L’Istat ha diffuso i dati definitivi sul mercato del lavoro in Italia nel 2023, completandoli con quelli del quarto trimestre. Per il terzo anno consecutivo l’occupazione nel nostro Paese è cresciuta come non succedeva da moltissimo tempo e il tasso di disoccupazione continua a scendere. L’aumento delle persone che trovano lavoro è maggiore al sud, tra gli italiani, tra le donne giovani e gli uomini più anziani.
L’occupazione è cresciuta del 2,3% su base annuale, con oltre 500mila posti di lavoro in più rispetto al 2022. Crescono i lavoratori con contratti a tempo indeterminato e gli indipendenti, mentre diminuiscono i contratti a termine. L’economica del Paese però non cresce quanto questo aumento dell’occupazione suggerirebbe.
Mezzo milione di occupati in più: la corsa del lavoro in Italia
Un altro trimestre positivo per l’occupazione in Italia. Nell’ultima parte del 2023, quella che va da ottobre a dicembre, i posti di lavoro sono aumentati di 144mila unità, facendo segnare un +0,6% rispetto al periodo precedente dello stesso anno. Cala la disoccupazione, con 36mila persone in meno alla ricerca di lavoro, -1,8% sul terzo trimestre, e gli inattivi, quindi le persone non in cerca di lavoro, 102mila in meno.
Movimenti simili nei tassi, con quello di occupazione che arriva al 61,9% (+0,4%), quello di disoccupazione al 7,4% (-0,2%) e quello di inattività al 33,1% (-0,3%). I dati a livello trimestrale confermano quanto registrato durante il resto dell’anno, con una crescita dell’occupazione che continua dal 2021.
Rispetto al quarto trimestre del 2022 sono 553mila gli occupati in più, con una crescita annuale del 2,3%. Un aumento che si riflette principalmente sulla popolazione degli inattivi, che cala di 496mila unità, con una variazione meno marcata ma comunque significativa dei disoccupati, che sono 65mila persone in meno in un anno. Il tasso di occupazione nel 2023 è quindi cresciuto dell’1,4%, in sostanziale continuità con gli anni precedenti da dopo la fine delle restrizioni dovute alla pandemia.
Cresce soprattutto il numero di contratti a tempo indeterminato, che nel quarto trimestre sono aumentati del 3,3%, mentre sono diminuiti i contratti a termine, -1,4%. Un lavoro quindi più stabile, accompagnato da una crescita dei lavoratori indipendenti che aumentano dell’1,3%.
L’occupazione di donne, giovani e stranieri
Se si scorporano questi dati si notano grosse differenze all’interno del Paese. Dal punto di vista geografico, è il sud a crescere di più. Al netto della stagionalità di alcune professioni, il tasso di occupazione del Mezzogiorno è aumentato di 2 punti percentuali, contro il +1% del nord e il +1,1 del centro. Un risultato che è accompagnato da un maggiore calo del tasso di inattività e di quello di disoccupazione al sud rispetto che alle altre regioni. La situazione del mezzogiorno rimane comunque molto difficile, con un tasso di occupazione del 49,1%.
Invariate invece le differenze di genere. Il miglioramento della situazione lavorativa beneficia nello stesso modo uomini e donne, un dato che riesce ad essere sia positivo che negativo. Da una parte segnala come le discriminazioni nel mercato del lavoro e il ruolo sociale della donna stiano cambiando. Dall’altro consolidano una situazione in cui il tasso di occupazione maschile è molto più alto rispetto a quello femminile. Fenomeno ancora più marcato al sud, dove soltanto il 37,2% delle donne risulta occupato.
Problematica anche la situazione dei giovani. Non solo i tassi di occupazione rimangono più bassi in questa categoria (15-34) che nelle altre, ma l’aumento dell’occupazione ha riguardato più le fasce d’età avanzate. Se però si esclude la sotto-fascia d’età solitamente in formazione (15-24) la situazione cambia. Le persone tra i 25 e i 34 anni hanno visto aumentare del 2,1 il proprio dato occupazionale, trascinati dalle donne che fanno segnare un +2,7%. La seconda crescita più intensa rimane comunque quella dei maschi tra i 50 e i 64 anni, +2,4%.
I dati confermano infine che, specialmente per le donne, il titolo di studio è fondamentale per trovare lavoro. In entrambi i sessi la differenza più importante la fa il diploma, che porta l’occupazione maschile al 74,6%, dal 58,6% di chi ha solo la licenza media e dal 29,8% al 57,3% nel caso delle donne. Le lauree hanno comunque un effetto rilevante. Il tasso di occupazione tra i laureati è molto alto, oltre l’85% per gli uomini e quasi l’80% per le donne.
Perché l’occupazione cresce ma l’economia no?
Uno dei dati più interessanti associati a quello della crescita dell’occupazione è quello del Pil. Solitamente, un aumento così rapido dei posti di lavoro sottintende una crescita altrettanto significativa dell’economia. Non è però il caso dell’Italia. Analizzando le serie storiche, l’occupazione italiana cresce circa dal 2013, con l’eccezione ovviamente del periodo pandemico. Dal 2021 però la pendenza della curva è ulteriormente aumentata, portando i dati a far segnare record positivi sia in occupati che in inattivi e sfiorando quelli dei disoccupati.
Nonostante questo però, la crescita italiana è rimasta molto bassa. Dopo il rimbalzo del 2021, una volta raggiunti i livelli del 2019, la crescita ha rallentato fino ad arrivare ai dati del 2023: +0,2% nel quarto trimestre, +0,6% a livello tendenziale. Non è una crescita che giustifica un tale aumento dell’occupazione e non sembra esserci una spiegazione univoca a questo fenomeno.
La Banca d’Italia ha proposto una spiegazione che potrebbe dare un senso quanto meno all’aumento più recente degli addetti. Nel 2022 si è verificata una gravissima crisi energetica, che ha aumentato i costi di produzione. Nel frattempo diversi governi hanno tentato di diminuire il peso delle imposte sul lavoro, rendendo più conveniente assumere. Secondo la Banca Centrale quindi, molte aziende avrebbero “manualizzato” il lavoro, rinunciando alle macchine che consumavano troppa elettricità e preferendovi l’assunzione di più lavoratori.
Un dato che si allinea perfettamente con la diminuzione della domanda di energia da parte delle aziende, che ha favorito il ritorno dei prezzi del gas ai livelli pre crisi. Al contempo però questa interpretazione sottintende uno scenario preoccupante. Questi nuovi occupati potrebbero essere abbandonati dalle aziende una volta che utilizzare le macchine tornerà ad essere più conveniente che assumere nuovi addetti?
Anche se così non fosse, manualizzando il lavoro le aziende italiane compromettono la propria efficienza e rischiano per questo di essere sorpassate in innovazione dalle concorrenti estere. Infine, questa spiegazione dà un senso al recente aumento della crescita dell’occupazione, ma non spiega perché questa tendenza di aumento degli addetti e crescita lenta continui da più di 10 anni quasi ininterrottamente.