Il governo prepara la propria riforma del sistema previdenziale che punta a superare la legge Fornero: oltre all’ipotesi della Quota 100, di cui si è molto parlato nelle settimane passate, prende corpo quella dei 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica.
Pensione dopo 41 anni di contributi
La nuova “Quota 41” permetterebbe dunque a tutti i lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi, quale che sia l’età. Se però il calcolo della pensione dovesse essere effettuato con il sistema contributivo, come sembra probabile per poter rendere sostenibile per i conti dello Stato, l’assegno rischia di ridursi. La penalizzazione sarebbe limitata dal fatto che la norma modificherebbe solo la valorizzazione dei versamenti effettuati successivamente al 1996 e fino al 2012, da parte di lavoratori con più di 18 anni di contratto prima della riforma Dini.
Secondo Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali e fra gli autori del programma previdenziale della Lega, i lavoratori che hanno avuto carriere piatte e senza aumenti retributivi negli ultimi anni non subirebbero grosse perdite, mentre una sensibile riduzione potrebbe arrivare per chi ha beneficiato di aumenti salariali e arrivare fino al 9-10% per un 64enne con oltre 20 anni di contributi).
Addio Fornero: pro e contro
Secondo il sito delle piccole-medie imprese pmi.it, il problema di fondo delle due misure previdenziali allo studio (quota 100 e 41 anni di contributi) è che l’investimento nelle attuali pensioni anticipate ridurrebbe all’osso il futuro assegno pensionistico per le future generazioni.
Un ulteriore problema è che le novità comporterebbero penalizzazioni rispetto alle attuali regole per diverse categorie di lavoratori svantaggiati, che invece godono oggi di agevolazioni, ad esempio: donne madri, addetti a mansioni gravose, lavoratori con periodi di cassa integrazione e così via. Insomma le penalizzazioni rispetto all’attuale regime previdenziale non saranno uguali per tutti.