Il ripristino delle foreste globali nella loro ubicazione naturale potrebbe teoricamente catturare un’ulteriore quantità di 226 gigatonnellate di carbonio, che contribuisce al riscaldamento del pianeta, come riportato in un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature. Il 21 novembre si celebra in Italia la Giornata nazionale degli alberi, una ricorrenza nata per valorizzare il patrimonio arboreo italiano e ricordare il ruolo fondamentale svolto da boschi e foreste per il nostro ecosistema.
Il ripristino delle foreste potrebbe catturare tonnellate di CO2
Il nuovo studio getta nuova luce sul potenziale ruolo delle foreste globali nel contrastare il cambiamento climatico. Secondo questa ricerca, il ripristino delle foreste nei luoghi in cui si sviluppano naturalmente potrebbe rappresentare una soluzione di vasta portata, catturando una quantità di CO2 equivalente a circa un terzo delle emissioni umane dall’inizio dell’era industriale. Il lavoro coinvolge oltre 200 autori e si basa su dati raccolti da satelliti e rilevamenti sul campo. Uno degli obiettivi principali è affrontare le controversie nate da studi precedenti, creando una visione più chiara e completa del potenziale contributo delle foreste al mitigare l’impatto del cambiamento climatico.
L’idea centrale di questo nuovo studio è quella che gran parte della capacità di stoccaggio aggiuntiva deriverebbe dalla possibilità di far raggiungere alle foreste esistenti la maturità. Un approccio che, sebbene promettente, pone domande cruciali. Se proteggessimo tutte le attuali foreste, quale sarà l’impatto sulle risorse legnose, la gomma e l’olio di palma? E quanto velocemente le foreste potrebbero effettivamente immagazzinare carbonio? Inoltre, il rischio di perdite dovute a incendi, siccità e parassiti in un contesto di cambiamenti climatici è un aspetto da non sottovalutare.
Foreste come unica risposta al riscaldamento globale?
Il professor Thomas Crowther, autore principale dello studio e professore di ecologia presso l’ETH Zurich, avverte che la realizzazione di questo target di 226 gigatonnellate di stoccaggio richiederebbe necessariamente la riduzione delle emissioni di gas serra. Continuare a emettere carbonio, sottolinea, minaccerebbe l’intero sistema forestale globale, limitando il suo potenziale contributo. Le foreste, vitali per affrontare sia la crisi climatica che quella della biodiversità, diventano sempre più al centro dell’attenzione. Oltre a fornire cibo, rifugio e ombra a umani e altre specie, svolgono un ruolo cruciale nella pulizia dell’aria e dell’acqua e nell’assorbimento del carbonio atmosferico. Tuttavia, in un contesto di cambiamenti climatici, emerge una domanda critica: fino a che punto possiamo realmente contare sugli alberi per risolvere la crisi in corso?
Il professor Crowther, già autore di uno studio nel 2019, riflette sul timore che le foreste possano essere sfruttate come una sorta di soluzione miracolosa. Nel 2019, ammise che l’uso di un linguaggio impreciso aveva portato a una percezione distorta degli alberi come risposta unica al cambiamento climatico. Il dubbio ora è che Paesi e aziende possano continuare a utilizzare le foreste come mezzo per compensare le emissioni di carbonio, consentendo così un prolungato utilizzo dei combustibili fossili.
Il dibattito scientifico sulla forestazione
La stima di 226 gigatonnellate di carbonio, se confrontata con la cifra precedente di 205 gigatonnellate, evidenzia differenze significative. Entrambi i documenti escludono aree urbane, coltivazioni e pascoli, ma includono quei pascoli dove gli animali possono pascolare a densità inferiori. Nella nuova ricerca, il 61% dello stoccaggio aggiuntivo di carbonio deriverebbe dalla protezione delle foreste esistenti e il rimanente 39% dalla crescita di alberi nelle aree deforestate con basse impronte umane. Nel 2019, invece, tutto il carbonio derivava dalla crescita degli alberi al di fuori delle foreste esistenti, generando critiche scientifiche e dibattiti accesi. Simon Lewis, professore di scienze del cambiamento globale presso University College London, ha contribuito a una delle sette critiche pubblicate su Science quell’anno. Tuttavia, oggi afferma che il nuovo studio è “ragionevole”. Mentre il dibattito scientifico prosegue, resta evidente che l’assorbimento di carbonio dalle foreste deve essere messo in prospettiva, considerando la quantità limitata di terra disponibile per la foresta e la necessità di preservare la diversità degli ecosistemi.
Gli sforzi di ripristino, pur essendo cruciali, hanno presentato sfide significative. Spesso, paesi e aziende hanno investito in progetti di piantagioni su larga scala o in monoculture di specie commerciali non native, con impatti negativi sulla biodiversità. Il professor Crowther enfatizza che il ripristino dovrebbe essere guidato dalle comunità locali, collaborando con la natura per migliorare le proprie condizioni. La sua organizzazione no-profit, Restor, collega progetti comunitari, come una fattoria di agroforestazione in Etiopia, con sostenitori potenziali.
Essenziale un impegno nella preservazione delle foreste
“Andiamo incontro a un futuro in cui gli eventi climatici saranno sempre più violenti, conoscere in anticipo lo stato della stabilità degli alberi diventa fondamentale perché altrimenti rischiamo che invece di essere i nostri alleati nella lotta al riscaldamento globale e al cambiamento climatico, vengano percepiti come degli ostacoli capaci di creare potenziali danni” ha detto recentemente Stefano Mancuso, professore di Arboricoltura all’Università di Firenze. “Gli alberi raffreddano l’ambiente, de impermeabilizzano i suoli, permettono un deflusso dell’acqua in maniera più omogenea, danno una serie infinita di vantaggi che però spesso non vengono percepiti dalle persone. Per questo abbiamo pensato a dei sensori che si mettono sugli alberi e ne misurano i benefici, in tempo reale. Ora per ora mostrano cosa sta fornendo quell’albero alla cittadinanza in termini di risparmio energetico, di fissazione dell’anidride carbonica, di rimozione di inquinanti eccetera”. L’Italia deve piantare 230 milioni di alberi, come evidenziato da ASvis, che fa il punto sulle politiche nazionali e gli indirizzi della Commissione europea relative al Goal 11 dell’Agenda 2030 dell’ONU.
Nonostante gli sforzi, rimane incerto quanto possano essere ampliati tali progetti. Matthew Fagan, professore di geografia e sistemi ambientali presso l’Università del Maryland, Baltimore County, solleva dubbi sulla nuova stima, ritenendola troppo ottimistica. Esprime preoccupazioni sull’assenza di considerazioni su persone e incendi e mette in guardia sugli effetti di riscaldamento che gli alberi possono avere in climi più freddi e secchi. Pare evidente che quasi tutti concordino su un punto fondamentale: per affrontare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, è essenziale un impegno decisivo nella riduzione delle emissioni di combustibili fossili e nella preservazione delle foreste primarie. Solo attraverso azioni concrete e sostenibili sarà possibile sfruttare appieno il potenziale delle foreste nel mitigare gli impatti del cambiamento climatico.