spesa. Qualora ci si rivolga invece a un professionista per lo svolgimento della pratica, come un commercialista o un Centro di assistenza fiscale (Caf), viene richiesto il pagamento di una parcella.

Il costo di una partita Iva risiede soprattutto nel suo mantenimento, che può toccare somme particolarmente sostanziose. E in questo caso molto dipende dalla scelta del regime, in linea generale ordinarioforfettario. Per il primo, valido per i redditi maggiori, le spese risultano essere più ingenti.

Come aprire una partita Iva

Per poter aprire una partita Iva è necessario presentare una regolare richiesta presso l’Agenzia delle Entrate, che provvede al rilascio del codice univoco. Si deve compilare e fornire agli uffici preposti il modello AA9/12 quando l’intestatario è una persona fisica. Il modello AA7/10 è invece dedicato alle società e altri soggetti.

Questi documenti rappresentano la dichiarazione di inizio attività, che deve necessariamente essere consegnata entro 30 giorni dall’avvio della professione autonoma o produttiva. I modelli sono facilmente scaricabili attraverso il sito della stessa Agenzia delle Entrate.

Inoltre è necessario inserire in allegato il proprio documento d’identità in corso di validità, inviando il tutto attraverso raccomandata con ricevuta di ritorno o per via telematica attraverso il software messo a disposizione sul portale. A seconda del proprio lavoro è prevista l’attribuzione di un preciso codice Ateco.

Se l’attività muta col passare del tempo deve essere effettuata una nuova comunicazione. In caso di variazione di uno degli elementi indicati nella dichiarazione di inizio attività, o anche in caso di cessazione della partita Iva, è necessario compilare lo stesso modello e presentarlo sempre entro 30 giorni dalla data del cambiamento.

I costi della partita Iva ordinaria

Il regime ordinario è il sistema fiscale più articolato previsto dall’ordinamento italiano. Devono adottare obbligatoriamente tale contabilità le società di capitali, mentre è facoltativa per le società di persone e ditte individuali che nell’anno precedente non abbiano conseguito ricavi superiori a:

In questo tipo di regime la tassazione viene determinata in maniera progressiva, basandosi sulle aliquote Irpef dell’anno fiscale preso in considerazione. Nel 2023 gli scaglioni sono i seguenti quattro:

Oltre all’Irpef vanno considerate anche le uscite per Irap e Iva. Poi, sempre in tema di costi, c’è il diritto camerale annuo che è di 100 euro per le ditte individuali, mentre per le società va da un minimo di 200 euro fino a un massimo di 40.000 euro a seconda del fatturato.

I costi della partita Iva forfettaria

Il regime forfettario è oggi opzionabile quando si presumono compensi annui inferiori a 85.000 euro. Introdotto in Italia a decorrere dal 1° gennaio 2015, ha portato all’abrogazione di tutti i regimi agevolati esistenti in precedenza. Può accedere a questo tipo di contabilità una persona fisica che esercita un’attività d’impresa, di arte o professione (incluse le imprese familiari).

Quindi è valido per liberi professionisti e ditte individuali, ma non è adottabile da società e associazioni professionali. Come detto, esiste tuttavia il requisito oggettivo del reddito. La Legge di Bilancio 2023 ha alzato il tetto dei ricavi possibili da 65.000 euro a 85.000 euro, perciò i compensi annui devono restare inferiori a questa nuova cifra. Chi la supera deve passare al regime ordinario.

Per quanto riguarda i costi, il sistema forfettario prevede l’esenzione dall’Iva e una tassazione ad aliquote decisamente ridotte rispetto alla normale Irpef. L’imposta è infatti del:

Di contro non è possibile portare in deduzione o detrazione le spese sostenute, a esclusione dei contributi previdenziali obbligatori.

I contributi alla cassa previdenziale

Tra le spese, chi apre una partita Iva nella maggior parte dei casi deve far fronte anche al compenso del commercialista, pari generalmente a circa 1.000 euro all’anno. Ma non finisce qui: sia chi adotta il regime ordinario che quello forfettario deve effettuare l’iscrizione obbligatoria a una cassa previdenziale, con i conseguenti versamenti annuali.

La scelta, nella gran parte dei casi ricade sull’Inps, con aliquote differenti a seconda dell’attività svolta. Gli appartenenti a ordini professionali, come architetti, ingegneri, giornalisti, medici e psicologi, devono invece registrarsi alla cassa previdenziale della propria categoria di appartenenza.

La modalità di fatturazione

A partire dal 1° gennaio 2024, indipendentemente dai ricavi conseguiti, tutte le partite Iva saranno costrette a produrre le fatture in modalità elettronica e a inviarle quindi al Sistema di Interscambio (SdI) gestito dall’Agenzia delle Entrate. Una modalità già prevista dal 2019 per le fatture emesse a seguito di cessioni di beni e prestazioni di servizi tra soggetti residenti o stabiliti in Italia.

Nel 2023 però alcuni contribuenti con il regime forfettario potranno continuare a scegliere a propria discrezione l’emissione da utilizzare, tra cartacea e digitale. Solo chi ha superato la soglia di reddito di 25.000 euro nel 2021 non può emettere la fattura tradizionale. Chi nel 2022 ha oltrepassato tale tetto, indicato dalla normativa, può utilizzare ancora fino al prossimo 31 dicembre quella cartacea.

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