Martedì 14 gennaio, un’importante spaccatura sindacale ha bloccato il tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto del personale sanitario pubblico, segnando un punto di stallo che si estende anche agli altri settori della Pubblica Amministrazione (PA). Le difficoltà continuano, e oltre cinque miliardi di euro che erano stati destinati agli aumenti salariali dei dipendenti pubblici per il periodo 2025-2027 ora restano fermi nelle casse dello Stato, in attesa di una soluzione.
Le ragioni dello stop agli aumenti degli stipendi pubblici
L’accordo sugli aumenti degli stipendi promessi ai dipendenti pubblici non si è raggiunto perché i sindacati (Cgil, Uil e Nursing Up) hanno contestato e rifiutato le proposte avanzate dal Governo, ritenendole inadeguate e insufficienti rispetto alle necessità dei lavoratori, soprattutto in un periodo in cui i costi della vita sono aumentati notevolmente.
Nel dettaglio, la richiesta originaria dei sindacati era di un adeguamento agli aumenti dell’inflazione per il triennio 2022-2023, ma la proposta del governo non è stata accettata e, quindi, si è tornati a una fase di stallo.
I sindacati, poi, hanno sottolineato che gli aumenti salariali proposti non sono sufficienti a coprire le perdite di potere d’acquisto subite dai lavoratori pubblici durante la spinta inflazionistica del 2022 e 2023, che ha eroso in modo significativo il salario reale. Per questo motivo non si sono detti disposti ad accettare un aumento che considerano insufficiente, se si considera che l’inflazione ha sfiorato il 17%, mentre l’incremento lordo degli stipendi proposto è stato solo del 6%.
Le parole di Zangrillo: cosa succede ora?
Il Ministro della PA, Paolo Zangrillo, ha sottolineato l’importanza di proseguire il dialogo con i sindacati, ma ha anche messo in evidenza che l’interruzione delle trattative potrebbe portare a un’erogazione unilaterale degli aumenti, ovvero alla possibilità che il governo decida di applicare gli aumenti salariali ai dipendenti pubblici senza un accordo sindacale. Quindi, l’esecutivo potrebbe decidere autonomamente l’entità degli aumenti e distribuire le risorse previste senza il consenso o la partecipazione attiva dei sindacati.
Questo scenario, ha dichiarato, sarebbe però come una “sconfitta per tutti” e un’occasione mancata per trovare soluzioni condivise che possano realmente migliorare la qualità del lavoro nel settore pubblico.
Inoltre, secondo il Ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, una delle cause del fallimento delle trattative è stata la politicizzazione del confronto, che ha spostato il dibattito da un piano sindacale a uno politico. Il Ministro ha lamentato che, se la discussione fosse rimasta focalizzata sui bisogni concreti dei lavoratori, le trattative avrebbero potuto portare a un aumento del 14% per il periodo 2025-2027.
Di tutta risposta, però, Fp Cgil hanno spiegato che la proposta di fatto avanzata dal governo non forniva invece soluzioni reali per migliorare le condizioni lavorative e professionali del personale e di altri dipendenti pubblici, perché le risorse stanziate per i rinnovi salariali sono insufficienti rispetto alle necessità e alle aspettative dei lavoratori.
Un passo in avanti sul contratto delle Funzioni centrali
Nel frattempo, si è registrato almeno un passo avanti: il contratto per i 194 mila dipendenti delle Funzioni centrali, che include lavoratori di ministeri, agenzie fiscali e INPS, è stato approvato e si attende solo la certificazione della Corte dei Conti. Questo rappresenta l’unico accordo concluso finora, e porterà con sé anche novità interessanti.
Per i lavoratori rientranti in questo CCNL, gli aumenti salariali, insieme agli arretrati, dovrebbero arrivare a partire dal mese di febbraio.