Maternità e lavoro, che fare? Sono tantissime le domande che assillano le donne quando entrano in gravidanza, e queste riguardano anche la dimensione lavorativa. Di cosa c’è bisogno? Quali documenti servono? Cosa bisogna fare? Di chi è la responsabilità se qualcosa non funziona?
Non a caso sono sempre più in aumento ricorsi amministrativi e in alcuni casi anche giurisdizionali da parte delle lavoratrici private e della gestione separata proprio riguardo alla documentazione da presentare, soprattutto per le future mamme che si trovano in un contesto lavorativo caratterizzato da flessibilità.
Indice
Cos’è la maternità flessibile e a chi spetta
Forse non tutti sanno che con una legge del 2000 è stata prevista la possibilità, per le lavoratrici dipendenti, di utilizzare il congedo di maternità in forma cosiddetta flessibile, posticipando cioè un mese dell’astensione dal lavoro prima del parto – l’8° mese di gravidanza – al periodo successivo al parto. In pratica, si può andare in maternità dal 9° mese di gravidanza al 4° mese di vita del bambino, anziché usare la formula standard 2 mesi prima + 3 mesi dopo il parto.
Ferma restando la durata complessiva di 5 mesi del congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei 4 mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che questa opzione non crei problemi alla salute della donna o del bambino.
Questo vale per tutte le lavoratrici dipendenti da datori di lavoro del settore privato e per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata le cui aliquote sono cambiate nel 2022 che vogliano astenersi dal lavoro avvalendosi della flessibilità del congedo di maternità oppure interamente dopo il parto.
Come funzionano le certificazioni sanitarie
La lavoratrice che intenda usufruire di questa opzione deve presentare apposita domanda al proprio datore di lavoro e all’ente erogatore dell’indennità di maternità, INPS o altro, corredata dalle certificazioni sanitarie necessarie acquisite nel corso del 7° mese di gravidanza.
Se la mamma lavoratrice intende usufruire della maternità flessibile, deve indicare nelle domande di congedo di maternità la possibilità di esercitare la flessibilità, indicando anche i giorni di flessibilità di cui vuole fruire, e verificando, in fase istruttoria, che la documentazione sanitaria sia conforme a quanto previsto dalla legge, o redatta da un medico del Servizio sanitario nazionale o convenzionato, nel corso del 7° mese di gravidanza.
Queste certificazioni devono essere rilasciate da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o da un medico convenzionato, nonché, dove previsto, dal medico aziendale. Ma non esiste l’esplicito obbligo di produrre le certificazioni all’INPS o altro istituto erogatore dell’indennità: viene infatti lasciata la relativa verifica alle Regioni, e per conto loro al Servizio sanitario nazionale.
Cosa cambia nell’invio dei certificati medici
L’INPS ha voluto chiarire che la verifica dei certificati medici non deve incidere in alcun modo sugli assegni di maternità, di competenza dell’INPS, ma solo sulle eventuali responsabilità del datore di lavoro. L’obiettivo chiaramente è tutelare le mamme lavoratrici.
Il punto più importante è che l’assenza, o l’acquisizione non conforme alle norme, delle certificazioni sanitarie non comporta conseguenze sulla misura dell’indennità di maternità.
La novità, ora, è che la documentazione sanitaria richiesta non deve più essere presentata all’INPS, ma solamente ai propri datori di lavoro o committenti.
Per potere fruire della flessibilità del congedo di maternità, le lavoratrici dipendenti devono acquisire come dicevamo nel corso del 7° mese di gravidanza, prima dell’inizio dell’8° mese, le certificazioni sanitarie che attestino che la prosecuzione del lavoro durante l’8° mese di gravidanza non sia rischioso né per la mamma né per il feto.
E’ stato anche riconoscendo alle lavoratrici, in alternativa, la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo il parto, entro i 5 mesi successivi, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o convenzionato e il medico competente aziendale attestino che questo non crea danni potenziale alla salute della mamma e del piccolo.
Questo nuovo orientamento – chiarisce l’INPS – deve essere adottato anche con riferimento alle domande già presentate e in fase istruttoria.
Cosa fare se i tempi non vengono rispettati
Le certificazioni sanitarie che non siano state redatte nel corso del 7° mese di gravidanza non permettono di proseguire il lavoro per i giorni dell’8° mese successivi alla data di rilascio delle attestazioni, e quindi la domanda di maternità flessibile viene respinta. In questa ipotesi, scatta il periodo di maternità secondo le modalità ordinarie, e cioè 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo la data effettiva.
Se il certificato viene presentato oltre il 7° mese e la lavoratrice abbia continuato a lavorare, il datore di lavoro, salve le sue eventuali responsabilità di natura penale, dovrà corrisponderle la retribuzione e quindi l’INPS non corrisponderà la indennità di maternità per l’8° mese di gravidanza.
Se la certificazione viene nelle more acquisita, la lavoratrice che aveva continuato a lavorare nell’8° mese usufruirà dell’astensione fino al 4° mese successivo alla nascita, percependo dall’INPS la relativa indennità. Il periodo complessivo di 5 mesi non è disponibile.
La mancata presentazione preventiva delle certificazioni comporta che il lavoro nell’8° mese è in violazione del divieto di legge, ma non comporta conseguenze sulla misura della indennità di maternità.