L’idrogeno (verde) trainerà l’Italia del futuro? A che punto siamo

Il nostro Paese è già in corsa per centrare gli obiettivi di transizione energetica del 2030 e del 2050 in scia all'Europa. A partire dalla mobilità a idrogeno

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Mentre persistono ostacoli burocratici e soprattutto economici, sono sempre di più gli Stati a promuovere la produzione e l’utilizzo dell’idrogeno “pulito” come vettore di energia. Una scelta che si presenta come la più “coerente” per centrare gli obiettivi della transizione energetica, ma anche ardua per quanto riguarda la costruzione di un mercato competitivo. Le sfide tecnologiche, economiche e sociali non mancano, e anche l’Italia dovrà affrontarle se vuole viaggiare stabilmente a emissioni zero sul treno della svolta green.

La centralità dell’idrogeno nell’ambito della transizione è ormai assodata (ne abbiamo parlato qui). Sono ormai diversi decenni che, tra cicliche ventate di entusiasmo e scetticismo, esso viene adoperato non solo come materia prima dell’industria di processo. E ora finisce al centro delle agende politiche e delle strategie energetiche di numerose nazioni.

Perché l’idrogeno

Innanzitutto occorre precisare che l’idrogeno non rappresenta una fonte di energia, ma un vettore energetico. Secondo l’International Energy Agency, nello scenario di un’economia globale a zero emissioni nel 2050, il peso dell’H2 derivato dall’elettrolisi raggiungerà il 62% del totale della produzione dei combustibili a base di idrogeno, mentre quello dell’idrogeno da fonti fossili (con cattura e stoccaggio del carbonio) si attesterà intorno al 38%. Il perché di questa previsione è presto detto: l’idrogeno energetico è leggero, più facile da immagazzinare a lungo termine rispetto all’energia elettrica, è reattivo, possiede un alto contenuto di energia per unità di massa e può essere facilmente prodotto su scala industriale. L’aspetto più importante per la salvaguardia del pianeta è però legato all’utilizzo dell’idrogeno per produrre energia pulita.

La combustione dell’idrogeno non provoca emissioni di gas serra come l’anidride carbonica, ma può avvenire in maniera del tutto “pulita” tramite l’elettrolisi e partendo da molteplici fonti di energia rinnovabile. Il cosiddetto idrogeno verde (di cui abbiamo parlato qui) si pone come base privilegiata per lo sviluppo di sistemi energetici resilienti. A livello pratico, oltre che come materia prima o fluido di processo, può essere utilizzato ad esempio al posto del carbon coke come agente riducente nella produzione dell’acciaio, consentendo di soddisfare la domanda crescente con minori emissioni di CO2.

A indicare sempre più convintamente che la strada maestra per la transizione ecologica è quella dell’idrogeno pulito hanno contribuito poi vari fattori:

La situazione in Italia: a che punto siamo?

Seppur maestra, la strada è tuttavia ancora lunga. Attualmente la quasi totalità (il 99%) dell’idrogeno prodotto a livello globale e utilizzato in vari settori, dall’industria ai trasporti, è ricavato dal reforming del gas naturale (il cosiddetto “idrogeno grigio”), dalla gassificazione del carbone (“idrogeno nero”) e dalla lignite (“idrogeno marrone”). Secondo Peter Werth, Chief Executive Officer di Wolftank Hydrogen, in Italia siamo però già nel vortice di una “rivoluzione inevitabile” che condurrà all’impiego sistematico di idrogeno verde. Nel nostro Paese diverse big company hanno già avviato i primi progetti di transizione ed entro il 2050 questa forma di energia potrebbe arrivare a coprire circa il 20% del fabbisogno nazionale (qui parliamo del “no” dei cittadini europei per il piano Ue su gas e nucleare).

