È datato 11 dicembre 1997, ma è entrato in vigore il 16 febbraio 2005: si tratta del Protocollo di Kyoto, prendendo il nome dalla città giapponese dove è stato redatto.
È un trattato internazionale che si occupa di ambiente e, in particolare, del surriscaldamento globale con l’obiettivo della riduzione di gas inquinanti che derivano dalle attività umane. Più di 180 i Paesi presenti alla sua compilazione, che è stata effettuata in occasione della Conferenza delle Parti COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). È entrato in vigore a seguito della ratifica della Russia. L’estensione è stata prolungata di otto anni e quindi fino al 2020 a seguito dell’accordo di Doha.
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Cosa prevede il Protocollo di Kyoto
L’obbligo più importante, previsto dal trattato, è quello di ridurre le emissioni di elementi che comportano l’inquinamento. La prima fase del Protocollo ha avuto una durata di quattro anni (dal 2008 al 2012). La seconda fase terminerà nel 2020.
L’esigenza di scrivere il Protocollo di Kyoto è stata una diretta conseguenza della nascita nel 1988 dell’Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC). Gruppo intergovernativo sul cambiamento cambiamento climatico, che lo studia in tutti i suoi aspetti e le possibili soluzioni. Sulla base di uno dei rapporti di valutazione, fu redatto il Protocollo di Kyoto.
Per essere messo in pratica, però, si sono dovuti attendere otto anni, fino al 2005 con la ratifica della Russia. Il perché è presto detto: la somma delle emissioni dei Paesi aderenti doveva superare il 55% di quelle totali. Inizialmente fu sottoscritto e ratificato da 141 Paesi di cui 39 industrializzati. La riduzione media prevista, su cui sono al lavoro i paesi, è del 5,2%. Al momento ammontavano a 192 i membri del trattato: 191 stati e un’organizzazione.
Protocollo di Kyoto: Gli Stati impegnati nella lotta al riscaldamento globale
L’impegno degli Stati si concentra anche sull’attuazione di politiche industriali e ambientali che possano agire rallentandoli riscaldamento del pianeta. E per chi non rispetta gli accordi sono previste sanzioni, ma esistono meccanismi che aiutano le nazioni che ne fanno parte a non incappare in multe salate. Si possono comprare quote da chi ha prodotto meno anidride carbonica di quella pianificata, oppure realizzare – in altri Stati – opere che migliorino l’aspetto energetico e ambientale.
L’Italia lo ha ratificato il primo giugno del 2002. Fra le nazioni che non fanno parte del Protocollo di Kyoto ci sono gli Stati Uniti che lo ha firmato nel 1998, ma non lo ha ratificato. Mentre il Canada è stato il primo Paese a uscire. Ci sono nazioni come Cina, India e Brasile che, pur avendo una crescita molto intensa, sono esenti da obblighi. Anche Cuba ha sottoscritto il Protocollo.
Le prospettive post-Protocollo di Kyoto
Durante la COP21 a Parigi nel 2015, è stato siglato un nuovo accordo globale sui cambiamenti climatici, con l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale “ben al di sotto” dei +2 °C, e di perseguire gli sforzi per limitarlo a +1,5 °C. Questo accordo, noto come Accordo di Parigi, è stato aperto alla firma a New York per un anno a partire dal 22 aprile 2016. Attualmente, conta 197 paesi firmatari, tra cui tutti gli stati dell’Unione Europea e gli Stati Uniti, che si sono ritirati nel 2020, ma vi sono rientrati l’anno successivo.
Durante la COP28 a Dubai, in corso dal 30 novembre al 12 dicembre, si è fatto il punto sui progressi compiuti verso gli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi. Tuttavia, le proiezioni riguardanti il mantenimento dell’aumento della temperatura globale entro +1,5°C sono apparse fin da subito allarmanti.