Buone notizie per gli automobilisti italiani. Lo sciopero dei benzinai durerà soltanto 24 ore, e non più 48 come previsto. Dopo la decisione presa ieri (martedì) da Faib Confesercenti, anche gli altri sindacati dei benzinai hanno deciso di revocare la seconda giornata di blocco degli impianti.
Intanto, secondo i primi dati che affluiscono da tutta Italia, l’adesione dei gestori risulta, come previsto, particolarmente massiccia, tanto da segnare un dato medio intorno all’89% su base nazionale, con punte oltre il 90% in alcune zone del Paese.
Mentre il presidente di Faib Giuseppe Sperduto auspica che le polemiche con il governo finiscano qui e “si apra già da oggi una fase nuova”, in una nota congiunta Fegica e Figisc/Anisa spiegano di essere arrivati a questa svolta dopo l’incontro positivo con il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.
“Una decisione – chiariscono – assunta in favore degli automobilisti e non certo per il governo”. Dopo un intenso incontro/scontro durato giorni, finalmente quindi gestori e governo hanno trovato una quadra. Impianti di benzina dunque aperti di nuovo dalle 19 di oggi mercoledì 25 gennaio sulla rete ordinaria, e alle 22 su tutta la rete autostradale italiana.
“La mobilitazione resta in piedi” ha commentato comunque il presidente della Fegica Roberto Di Vincenzo al termine dell’incontro. “Pur riconoscendo di aver potuto interloquire in maniera costruttiva con il ministero che si è speso per diventare interlocutore propositivo, l’incontro ha confermato il persistere di molte criticità” scrivono le due sigle nella nota.
“Anche quest’ultimo ennesimo tentativo di rimediare ad una situazione ormai logora non è riuscito ad evidenziare alcun elemento di concretezza che possa consentire anche solo di immaginare interventi sui gravissimi problemi del settore e di contenimento strutturale dei prezzi. Le proposte emendative avanzate dal Governo di Giorgia Meloni al suo stesso decreto non rimuovono l’intenzione manifesta di individuare i benzinai come i destinatari di adempimenti confusi, controproducenti oltreché chiaramente accusatori”.
Tuttavia, dicono, appare ormai chiaro che gli italiani “hanno perfettamente capito”. Il confronto a questo punto si sposta in Parlamento, dove i benzinai hanno già avviato una serie di incontri con tutti i gruppi parlamentari perché il testo del decreto cosiddetto trasparenza raccolga in sede di conversione le necessarie modifiche.
Cosa vogliono ancora i gestori
Altre sigle sindacali non avevano comunque aderito allo sciopero. Per esempio Asnali, che ha fatto sapere in un comunicato che, “diversamente da quanto stanno facendo i gestori aderenti ad altre sigle sindacali”, i suoi associati sono stati sempre regolarmente in servizio.
“Ripetiamo per l’ennesima volta che a fronte delle aperture del Governo, che ha ascoltato ed esaudito in larga parte le nostre richieste, riteniamo sia ingiustificato perseverare in una forma di protesta che non fa altro che recare danno ai cittadini e a sistema produttivo italiano”.
Asnali vuole ora portare all’attenzione del Governo le problematiche inerenti la formazione del prezzo di vendita del carburante, e la criminalità legata agli approvvigionamenti illegali provenienti dall’estero, in mano alla mala vita organizzata, spiega. Ma soprattutto affrontare la vera piaga che affligge il settore, cioè i limiti all’iniziativa imprenditoriale cui devono sottostare i gestori, “soggetti a margini da fame imposti da compagnie incuranti di tutto ciò che comporta la gestione di un punto vendita”.
Cosa cambia per i benzinai: le nuove regole
Ma cosa cambia dunque per i benzinai? Ecco come cambia quindi il decreto trasparenza:
- l’obbligo di comunicazione dei prezzi della benzina sarà settimanale e non giornaliero
- la chiusura per omessa comunicazione avverrà solo dopo 4 omissioni nell’arco di 60 giorni, e non più dopo 3 senza limiti temporali anche non consecutivi
- l’eventuale chiusura potrà essere decisa da 1 a 30 giorni. Prima la previsione era da 7 a 90 giorni
- le sanzioni per omessa comunicazione saranno da un minimo di 200 a un massimo di 800 euro a seconda del fatturato dell’impianto. Prima raggiungevano i 6mila euro.