In pensione più tardi con uno stipendio basso, è l’effetto della legge Fornero

L'interazione tra il minimo contributivo e l'aumento automatico dell'età pensionabile previsto dalla legge Fornero porta chi ha stipendi bassi ad andare in pensione più tardi

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

La Cgil ha stilato un rapporto che evidenzia le conseguenze dell’aumento dell’età pensionabile previsto per i prossimi anni sugli stipendi bassi. La crescita di tre mesi del requisito di anzianità, prevista in automatico per il 2027 e in parte rimandata dal Governo, avrà infatti conseguenze peggiori su chi guadagna molto poco.

Il problema sta nel minimo contributivo, la cifra che un lavoratore deve guadagnare ogni settimana per versare abbastanza contributi, in modo che quel periodo conti ai fini del requisito di anzianità. Chi ha lavori saltuari, part-time, stagionali o semplicemente viene pagato poco, rischia di metterci molto più di tre mesi a maturare i nuovi requisiti.

L’aumento dell’età pensionabile e il minimo contributivo

La legge Fornero, che regola quando i lavoratori italiani possono andare in pensione e la cifra che prendono una volta pensionati, prevede un meccanismo automatico di aumento dell’età pensionabile. È legato all’aspettativa di vita, che nel nostro Paese è tra le più alte al mondo. Nel 2027 ci sarebbe dovuto essere un aggiornamento, che avrebbe portato il requisito di età a 67 anni e 3 mesi.

Il Governo ha però deciso, come spesso accaduto negli ultimi anni, di rimandare questo aumento. Il risultato è stato che, fermo restando il requisito di 20 anni di contributi, quello anagrafico subirà:

Questo meccanismo è una delle basi della sostenibilità del nostro sistema pensionistico, come lo è il concetto di minimo contributivo. Ogni settimana, un lavoratore deve versare un minimo di contributi perché quel periodo conti ai fini del calcolo della pensione. Se non raggiunge il minimo, è come se per quella settimana non avesse lavorato.

Perché chi guadagna di meno va in pensione più tardi

Dall’interazione tra questi due meccanismi, avvisa la Cgil, si crea una distorsione che riguarda chi non raggiunge il minimo contributivo. Il sindacato calcola che sono coinvolti tutti i lavoratori che guadagnano meno di 12.551 euro all’anno (241,36 euro in media a settimana). Si tratta principalmente di lavoratori che hanno:

Queste categorie, nei tre mesi che si aggiungeranno a partire dal 2028, “perderanno” alcune settimane nelle quali non matureranno abbastanza contributi per raggiungere il minimo. Questo li porterà a dover lavorare più dei tre mesi di aumento dell’età pensionabile per riuscire a recuperare questo periodo. Più lo stipendio è basso, più tardi andranno in pensione:

Il minimo contributivo si sta “mangiando” gli stipendi

La Cgil ha sottolineato anche un altro problema. Il minimo contributivo si calcola come il 40% del trattamento pensionistico minimo, che nel 2025 è di poco più di 600 euro al mese. Questa cifra, però, subisce quasi ogni anno aumenti maggiorati, visto che è rivolta a una delle fasce di popolazione più fragili in assoluto.

Al contempo, in Italia gli stipendi sono sostanzialmente fermi dagli anni ’90, il più delle volte solo a livello reale, in alcuni casi anche nominale. Il risultato è che il minimo contributivo cresce insieme alla pensione minima, ma gli stipendi rimangono fermi. Quindi sempre più lavoratori si ritrovano a non riuscire a raggiungere la quota di contributi che gli servirebbe per maturare la pensione.

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