Per lungo tempo le notizie che sono orbitate intorno ai Bitcoin e alle criptovalute sono state divergenti tra di loro e hanno contribuito a generare molta confusione tra i risparmiatori e, molte volte, anche tra gli addetti ai lavori. Alcune novità, almeno in Italia, sono arrivate attraverso la Legge di Bilancio 2023, che ha introdotto per la prima volta una disciplina fiscale connessa ai Bitcoin e alle criptovalute in generale. Stiamo parlando, in altre parole delle cosiddette rappresentazioni digitali di valore e di diritti, che hanno iniziato a diffondersi contemporaneamente ad una nuova tecnologia conosciuta come registro distribuito di informazioni digitali. Giusto per avere un’idea la principale applicazione di questa tecnologia è costituita dalla blockchain.
Ma cerchiamo di entrare un po’ nel dettaglio e capire di chi sia possibile fidarsi e, soprattutto, come devono essere inseriti i Bitcoin all’interno della dichiarazione dei redditi.
Indice
Bitcoin, ecco di chi non fidarsi
Primo prototipo funzionante di denaro alternativo, il successo di bitcoin ha portato alla nascita di un numero spropositato di criptovalute. Le quotazioni registrate nel corso degli anni hanno convinto molti risparmiatori ad investire nei bitcoin e nelle altre criptoattività. L’obiettivo, nella maggior parte dei casi, era quello di tentare la fortuna e legarlo alla creazione di una moneta di proprietà. Tuttavia, non tutte le monete digitali poggiano su fondamenta altrettanto sicure.
Pertanto, se ci si trova in dubbio se investire o meno i propri risparmi in un bene esclusivamente telematico, occorre fare le seguenti cose:
- collegarsi via Internet al sito dell’azienda che ha fondato il prodotto che si intende acquistare.
- leggere il whitepaper, un rapporto ufficiale pubblicato dall’impresa in cui sono contenute informazioni sulla criptovaluta. Tra le più importanti funzionamento e obiettivi.
- verificare l’identità dei fondatori attraverso i loro profili LinkedIn o altri strumenti di comunicazione
- controllare chi sono i partner che sostengono l’iniziativa.
È altresì importante ricordare che dal momento in cui si approcciano questi asset con finalità speculative, essi diventano a tutti gli effetti dei prodotti finanziari. A chiarirlo è stata la Cassazione in una sentenza di fine 2021. Di conseguenza, chi è privo di una formazione consolidata in materia, deve sempre ricordarsi che di fronte ha strumenti altamente sofisticati, ad alta volatilità e inseriti in un mercato senza orari di chiusura.
Come ereditare bitcoin
Un altro nodo da sciogliere per gli appassionati di diritto riguarda la successione. Infatti, qualora il proprietario di un wallet morisse all’improvviso senza comunicare agli eredi la chiave privata necessaria ad accedere al suo portafogli, in che modo i congiunti potrebbero beneficiare della fortuna accantonata negli anni dal familiare? Per ora le vie più percorribili restano due:
- scrivere su un supporto fisico la sequenza esatta delle dieci parole che l’algoritmo ha emesso durante l’apertura del conto
- aprire un wallet cointestato sui possono operare più utenti, al pari di un comunissimo conto corrente.
Bitcoin, vanno inseriti nella dichiarazione dei redditi?
Fino a qualche anno era sostanzialmente difficile inquadrare i bitcoin e le criptovalute a livello giuridico. L’ordinamento, nel nostro paese, aveva deciso di metterle alla stessa stregua di qualsiasi altra valuta straniera. Situazione che aveva generato non poche perplessità da parte di molti esperti in materia.
Ora come ora la situazione è leggermente cambiata. A disciplinare i criteri che devono essere adottati nella dichiarazione dei redditi per gestire i bitcoin e le criptovalute in generale sono disciplinati direttamente dalla Legge n. 197/22 – e nello specifico dall’articolo 1, comma 126 – che ha superato tutte le precedenti disposizioni di prassi, fornite principalmente attraverso la risoluzione n. 72/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate. Sicuramente la novità più importante, che è stata introdotta, riguarda il fatto che gli eventuali proventi che sono stati realizzati a seguito di un rimborso o di una cessione a titolo oneroso rientrano direttamente nella categoria dei redditi diversi, ai sensi dellìex articolo 67, comma 1, lettera c-sexies del TUIR.
Stando a quanto previsto dal successivo articolo 68, comma 10 del TUIR le plusvalenze che si vengono a generare in questo modo sono costituite dalla differenza che intercorre tra il corrispettivo che viene percepito nel momento in cui si vende la criptovaluta e il costo di acquisto della stessa. Le plusvalenze che si vengono a generare in questo modo si sommano alle minusvalenze. Nel caso in cui le minusvalenze dovessero risultare superiori alle plusvalenze per un importo superiore a 2.000 euro, l’eccedenza può essere portata in deduzione integrale dall’ammontare delle plusvalenze nel corso dei periodi d’imposta successivi. Ma, ad ogni modo, non è possibile superare i quattro anni. È importante, quindi, che le minusvalenze vengano sempre indicate all’interno della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale la minusvalenza si è realizzata.
Il passaggio a valuta flat
Ai fini fiscali assume particolare rilevanza anche l’eventuale passaggio tra la criptovaluta e la valuta flat. Nella relazione illustrativa della legge, infatti, è stato chiarito che:
Non assume rilevanza lo scambio tra valute virtuali, mentre assume rilevanza fiscale l’utilizzo di una cripto-attività per l’acquisto di un bene o un servizio o di un altra tipologia di cripto-attività (ad esempio, l’utilizzo di una criptocurrency per acquistare un non fungible token) o la conversione di una currency in euro o in valuta estera.
Questo significa, in altre parole, che non assume rilevanza fiscale la permuta tra le criptovalute. Diventa importante unicamente il passaggio tra la valuta virtuale e la valuta flat. O l’utilizzo dei bitcoin o delle criptovalute in generale per acquistare dei servizi o dei beni.
La questione dei costi
Sulle criptovalute particolare rilevanza assume la questione del costo, che deve necessariamente essere documentato con degli elementi certi e precisi a cura del contribuente. Nel caso in cui questa documentazione dovesse mancare viene assunto un costo pari a zero. Ma non solo: gli eventuali compensi percepiti sono sottoposti a tassazione senza poter beneficiare di alcun tipo di deduzione.
Essere in possesso di un’eventuale certificazione da parte dell’intermediario, attraverso il quale vengono effettuate le operazioni di trading ha molta importanza. Proprio sulla base di questa documentazione è possibile compilare correttamente la dichiarazione dei redditi. La documentazione, inoltre, deve essere sempre conservata in vista di eventuali controlli che l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di finanza potrebbero effettuare in futuro.