La crisi economica ha colpito anche i cantieri, che nel corso del 2022 hanno registrato una brusca frenata. Gli investimenti in opere pubbliche nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si sono dimezzati rispetto alle attese, crescendo appena del 4%. Il rischio è di assistere a ulteriori paralisi e rallentamenti durante il 2023 per effetto degli extra costi derivanti dall’aumento dei prezzi dei materiali e dai rincari energetici. Come denunciato dall’Ance, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili, il settore edilizio se la deve vedere con meccanismi di compensazione lenti e incerti.
Un Pnrr da aggiornare
Nonostante l’attuazione del Pnrr stia andando avanti nel rispetto delle tappe programmate (l’Italia ha ricevuto a novembre la seconda tranche di finanziamenti pari a 21 miliardi di euro), c’è da risolvere il nodo dei ritardi attuativi sul fronte operativo e dei costi aggiuntivi di realizzazione che occorre coprire nella filiera edile.
La premier Giorgia Meloni ha già sollevato la questione a Bruxelles, proponendo alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di “lavorare insieme per implementare il piano, permettendo alle risorse di arrivare a terra”. L’obiettivo è quello di adeguare il Pnrr alle nuove esigenze economiche, sulla base dell’articolo 21 del Next generation Eu che consentirebbe agli Stati di valutare ogni scenario (ne abbiamo parlato anche qui).
Intanto per la corretta e veloce attuazione dei prossimi step prestabiliti al fine di ottenere la terza tranche di finanziamenti è stata istituita una specifica cabina di regia coordinata dal ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto.
Cantieri fermi: il problema delle compensazioni
Stando a quanto stimato dall’Ance, le imprese di costruzioni aspetterebbero ancora almeno 5 miliardi di euro di extracosti per lavori realizzati negli ultimi mesi. Sono state le ditte appaltatrici infatti, fin dal 2021, ad anticipare la copertura dei costi aggiuntivi, scongiurando di fatto chiusure massicce.
Ma adesso senza lo sblocco di queste somme sarebbero a rischio più di 20mila cantieri in esecuzione, per un valore complessivo di circa 160 miliardi di euro. La percentuale di imprese che avrebbero ricevuto i rimborsi sarebbero ad oggi irrisorie.
Le compensazioni, come spiegato dall’associazione costruttori, per l’eccessiva burocrazia “hanno tempi di attuazione troppo lunghi rispetto all’emergenza”. Per questo la situazione “sta diventando insostenibile finanziariamente ed economicamente per le imprese, che non hanno nessuna certezza di vedere effettivamente ristorate le spese già sostenute da tempo”.
Le cause degli extra costi
Gli extra costi nei cantieri sono principalmente derivati dall’aumento del costo delle materie prime per l’edilizia, dai rincari energetici sulla filiera e dagli elevati costi di trasporto conseguenti allo scoppio del conflitto in Ucraina. Il tutto, dopo i blocchi dovuti ai problemi legati al Superbonus e alla cessione dei crediti. Insomma, con il passare dei mesi i margini di guadagno delle ditte si sono assottigliati.
L’Ance ha inoltre rilevato che i ritardi nell’esecuzione delle opere sono attribuibili anche alla “scarsa capacità amministrativa degli enti che si trovano a gestire una mole di risorse e progetti notevole in tempi molto ristretti”.
E un’ulteriore criticità è rappresentata dell’adeguamento dei prezzari di mercato: il 73% delle imprese appaltatrici ha segnalato che le opere in gara negli ultimi mesi non risultano ancora aggiornate ai nuovi valori.
Per garantire la prosecuzione dei cantieri nel 2023 ed evitare un “black out” generale nel settore edilizio, il governo si è posto l’obiettivo di assegnare nuovi fondi, adeguando il costo delle opere al caro materiali (proroga dl Aiuti), e di favorire la creazione di strutture regionali di coordinamento della messa a terra del Pnrr, in modo tale da ridurre gli effetti della ridotta capacità amministrativa.