Evitare a tutti i costi il ritorno della legge Fornero. È questo il dossier a cui stanno lavorando i partiti di maggioranza, con la Lega in pole position che continua a proporre Quota 41. Che potrebbe arrivare, sì, ma solo per una platea ristretta rispetto a quanto preventivato in precedenza. Dopo le valutazioni dell’Inps sull’impossibilità di attuare la misura nella sua forma originaria, infatti, il centrodestra sta passando al vaglio le ipotesi sul futuro delle pensioni in Italia. Sembra invece essere sfumata la cosiddetta Opzione uomo.
Quota 41 ma con limiti di età: si torna così a Quota 101 e Quota 102
La riforma previdenziale tanto attesa alla fine non è arrivata, e il nuovo Esecutivo dovrà lavorare con urgenza per permettere l’accesso alla pensione a condizioni desiderabili. Sul tavolo rimane ancora Quota 41, che però potrebbe diventare realtà con requisiti diversi di età. La misura proposta dalla Lega, che ha indetto un vertice sul tema, potrebbe infatti essere attuata con una soglia anagrafica.
Secondo fonti della maggioranza, l’introduzione dei nuovi limiti potrebbe rendere Quota 41 più sostenibile, e richiedere molto meno dei 5 miliardi di euro all’anno previsti per la sua forma originaria. Tutto dipenderà da quale età sarà fissata per l’accesso allo scivolo pensionistico. Se la soglia dovesse essere fissata a 60 o 61 anni, comunque, si tratterebbe solo di cambiare il nome a Quota 101 o all’attuale Quota 102.
Sfuma Opzione uomo: pensioni troppo basse per chi la sceglierebbe
Come già detto, sembra sfumare invece l’ipotesi Opzione uomo, con la possibilità di andare in pensione a 58 anni – aspettando un anno di finestra mobile – con il solo sistema contributiva e una decurtazione dell’assegno. Replicare Opzione donna al maschile non sarebbe né sostenibile né particolarmente appetibile per i futuri pensionati.
Uscire dal mondo del lavoro a 58 anni, con assegno che arriverebbe comunque a 59 considerando l’anno di finestra mobile, significa perdere circa il 30% della pensione rispetto a quella maturata 7 anni dopo con 42 anni e 10 mesi di contributi. I contributi infatti sarebbero meno e divisi per più anni. Il primo assegno sarebbe pari a circa la metà dell’ultimo stipendio.
Opzione donna è stata scelta da circa il 25% delle persone che ne avevano i requisiti (58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome con almeno 35 anni di contributi e calcolo interamente contributivo).
Per gli uomini la percentuale potrebbe essere molto più bassa, considerando che oggi sono i lavoratori ad avere mediamente gli stipendi più alti nelle famiglie. E in un contesto di incertezza economica e rincari in bolletta e nel carrello della spesa, appare evidente che sarebbero in pochi a procedere su questa strada.
Troppi i nodi da sciogliere per attuare una vera riforma delle pensioni
Ragionare sulla flessibilità di uscita legata al solo calcolo contributivo, comunque, sembra una buona strategia. Lo stesso Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, ha parlato di “direzione giusta”. Su cui bisogna però ragionare ulteriormente tenendo conto delle reali possibilità di accedere a misure simili da parte di chi ha redditi medio-bassi. Opzione uomo potrebbe andare bene per chi ha uno stipendio netto di 3 mila euro, e arriverebbe così a circa 1.500 euro al mese per 13 mensilità.
L’altro nodo da sciogliere per poter attuare la misura sarebbe inoltre quello dei conti pubblici, considerando che l’intervento dovrebbe essere finanziato nei primi anni di attuazione. Pur passando a un regime contributivo, dovrebbero essere anticipati dallo Stato gli esborsi pensionistici e crescerebbe la spesa a breve termine. L’equilibrio verrebbe raggiunto solo nel lungo periodo, a patto però di attuare una vera riforma delle pensioni.