Il Green Deal ha bisogno di correzioni, sempre più Stati e aziende le chiedono. Ora anche Nature

Sempre più Stati europei e aziende chiedono di rivedere il Piano per ridurre emissioni e inquinamento. E anche la rivista Nature elenca le modifiche necessarie

Pubblicato: 9 Dicembre 2024 13:23

Giulia Bassi

Giornalista

Laureata in Storia, ha un master in Giornalismo d'Inchiesta. Giornalista professionista, si occupa di attualità, green e sport. Tifa Inter, legge di tutto.

Il Green Deal europeo è nel mirino di molti. O meglio: sono sempre di più i partiti, le associazioni, gli esperti, le categorie che ne chiedono, quanto meno, una correzione, una revisione. E non si tratta solo dei critici della prima ora, che pure non sono mai mancati. La situazione economica, la continua evoluzione geopolitica e soprattutto la forte crisi dell’automotive portano con sé forti richieste di modifica di alcuni obiettivi. Da quando è stato pensato, infatti, sono mutati tanti scenari: assetti politici sono stati modificati da venti populisti e di destra, c’è stato il Covid, si sono aperti fronti di guerra paurosamente gravi e vicini. Insomma, il mondo è cambiato e il Green Deal ancora no.

La crisi del settore dell’auto

Partiamo proprio dal mondo dell’auto, che sta attraversando un momento storico di enorme difficoltà. Difficoltà dovuta, secondo alcuni, anche ad alcune decisioni contenute nel Green Deal.

I dati sulle vendite mettono in evidenza un mercato in declino, almeno all’ombra del Vecchio Continente. In Estremo Oriente, infatti, le cose sono diverse: il mercato automobilistico cinese è cresciuto fino a diventare il più grande al mondo, con vendite che nel 2023 hanno superato i 26 milioni di veicoli, mentre in Europa il mercato ha raggiunto circa 9,9 milioni di unità.

Risale alla fine di ottobre l’annuncio di Volkswagen di chiudere tre stabilimenti in Germania, Ford ha annunciato da poco il taglio di 4.000 posti di lavoro in Europa entro il 2027 e in Italia l’azienda Trasnova, parte dell’indotto Stellantis, ha inviato 97 lettere di licenziamento ai suoi dipendenti.

L’industria automobilistica europea sta vivendo un momento storico di enormi trasformazioni: la legislazione approvata prevede l’obbligo per nuove autovetture e nuovi veicoli commerciali leggeri di non produrre alcuna emissione di CO2 dal 2035. L’obiettivo è quello di ridurre del 100% le emissioni di questi tipi di veicoli rispetto al 2021.

Stop a diesel e benzina, l’Ue non torna indietro

E sullo stop ai motori diesel e benzina dal 2035 la Commissione Ue non intende fare passi indietro. “Non è una cosa che stiamo prendendo in considerazione e direi che non è una cosa che praticamente nessuno sta prendendo in considerazione”, ha detto la vicepresidente con delega alla Transizione pulita, Teresa Ribera, a margine della sua visita alla ArcelorMittal di Gand, in Belgio, come riportato da vari media. “La questione sul tavolo”, è come “accompagnare l’industria automobilistica europea in un processo di trasformazione in corso e in una corsa industriale globale attivata da anni”, mantenendo “stabilità” sulle tempistiche.

Ma in realtà un cambio di rotta è richiesto da più parti. “Occorre che la Commissione europea riveda da subito quella follia del Green Deal”, ha detto, senza mezzi termini, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Urso ha definito l’industria dell’automotive europea “al collasso”: “hanno posto anche un tetto alla produzione e gli stabilimenti chiudono perché non devono produrre auto endotermiche”.

La posizione del governo italiano

Il governo italiano intende farsi sentire in Europa portando e chiedendo maggior pragmatismo. Proprio questa è la parola chiave per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i nuovo vicepresidente della Commissione Raffaele Fitto. “L’Italia porterà un contributo pragmatico” alle sfide future di Bruxelles, “a partire dalla realizzazione delle riforme e degli investimenti di lunga durata”, ha sottolineato Palazzo Chigi.

Ed è in quel “pragmatico”, come detto, la chiave del contributo che vuole apportare la Meloni, la cui visione, su temi come il Green Deal e l’automotive, è destinata probabilmente ad andare in confitto con quella di Teresa Ribera e della sua dichiarata intenzione di non fare passi indietro.

L’Italia è uno dei 7 Paesi Ue (assieme a Malta, Repubblica Ceca, Austria, Polonia, Romania, Bulgaria e Slovacchia) firmatari di una specifica richiesta di fermare verifiche e multe per la mancata diminuzione di emissione di CO2 da parte delle aziende. Sono sempre più i Paesi europei che chiedono un ripensamento di molte norme della transizione ecologica.

Nature: “L’Ue deve rivedere il Green Deal”

La crisi del settore dell’auto, messa in difficoltà dall’accelerazione verso l’elettrico, è solo uno dei motivi per cui il Green Deal è sotto attacco. In generale, si potrebbe dire che è l’intera linea del pacchetto a essere messa in discussione. Al di là di ogni ideologia o schieramento politico, la rivista Nature ha pubblicato il 3 dicembre un articolo dal titolo piuttosto significativo: “Perché l’UE deve reimpostare il suo Green Deal, altrimenti rimarrà indietro”.

Seconda quella che viene considerata una delle più antiche e importanti riviste scientifiche esistenti, “il mondo è cambiato da quando è stato progettato l’ambizioso pacchetto climatico europeo“, motivo per cui questo accordo dovrebbe “evolversi”. Quell’accordo risale alla fine del 2019, quando l’Unione Europea ha messo in mostra la sua ambizione di essere leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico, mirando a raggiungere lo “zero netto” nelle emissioni di gas serra entro il 2050.

Nature scrive che l’Ue deve mantenersi ambiziosa sul clima, ma al contempo ha il dovere di riallineare le sue politiche al rinnovato scenario geopolitico internazionale. “La marcia verso le emissioni nette zero sarà guidata dalla corsa alla tecnologia, non da tasse nazionali, regolamenti o vincoli di carbonio sul commercio transfrontaliero e sulle importazioni”, si legge.

Decarbonizzazione, scadenze e competitività

Un Green Deal rivisto e ripensato dovrebbe espandere l’energia nucleare come un fattore chiave per la decarbonizzazione, limitare le tasse sul carbonio, ridurre al minimo i costi sociali, evitare di imporre vincoli che producano piccoli benefici mentre impongono grandi costi a segmenti importanti della popolazione, come i piccoli proprietari e gli agricoltori. E infine dovrebbe promuovere la competitività delle aziende europee.

Infine, sostiene Nature, rallentare l’imposizione di nuovi standard ambientali e climatici consentirebbe di alleggerire i costi della transizione in modo da evitare di interrompere le fasi iniziali dell’innovazione: tradotto, significa posticipare le scadenze di almeno un decennio per l’adozione di standard su riscaldamento, trasporti e ripristino del territorio. Quello che molti Stati chiedono con insistenza, nel tentativo di arrivare a un piano che sia capace di tutelare al contempo ambiente e posti di lavoro.

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