Diversi analisti di geopolitica internazionale e strategia militare continuano a ripetere che l’unico modo per interrompere un conflitto come quello in corso in Ucraina da oltre due mesi sia smettere di finanziare chi l’ha iniziato. Nel caso specifico della Russia e del suo presidente Vladimir Putin, questo comporta la rinuncia al gas e al petrolio provenienti da Mosca.
La potenziale ricaduta economica però sarebbe altissima (anche se nessun capo di Stato ha ancora mai spiegato concretamente “quanto alta” sarebbe) a fronte del prezzo che stiamo già pagando sotto forma di ripercussioni per le sanzioni economiche sempre più pesanti dirette a piegare l’economia del Cremlino. A questo si aggiunge anche l’assistenza ai profughi in fuga dall’Ucraina e le numerose incognite per un’escalation bellico che tutti sembrano voler sventare ma che appare sempre più possibile ogni giorno che passa.
Italia, una nuova crisi economica? Le previsioni del governo per la rinuncia al gas russo
Tra gli scenari contenuti nell’ultimo Documento di economia e finanza del governo, ce n’è uno in cui si ipotizza per l’Italia lo stop degli approvvigionamenti di gas e petrolio dalla Russia. Si stima una carenza pari al 18% delle importazioni complessive nel 2022 e al 15% nel 2023. Il primo effetto è il razionamento, e il conseguente aumento del prezzo.
Dai circa 100 €/MWh di fine marzo si potrebbero superare i 220 €/MWh tra novembre 2022 e febbraio 2023. Quindi un ulteriore rialzo a catena dei prezzi, che impatta sulle attività economiche, sui consumi, sull’occupazione. L’inflazione vola a quota 7,6%, e a fine anno la crescita del Pil si attesterebbe sullo 0,6%, e nel 2023 allo 0,4%.
Lo scenario economico dopo lo stop al gas di Mosca: le ricadute sul Pil e sull’occupazione
Al momento le previsioni del governo si fermano qui, ma gli economisti hanno già ben chiare quali sarebbero le ricadute pratiche e tangibili di questo scenario. Partendo dal Prodotto interno lordo, quest’anno il nostro Paese ha già accumulato 2,2 punti di crescita sulla media del 2021; questo significa che chiudere il 2022 con un +0,6% di media vorrebbe dire perdere nella seconda metà dell’anno tutto il vantaggio accumulato.
L’Italia rischia seriamente di avere diversi trimestri con segno negativo, con il timore fondato di un crollo del Pil nella seconda metà di quest’anno del 2,5%. Uno shock che comporterebbe la perdita di 1,3 punti percentuali di occupazione nel 2022 e di 1,2 punti nel 2023. In concreto: circa 293 mila persone perderebbero il posto di lavoro quest’anno e altri 272 mila l’anno prossimo.
Il timore per gli effetti devastanti sulle famiglie più fragili
Ma a fare le spese di tutto questo sarebbero soprattutto le famiglie, che dovrebbero affrontare il caro riscaldamento e l’ennesima impennata dei prezzi alimentari: due spese incomprimibili. Già nel 2020 quelle con i redditi più bassi mobilitavano il 37,7% del loro bilancio per energia, carburanti, riscaldamento e alimentari, contro il 21,4% delle più ricche.
Oggi – secondo le stime pubblicate da diversi centri di ricerca degli istituti bancari del nostro Paese – la quinta parte più povera delle famiglie spende il 48% del reddito per energia e alimentari contro il 27% delle più benestanti. Vuol dire che 5 milioni di nuclei non riusciranno quest’anno a coprire le spese primarie con i propri redditi.