Il Governo si è mostrato ancora più ottimista, fissando l’obiettivo dell’uso di idrogeno al 20-23% al 2030. Un obiettivo ambizioso, che consentirebbe di ridurre le emissioni climalteranti di 97,5 milioni di tonnellate, come sottolineato dal Report H2 Italy 2050 elaborato da Ambrosetti e Snam. Per i progetti dedicati all’idrogeno, il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) prevede fondi complessivi per 3,19 miliardi di euro. Gli investimenti totali nella filiera ammonteranno invece a oltre 10 miliardi tra il 2020 e il 2030, così distribuiti:

A stabilire le linee guida italiane in tema di idrogeno (soprattutto verde), in continuità con le politiche dell’Ue, sono due testi in particolare: il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) e la Strategia Nazionale per l’Idrogeno. Il primo, più generale e focalizzato sulla riduzione delle emissioni nocive e sullo sviluppo delle rinnovabili, è stato redatto dal MISE e inviato alla Commissione europea in attuazione del Regolamento Ue 2018/1999 e prevede 5 linee d’intervento relative a:

  1. decarbonizzazione;
  2. efficienza energetica;
  3. sicurezza energetica;
  4. sviluppo del mercato interno dell’energia;
  5. ricerca, innovazione e competitività.

La Strategia Nazionale per l’Idrogeno, invece, permette di compiere il passo successivo al PNIEC favorendo l’utilizzo dell’H2 nei trasporti a lungo raggio (comprese le ferrovie), nell’industria pesante e come miscelazione dell’idrogeno nella rete gas. Per centrare questi obiettivi, il piano si divide in due fasi principali:

Tradotte in numeri, le linee guida preliminari del programma delineano il seguente quadro al 2030:

Mobilità e trasporti a idrogeno

Prendendo a esame il solo comparto della mobilità, che si prospetta come il più “idrogenato” nei prossimi anni, il Piano Nazionale di Sviluppo – Mobilità Idrogeno Italia prevede per il 2025 circa 27mila autovetture alimentate a idrogeno in circolazione, un numero che potrebbe aumentare di 5 volte entro il 2050. Attualmente sono presenti 6 stazioni di rifornimento di idrogeno in tutta Italia, “che stimiamo possano fornire circa 300 tonnellate all’anno“, ha affermato Werth. Facendo due calcoli, si stima una crescita del 3.000% già entro il 2025. L’utilizzo di idrogeno energetico si estenderà poi (in maniera sistemica) anche all’industria, al riscaldamento degli edifici e al trasporto marittimo e aeronautico (a proposito di mobilità sostenibile, ecco il maxi piano italiano da 280 miliardi).

Provando a citare qualche esempio particolare, Tim ha annunciato che userà l’idrogeno per alimentare le centrali telefoniche della città di Trento. Snam sta invece lavorando a un’infrastruttura che possa garantire il rifornimento di idrogeno per automobili, bus e camion lungo l’autostrada del Brennero. A Bolzano, infine, è operativa la prima flotta di 12 autobus a idrogeno utilizzati per il trasporto pubblico urbano.

Il piano comunitario per l’idrogeno: cosa vuole l’Ue

La strategia europea dell’idrogeno, elaborata nel luglio 2020 per centrare i target “verdi” del 2050, passa inizialmente dall’idrogeno “blu”, prodotto con processi convenzionali accoppiati a sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Si tratta di una prima tappa fondamentale per la crescita della domanda di H2 senza impatti sul clima e lo sviluppo graduale e contemporaneo delle infrastrutture necessarie per l’exploit della forma “verde” nei sistemi energetici.

Stando al Report Hydrogen Roadmap Europe diffuso dall’Unione europea, nel 2050 l’idrogeno potrebbe rappresentare il 24% della domanda energetica di tutto il Vecchio Continente. Una percentuale sufficiente ad alimentare circa 42 milioni di auto, 1,7 milioni di camion, 5.500 treni e di riscaldare 52 milioni di famiglie.

Come riporta l’ISPI, attualmente la domanda Ue di idrogeno si attesta intorno ai 7,8 milioni di tonnellate per anno (Mt/yr), corrispondenti a circa il 10% della domanda globale. La Germania e i Paesi Bassi si impongono come i maggiori consumatori e rappresentano oltre un terzo della domanda comunitaria. Seguono Polonia, Spagna, Italia, Belgio e Francia, i quali consumano circa 0,5 Mt/yr ciascuno. Secondo le proiezioni disponibili, con la crescita dell’uso di idrogeno in tutti i settori economici, la domanda europea potrebbe raggiungere le 76 Mt/yr nel 2050.

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