In part-time rifiuti più ore di lavoro: puoi essere licenziato

Il lavoratore part-time che rifiuta il tempo pieno può essere licenziato dall'azienda, ma il datore di lavoro deve aver raccolto materiale

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Il contratto part-time è regolato in modo molto preciso dalla legge, perché è ispirato a esigenze di tutela sociale, di cui il datore di lavoro deve tener conto nelle sue scelte organizzative. Il tempo parziale non è una mera scelta aziendale legata alla flessibilità produttiva o un contatto di serie B, ma uno strumento di politica sociale, che deve favorire l’inclusione occupazionale, permettere una migliore conciliazione tra vita privata e lavoro e garantire parità di trattamento rispetto a chi lavora a tempo pieno.

Ecco perché l’azienda non ha totale discrezionalità ma deve bilanciare le esigenze produttive con i diritti del personale. Ci sono casi pratici, però, in cui le sue esigenze prevalgono e giustificano il licenziamento del lavoratore part-time che si oppone a modifiche di orario.

Lo ha spiegato la Cassazione con la decisione 9901/2025. Vediamola da vicino per capirne la portata generale per tutti i lavoratori con questo tipo di orario e per le aziende che se ne avvalgono.

Licenziata dopo la richiesta di lavorare di più: il caso

Una donna, assunta nel ruolo di addetta alla contabilità part-time, era stata licenziata dall’azienda per giustificato motivo oggettivo (da distinguersi chiaramente da quello soggettivo). Alla richiesta di aumentare l’orario di lavoro, accompagnata da un corrispondente incremento della retribuzione, la lavoratrice aveva risposto negativamente.

Ne era seguita l’impugnazione del recesso unilaterale davanti al tribunale, poiché l’impiegata lo riteneva sproporzionato rispetto alle circostanze appena descritte.

Il giudice d’appello aveva ritenuto fondato il licenziamento, in quanto prevalevano le mutate esigenze organizzative interne, conseguenti all’aumento della clientela.

L’azienda necessitava di un maggior impegno orario da parte del personale e, alla luce di quanto emerso nel corso del giudizio, vi era una concreta impossibilità di redistribuire il carico di lavoro aggiuntivo senza aumentare l’orario della lavoratrice o senza ricorrere al lavoro straordinario.

Lavoro part-time
🕒 Definizione Contratto con orario inferiore a quello normale (40 ore settimanali o diverso CCNL)
📅 Tipologie Orizzontale (riduzione ore giornaliere)
Verticale (solo in alcuni giorni o settimane)
Misto (combinazione delle due)
📃 Forma contrattuale Scritta obbligatoria per validità, con indicazione precisa dell’orario
💰 Trattamento economico Proporzionale alle ore lavorate, stesse tutele del full-time
🏖️ Ferie e permessi Calcolati in proporzione alle ore e ai giorni lavorati
⏱️ Lavoro supplementare Consentito nei limiti contrattuali, con maggiorazione (salvo specifico rifiuto del lavoratore)
🔁 Trasformazione Possibile su base volontaria, su richiesta del lavoratore o del datore, con atto scritto
👶 Priorità di trasformazione Diritti di priorità per genitori con figli fino a 12 anni, caregiver, ecc.
🛡️ Tutele Non discriminazione
Parità di trattamento
Contribuzione proporzionale

La conferma del licenziamento dalla Cassazione

La dipendente licenziata si giocò l’ultima carta con il ricorso in Cassazione, che però non si rivelò vincente. Con tale ricorso, oltre a ribadire le proprie contestazioni nei confronti dell’azienda, mise in discussione il ragionamento logico-giuridico alla base della sentenza d’appello.

Per giungere alla decisione, la Suprema Corte sottolineò anzitutto che il legislatore stabilisce quanto segue:

il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Si tratta di quanto previsto dall’art. 6 del D.lgs. 81/2015, attuativo del Jobs Act, il quale – anche in questa vicenda – dimostra tutta la sua centralità.

In particolare, il principio giurisprudenziale evidenziato dalla Cassazione si sintetizzò in due punti fondamentali:

Ma attenzione. Nel testo della sentenza 9901/2025, la Corte ha chiarito che l’azienda conserva la facoltà di licenziare il lavoratore a tempo parziale per giustificato motivo oggettivo se non ci sono soluzioni alternative e mansioni diverse e compatibili con cui riorganizzare utilmente le ore di lavoro.

Il riferimento va ai precedenti della stessa Corte, e in particolare alle decisioni n. 30093 del 2023 e n. 18904 del 2024 (ricollocazione in altro posto di lavoro per obbligo di repêchage).

Pertanto, se l’unica soluzione possibile porta a un aumento dell’orario che il lavoratore part-time rifiuta e l’azienda è in grado di provarlo nell’eventuale disputa giudiziaria, il no al full time renderà valido e legale il licenziamento.

Nella vicenda che qui interessa l’azienda aveva raccolto e presentato in tribunale molto materiale utile a evidenziare la mancanza di soluzioni alternative percorribili.

In breve, il carico di lavoro assegnato al personale contabile, alla luce dell’aumento di clienti, non poteva essere ripartito diversamente per garantire la miglior organizzazione aziendale. La donna poi svolgeva funzioni specifiche e, conseguentemente, non poteva essere assegnata a ruoli diversi, stante la rigida e sistematica organizzazione dell’organico.

Ecco perché, come confermato nella decisione n. 9901, il rifiuto le è costato il lavoro.

Il ragionamento logico-giuridico della corte di appello era giusto, perché ha certificato la mancanza di una soluzione oraria alternativa e praticabile e l’impossibilità di applicare le regole della ricollocazione per ripescaggio, mancando posti disponibili.

Quando si può licenziare il dipendente part-time che rifiuta il full-time

La sentenza della Cassazione 9901/2025 è di orientamento per tutte le aziende e spiega infatti quando si può licenziare un dipendente part-time, che rifiuta il passaggio a full-time.

Nel caso specifico il lavoratore ha ottenuto un esito giudiziario sfavorevole perché il datore ha dimostrato l’impossibilità di una differente articolazione dell’orario lavorativo e di una sua ricollocazione in base al principio di tutela del ripescaggio o repêchage. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stato così dichiarato legittimo dai giudici di piazza Cavour.

In caso di impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà sempre dimostrare l’impossibilità di utilizzo della stessa prestazione lavorativa. E dovrà comportarsi nel pieno rispetto del principio di correttezza e buona fede di cui all’art. 1375 Codice Civile, il quale sorregge tutti i rapporti di lavoro subordinato.

Se il no rende impossibile l’organizzazione del lavoro e non esistono alternative, l’azienda potrà licenziare per giustificato motivo oggettivo.

Concludendo, da parte sua il lavoratore potrà certamente impugnare la decisione datoriale, ma valutando bene il contesto.

Se il recesso appare ingiusto, si può contestare. Ma prima è utile verificare, con un avvocato di fiducia, se l’azienda ha rispettato tutti i passaggi richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza.

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