Alzheimer, ridurre il rischio si può. Gli esperti spiegano come

In occasione della Giornata Mondiale dell'Alzheimer, alcuni studi dimostrano che intervenire sui fattori di rischio potrebbe prevenire o ritardare quasi la metà dei casi.

Pubblicato: 20 Settembre 2024 10:30

Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Il 21 settembre si celebra la Giornata Mondiale dedicata alla malattia di Alzheimer. E non mancano le buone notizie, soprattutto in chiave di prevenzione. Alcuni studi hanno infatti mostrato come intervenendo sui fattori di rischio modificabili si può sperare di prevenire i segni del decadimento cognitivo, o quanto meno ritardarne la comparsa.
A segnalarlo, in vista della riunione del G7 sulle demenze prevista ad Ancona l’8 di ottobre, sono gli esperti della Società Italiana di Neurologia (SIN).

I “nuovi” fattori di rischio

Controllate gli occhi, evitando di ritrovarvi con cali pesanti della vista in età avanzata senza un necessario trattamento. E tenete a livelli accettabili, meglio se più bassi possibile, i valori nel sangue del colesterolo LDL, quello che genericamente viene definito “cattivo. Questi due elementi si aggiungono a quelli già noti e vanno considerati con attenzione, anche nelle persone che presentano caratteristiche genetiche che favoriscono la comparsa del decadimento cognitivo.

Questi nuovi fattori di rischio si aggiungono ai fattori di rischio precedentemente identificati dalla Lancet Commission nel 2020 (bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, resistenza all’insuline e diabete, consumo eccessivo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale), che sono collegati al 40% di tutti i casi di demenza.

Oltre a questi, tuttavia, devono essere tenuti in considerazione anche la contaminazione e sofisticazione degli alimenti, le alterazioni del microbiota intestinale e orale, i disturbi del sonno, le infezioni da virus Herpes e probabilmente l’invecchiamento immunitario o immunosenescenza.

Perché occorre agire

La SIN chiede ai governi e alla società di impegnarsi nell’affrontare i rischi della demenza nel corso della vita, sostenendo che una azione di promozione a favore della prevenzione primaria e secondaria rappresenta la vera arma per vincere la sfida con le demenze, incrementando nello stesso tempo i sostegni socio-sanitari a favore dei malati e dei loro familiari.

A causa del rapido invecchiamento della popolazione in Italia, si prevede che il numero di persone affette da demenza quasi triplicherà entro il 2050, passando da 1,2 milioni nel 2019 a oltre 3 milioni, con costi stimati diretti e indiretti 23 miliardi a più di 60 miliardi di euro. L‘aumento dell’aspettativa di vita inoltre determinerà un aumento delle persone affette da demenza nei paesi a basso reddito e in povertà. Tuttavia, anche nel nostro Paese, la percentuale di anziani affetti da demenza è diminuita, in particolare tra coloro che vivono in aree avvantaggiate dal punto di vista ambientale e dal punto di vista socio-economico.
Il calo delle persone che sviluppano demenza è probabilmente dovuto in parte alla resilienza cognitiva e fisica e a un minor danno vascolare come risultato di miglioramenti nell’assistenza sanitaria e nei cambiamenti nello stile di vita, dimostrando l’importanza di implementare approcci di prevenzione il prima possibile.

Le raccomandazioni fondamentali

“Per ridurre il rischio di Alzheimer può e deve essere fatto molto di più – spiega Alessandro Padovani, Presidente della SIN. Abbiamo prove convincenti del fatto che un’esposizione più lunga ai diversi fattori di rischio ha un effetto maggiore e che i rischi agiscono maggiormente nelle persone vulnerabili. Ecco perché è fondamentale incentivare gli sforzi preventivi verso coloro che ne hanno più bisogno, compresi coloro che vivono in aree a basso e medio reddito e nei gruppi socio-economicamente svantaggiati. É un compito che riguarda tutti e che deve mirare a ridurre le disuguaglianze di rischio rendendo gli stili di vita sani il più possibile raggiungibili per tutti”.

Per ridurre il rischio di demenza nel corso della vita, la SIN delinea diverse raccomandazioni. Proviamo a vederle assieme.

L’importanza dello stile di vita e della prevenzione sull’economia

“Uno stile di vita sano – prosegue Padovani – che preveda esercizio fisico regolare, non fumare, un sonno regolare, fornire stimoli cognitivi e mentali anche al di fuori dell’istruzione formale e che eviti un uso eccessivo di sostanze alcoliche e favorisca un’alimentazione equilibrata ricca in verdure e frutta, non solo è in grado di ridurre il rischio di demenza, ma può anche ritardarne l’insorgenza così come rallentarne il decorso. Ciò ha enormi implicazioni sulla qualità della vita per gli individui e benefici in termini di risparmio sui costi per le società“.
Pensate: l’Italia potrebbe in questo modo ottenere in 20 anni risparmi sui costi attuali pari a circa 10 miliardi di euro da destinare alla realizzazione di attività di sostegno ai malati e ai familiari.

In uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Healthy Longevity Naaheed Mukadam (UCL Psychiatry), i coautori hanno modellato l’impatto economico dell’implementazione di alcune di queste raccomandazioni, usando l’Inghilterra come esempio. I risultati dello studio suggeriscono che l’uso di interventi a livello di popolazione di nota efficacia per affrontare i fattori di rischio della demenza potrebbe avere un profondo effetto sulla prevalenza della demenza e sulle disuguaglianze, nonché significativi risparmi sui costi.

Infine, la SIN chiede anche un maggiore supporto per le persone affette da demenza e le loro famiglie. In molte regioni e in molte aree del nostro Paese, gli interventi efficaci che si sa possano giovare alle persone affette da demenza non sono ancora disponibili o non sono una priorità.
Allo stesso modo, le esigenze di molti caregiver non sono adeguatamente considerate e soddisfatte.
Sarebbe importante fornire interventi di coping per i familiari che prestano assistenza e che sono a rischio di depressione e ansia, garantendo oltre ad agevolazioni e supporti economici, anche supporto emotivo, pianificazione per il futuro e informazioni sulle risorse mediche e socio-sanitarie.
A maggior ragione, è quanto mai necessario promuovere azioni concertate a sostegno delle persone sole e isolate così come di tutte le persone fragili, data l’evidenza che queste sono a maggior rischio di sviluppare la Malattia di Alzheimer.

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