Congedo parentale, quando scatta il licenziamento per abuso del lavoratore? La sentenza

Al dipendente violare la buona fede e la correttezza nel rapporto di lavoro può costare caro. Il caso dell'abuso del diritto al congedo parentale

Pubblicato: 11 Luglio 2024 08:47

Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Ogni lavoratore che chiede, ed ottiene, il congedo parentale previsto dalla legge, deve fare molta attenzione ad utilizzarlo secondo le finalità per le quali è stato concesso. Altrimenti il rischio del licenziamento disciplinare può essere dietro l’angolo.

Recentemente una sentenza del tribunale di Torre Annunziata, che ha fatto stretto riferimento ad un orientamento consolidato della Cassazione, ha infatti convalidato il licenziamento per giusta causa inflitto ad un dipendente, che aveva abusato del diritto al congedo parentale.

Il tribunale ha rigettato il ricorso del dipendente e ha ritenuto di convalidare il recesso unilaterale, partendo dalla considerazione che tale congedo è un diritto potestativo che permette al titolare di realizzare un suo specifico interesse – in questo caso l’accudimento della prole – senza che l’azienda o il datore di lavoro possa opporsi. Tuttavia ciò non impedisce di fare controlli e verifiche, da parte di terzi e del giudice, sulle modalità con cui il diritto in oggetto viene esercitato.

Prima di vedere da vicino la sentenza del tribunale emessa alcune settimane fa – e scoprire assieme perché è significativa e di orientamento per i lavoratori e le lavoratrici – ripercorriamo in sintesi la vicenda.

Licenziamento per abuso del diritto al congedo parentale: il caso

Un dipendente presso uno stabilimento balneare aveva domandato al proprio datore di lavoro di poter sfruttare alcuni giorni di congedo parentale, visto che l’art. 32 del d. lgs. 151/2001 – il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità – prevede tale diritto a favore dei genitori lavoratori e lavoratrici.

In particolare nel testo si trova indicato che, al fine di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino nei suoi primi anni di vita, a ciascun genitore è concesso di astenersi facoltativamente dall’occupazione. Nell’ambito del congedo parentale il genitore ha diritto ad incassare un indennità dall’Inps, commisurata ad una parte della retribuzione.

Ebbene, i fatti di causa indicano che il datore di lavoro – con l’ausilio di un’agenzia investigativa e nel pieno rispetto dei limiti di intervento di quest’ultima, posti a tutela della libertà e dignità del lavoratore – aveva scoperto che il genitore – invece di adoperare le giornate di congedo richieste per dedicarsi alle cure del figlio – aveva utilizzato il tempo disponibile per svolgere una seconda attività di lavoro – ottenendo un ulteriore reddito. Anzi in dette attività – si indica nella sentenza – l’uomo non era mai stato visto in compagnia del figlio.

Il datore – ritenendo che il comportamento del dipendente avesse compromesso in modo grave ed irreparabile le basi del rapporto di fiducia – aveva così optato per la massima sanzione disciplinare, ossia il licenziamento per giusta causa che – come è noto – non prevede preavviso ed indennità sostitutiva. In sostanza, l’abuso rientrerebbe nei casi di licenziamento in tronco.

A seguito della decisione datoriale, il lavoratore ha deciso di rivolgersi al tribunale per contestare la fondatezza del licenziamento inflitto.

La decisione del tribunale

La sentenza di primo grado risalente allo scorso aprile ha dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa. E questo in quanto, in linea generale, l’azienda o datore di lavoro ha tutto il diritto di controllare che il proprio dipendente rispetti la finalità del congedo parentale, ovvero l’accudimento della prole.

Il datore potrà servirsi anche di soggetti terzi e di strumenti come i servizi offerti da un’agenzia investigativa, per appurare la verità e capire se il dipendente non stia, invece, abusando di un diritto riconosciutogli dalla legge.

Dal punto di vista tecnico-giuridico, per i magistrati che hanno affrontato il caso la configurazione di un diritto potestativo non esclude infatti la verifica delle modalità del suo esercizio nel suo momento funzionale – per mezzo di accertamenti probatori consentiti dall’ordinamento – ai fini della qualificazione del comportamento del lavoratore.

Ebbene il tribunale di Torre Annunziata, chiamato a pronunciarsi sulla vicenda, ha rimarcato che il comportamento del lavoratore è apparso contrario ai doveri del contratto di lavoro. 

In particolare il lavoratore ha:

Ecco perché la sentenza di primo grado ha rigettato il ricorso del lavoratore, in precedenza allontanato dal posto di lavoro, e ha confermato il licenziamento per giusta causa, essendo venuta a mancare quella fiducia che deve permeare ogni rapporto di lavoro.

Il richiamo al precedente della Cassazione

La sentenza del tribunale è interessante perché richiama un precedente della Cassazione, la sentenza n. 16207 del 2008. In quel testo viene in particolare detto che si abusa del diritto potestativo di congedo parentale, quando il diritto non è esercitato per la cura del minore, ma per svolgere attività lavorativa o di altro tipo. Nel caso specifico, ad aver abusato del congedo era stato il dipendente di una spa che aveva utilizzato i giorni di congedo non per occuparsi della prole, ma per lavorare nella pizzeria d’asporto della moglie.

Nella sentenza della Suprema Corte si può leggere che la verifica sulle attività del lavoratore, o della lavoratrice, in congedo:

trova giustificazione nella considerazione che anche la titolarità di un diritto potestativo non determina mera discrezionalità ed arbitrio nell’esercizio di esso e non esclude da parte del giudice la sindacabilità e il controllo degli atti mediante i quali la prerogativa viene esercitata.

Anzi nella sentenza del tribunale di Torre Annunziata si rimarca, come già nell’analogo caso deciso dalla sentenza Cassazione n. 16207, il rilievo della duplice lesione della buona fede, o comunque della buona fede altrui. In particolare:

A conferma di questa linea interpretativa, il tribunale di Torre Annunziata indica altresì che la violazione sussiste al di là del positivo apporto della prestazione di lavoro all’organizzazione economica e sociale della famiglia, perché – secondo le parole del tribunale:

ciò che conta non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore.

Analoghe considerazioni valgono anche per quel genitore che trascura di occuparsi del figlio o della figlia nei suoi primi anni di vita, per rivolgersi a qualsiasi altra attività (anche personale), che non sia in diretta relazione con tale cura.

Conclusioni

Il lavoratore subordinato che, nell’arco di tempo riservato ai permessi per congedo parentale, svolge un secondo lavoro presso terzi, invece che accudire il figlio minore – come era stato dichiarato – mette in atto un abuso del diritto concessogli dall’ordinamento e lede in modo irreparabile il vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro.

Di conseguenza, la sanzione disciplinare del licenziamento inflitta dall’azienda, che scopre il comportamento con l’ausilio dei servizi investigativi, è valida e legittima.

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