Export alimentare in calo, per l’Italia a rischio un mercato di oltre 40 miliardi

Export agroalimentare italiano in crisi: le esportazioni crollano a causa dei dazi USA e del mancato controllo sul 97% dei prodotti esteri. L'allarme Coldiretti sull'aumento dei falsi Made in Italy

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Secondo Coldiretti, l’export dei prodotti alimentari e agroalimentari italiani all’estero è in calo, mentre solo il 3% dei prodotti alimentari stranieri che entra nei paesi dell’Unione europea, Italia compresa, sarebbe sottoposto a verifiche. Ciò significa che 97 prodotti su 100 entrano senza controlli di sicurezza. Ma a minacciare il Made in Italy agroalimentare non sono solo le importazioni di prodotti stranieri.

Cosa c’è dietro al crollo dell’export alimentare italiano

Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti e i dazi di Donald Trump stanno colpendo duramente le esportazioni italiane. Le prime analisi Coldiretti su dati Eurostat segnalano forti contrazioni nelle vendite di prodotti simbolo del nostro export. In particolare, sono scese del 36% per i trasformati di pomodoro, del 21% quelle della pasta e del 12% quelle dei formaggi italiani. Il calo maggiore è stato però registrato per l’olio extravergine d’oliva, settore dove le esportazioni sono scese del 62%.  Il vino, storicamente il primo prodotto dell’export agroalimentare italiano, ha registrato a settembre un calo del 18%, in lieve miglioramento rispetto al -30% di agosto, primo mese di applicazione del dazio del 15% imposto da Washington.

In ogni caso, si tratta di un durissimo colpo per un comparto che, nel 2024, aveva superato i 40 miliardi di euro di esportazioni complessive, rappresentando un pilastro dell’economia nazionale e un biglietto da visita dell’Italia nel mondo.

L’effetto collaterale e il boom dei falsi

Il crollo dell’export non colpisce solo i produttori italiani, ma alimenta anche un mercato parallelo di imitazioni e falsi Made in Italy, in particolare negli Stati Uniti. Secondo l’analisi Coldiretti su dati USDA, gli USA producono oltre 2,7 miliardi di chili di “italian cheese”, ovvero formaggio venduto per italiano che italiano non è (222 milioni di chili di Parmesan, 170 milioni di chili di provolone, 23 milioni di chili di pecorino romano e oltre 2 miliardi di mozzarella e altri formaggi “italian style”).

Si tratta di un mercato da oltre 40 miliardi di dollari, dominato da prodotti che evocano l’Italia solo nel nome, ma che nulla hanno a che vedere con le nostre filiere, le nostre materie prime e i nostri disciplinari di produzione. Il rischio è che, con l’aumento dei prezzi dovuto ai dazi, i consumatori americani si orientino sempre più verso queste imitazioni a basso costo, erodendo quote di mercato e valore al vero Made in Italy.

Regole europee sbilanciate e assenza di reciprocità

Il problema di fondo, evidenzia Coldiretti, riguarda gli accordi commerciali stipulati dalla Commissione europea. In molti casi, questi non prevedono il principio di reciprocità, ovvero l’obbligo che i prodotti importati rispettino gli stessi requisiti imposti ai produttori europei.

“Non siamo contrari agli accordi di libero scambio, ma senza reciprocità non è possibile tutelare il nostro settore agroalimentare”, ha dichiarato Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.  Tra gli accordi più contestati, quello con il Mercosur (che comprende Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay). L’intesa, ancora in fase di definizione, prevede l’ingresso agevolato nell’Ue di carne, riso, miele e altri prodotti provenienti dal Sud America, dove sono consentiti pesticidi e antibiotici vietati in Europa.

Secondo i dati elaborati da Coldiretti su base Istat, nei primi otto mesi del 2025 le importazioni agroalimentari dal Mercosur sono aumentate del 18%, raggiungendo 2,3 miliardi di euro, mentre le esportazioni italiane verso quei Paesi sono calate dell’8%, fermandosi a 284 milioni di euro.

Le analisi condotte dall’associazione hanno inoltre evidenziato presenze irregolari di residui chimici e sostanze non ammesse in Ue in diversi campioni provenienti dal Sud America. Eppure, il 90% di questi prodotti entra in Europa attraverso il porto di Rotterdam.

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