Quando un cliente si rivolge ad una banca, lo fa nell’obiettivo di gestire al meglio i propri risparmi e, eventualmente, per fare investimenti che possano far fruttare il proprio capitale. Tra obbligazioni, azioni, fondi comuni di investimento, polizze assicurative a scopo di investimento o piani di accumulo (Pac), non manca davvero nulla per scegliere la soluzione più adatta al proprio profilo di rischio, ai propri obiettivi e alla propria situazione economica.
Per orientarsi al meglio, la banca fornisce servizi di consulenza ma – come vedremo più avanti – non tutto fila sempre per il verso giusto. L’istituto presso cui è stato attivato un contratto di conto corrente, è responsabile se l’investimento è stato sproporzionato o inadeguato, rispetto al profilo di rischio? Deve risponderne al cliente con la restituzione del capitale?
Lo vedremo di seguito, considerando la decisione n. 7680 dell’Arbitro per le controversie finanziarie – Acf, emessa lo scorso 31 ottobre. Ecco cosa sapere per evitare brutte sorprese.
Indice
Il caso concreto e gli investimenti effettuati
Il profilo di rischio consiste in una precisa valutazione delle caratteristiche personali, economiche e finanziarie di un investitore. Essa è utilizzata per stabilire la tipologia di investimenti più adatta alle esigenze di quest’ultimo e alla sua tolleranza al rischio stesso. E proprio quest’ultimo è stato, in qualche modo, ignorato – o scarsamente considerato – dalla banca di cui alla decisione dell’Arbitro n. 7680. Ma cosa è successo esattamente?
Alcuni anni fa – su suggerimento di una dipendente bancaria – il pensionato ricorrente aveva aderito ad alcune proposte di investimento che lo impegnavano in modo considerevole, con l’acquisto – si legge nella decisione – di:
obbligazioni a tasso variabile e subordinate con emittente l’Intermediario medesimo, per un controvalore investito di euro 93.140,67, e alla sottoscrizione di quote di tre fondi, per complessivi euro 50.000,00.
Nel corso del tempo le operazioni in oggetto hanno però esposto l’uomo a gravi perdite, tanto da convincerlo a reclamare la restituzione del capitale investito. Dopo aver fatto, invano, reclamo alla banca, il cliente si è rivolto all’Arbitro per le controversie finanziarie – Acf.
Le violazioni contestate dal cliente investitore e le difese della banca
In relazione ai fallimentari investimenti effettuati, il ricorrente ha in particolare contestato la violazione – da parte della banca – degli obblighi:
- informativi passivi, per non aver richiesto le informazioni sul cliente che gli avrebbero permesso di avere piena chiarezza sulla sua situazione patrimoniale, sulle sue conoscenze in materia finanziaria, sulla sua propensione al rischio e sugli obiettivi;
- informativi attivi, non avendo dato al cliente un set informativo idoneo a scelte di investimento effettivamente consapevoli;
- in tema di valutazione di adeguatezza e appropriatezza dell’ingente investimento.
Il titolare del conto corrente e investitore ha così richiesto all’Arbitro di accertare il diritto ad avere la restituzione del capitale perduto, pari ad un totale di poco inferiore agli 84mila euro. Si è opposta la banca, affermando di aver invece rispettato appieno i doveri di informazione e sostenendo che l’investitore-ricorrente fosse anzi consapevole del rischio insito nelle operazioni e interessato più ad avere un alto rendimento, che ad evitare perdite.
Ne è così seguito il respingimento delle richieste di risarcimento del danno sia sul piano del diritto che su quello del suo ammontare.
La decisione dell’Arbitro e la condanna della banca al risarcimento danni
Dagli elementi emersi in corso di causa e dalle risultanze agli atti, l’Arbitro ha chiarito che:
non può dirsi che l’intermediario resistente abbia fornito al ricorrente […] una informazione tale da consentirgli di assumere consapevoli scelte di investimento.
In sostanza il materiale del fascicolo istruttorio ha inchiodato la banca alle sue responsabilità, perché – come si legge nella decisione:
- non è sufficiente la dichiarazione di aver ricevuto informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni dell’investimento e, anzi, non può ritenersi assolto l’obbligo di informazione che grava sull’intermediario (l’Arbitro richiama altre sue decisioni, come le n. 5258, 5595 e 5578);
- i doveri della banca non sono assolti con la semplice consegna del documento con le informazioni sui rischi generali degli investimenti finanziari;
- la scheda prodotto dell’obbligazione su cui c’è stato l’investimento, indicava sì il suffisso “Sub” – peraltro senza ulteriori specificazioni – ma nello stesso tempo classificava lo strumento come “Obblig. e Tit. Stato”, senza alcun chiarimento ulteriore circa il reale rischio in gioco collegato ai titoli;
- con riferimento agli investimenti nei tre fondi, la banca non ha esibito documenti che potessero dimostrare l’adempimento degli obblighi informativi.
Ricapitolando, l’Arbitro ha stabilito che le regole in tema di tutela del cliente-investitore – mirate ad assicurare un profilo di rischio “proporzionato” – erano state violate. Questo è un punto chiave della consulenza bancaria e – non a caso – fa parte degli obblighi previsti dal Testo Unico sulla Finanza – Tuf e dalla normativa MiFID II, che richiede alle banche e agli intermediari finanziari di proporre prodotti adeguati alle caratteristiche del cliente.
Non solo. Nella decisione n. 7680 si legge che la propensione al rischio dell’investitore che aveva fatto ricorso contro la sua banca, come risultante dal questionario di profilatura di riferimento, era “media“, a fronte di una classe di rischio attribuita agli investimenti – invece – “elevata“.
Insomma, elementi sufficienti per accertare la scarsa correttezza, diligenza e trasparenza dell’istituto e per non veder respinta la richiesta di risarcimento danni.
Che cosa cambia e il valore del provvedimento arbitrale
La decisione dell’Arbitro è stata presa al di fuori delle aule di tribunale, ma ciò non significa affatto che non abbia valenza. Anzi questa figura si occupa proprio di decidere su controversie che riguardano la violazione – da parte delle banche – degli obblighi informativi in materia di investimenti su prodotti finanziari.
Inoltre, seppur priva di efficacia giuridica vincolante tra le parti, la decisione anticipa di fatto l’esito finale dell’eventuale giudizio presso il tribunale ordinario. Questo perché la decisione è comunque emessa da personalità autorevoli e molto ferrate in diritto bancario. In breve, il giudice del tribunale – in caso di non rispetto della decisione da parte della banca – si uniformerebbe alla decisione arbitrale.
Nel caso visto sopra, il correntista-investitore ha ottenuto un provvedimento che ha accordato un risarcimento e, perciò, la scelta del ricorso all’Arbitro è stata assai opportuna – cambiando una situazione che per lui avrebbe potuto essere disastrosa sul piano finanziario.
Inoltre non dimentichiamo che, ai sensi dell’art. 23 comma VI del Testo Unico sulla Finanza – Tuf:
nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento […] spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.
Concludendo, nel caso che qui interessa la banca non è stata in grado di dimostrare di aver agito con diligenza, ossia di aver suggerito un investimento proporzionato al profilo di rischio del cliente. Per questo è stata condannata a rimborsare l’investitore, che aveva “bruciato” il capitale fidandosi del consulente.