Gli ultimi dati sulla popolazione delle cosiddette Aree interne dell’Italia ha rivelato un alto tasso di partenze da parte di lavoratori e laureati. L’elaborazione delle ultime informazioni disponibili, relative al 2023, ha rivelato un peggioramento del fenomeno che sta avendo conseguenze molto serie su tutto il territorio nazionale.
I tassi di espatrio sono nettamente più alti in queste zone non solo rispetto ai centri urbani, ma anche ai poli intercomunali e alle cinture. La situazione peggiore è nelle aree ultra periferiche, dove il dato è aumentato fino ad arrivare al raddoppio in meno di 20 anni.
La fuga dalle aree periferiche
Istat ha recentemente pubblicato un nuovo rapporto che riguarda le cosiddette Aree interne dell’Italia. In contrapposizione ai centri urbani, le aree interne sono significativamente distanti dall’offerta di servizi essenziali come istruzione, scuola e mobilità. Vengono individuate dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica per poi essere divise in fasce. Da una parte ci sono le Aree interne vere e proprie, composte dai piccoli comuni categorizzati a loro volta tra intermedi, periferici e ultra periferici. Dall’altra ci sono i Centri, con i poli, i poli intracomunali e i Comuni di cintura.
L’istituto di statistica ha verificato che nelle Aree interne si sta rafforzando un fenomeno di espatrio molto significativo. Il dato più preoccupante è quello dei tassi di espatrio, cioè il rapporto tra gli emigrati e la popolazione residente. Se il trend in queste zone è simile a quello nazionale, con un aumento cominciato nel 2010 e mai davvero rallentato, l’intensità mostra i seri problemi che queste zone del Paese hanno nel trattenere la popolazione attiva sul loro territorio. Se nei comuni urbani il tasso rimane attorno al 2 per mille, con aumenti tutto sommato limitati rispetto al 2013, tra lo 0,2 e lo 0,6 per mille, nelle Aree interne la situazione sta precipitando.
Tutti i dati sono superiori al 2,2 per mille, ma sono gli aumenti a definire la criticità della situazione.
- Comuni intermedi, dal 1,4 per mille del 2013 al 2,2 del per mille del 2023, + 0,8 per mille
- Comuni periferici, dal 1,5 per mille del 2013 al 2,3 per mille del 2023, +0,8 per mille
- Comuni ultra periferici, dal 1,5 per mille del 2013 al 2,5 per mille del 2023, +1 per mille
Buona parte delle persone che se ne vanno, sia dai centri che dalle aree interne, hanno tra i 25 e i 39 anni. Sono giovani, attratti all’estero da migliori opportunità lavorative. I dati delle fasce più giovani della popolazione, 0-14 e 15-24, si equivalgono, indicando che si tratta in buona parte di bambini o ragazzi che seguono i genitori all’estero. Oltre il 20% delle partenze è però composto da persone tra i 40 e i 64 anni, spesso nella parte più alta della propria carriera lavorativa. Marginale invece il contributo dei pensionati, che superano a malapena il 5% del totale.
Non solo lavoratori: il problema della fuga dei laureati
Le aree interne non perdono soltanto popolazione in generale. L’Istat ha infatti individuato un grosso movimento di competenze, sotto forma di persone laureate, dalle periferie d’Italia al centro e da tutto il Paese all’estero o i centri urbani. Non sempre, sottolinea l’istituto, questo processo è negativo. A volte infatti si tratta di brevi periodi di formazione, che portano poi il laureato a tornare sul territorio con maggiori competenze, arricchendo il tessuto economico. Spesso però si tratta di partenze senza ritorno.
Negli ultimi 20 anni il tasso di emigrazione dei laureati dalle aree interne al centro è sempre aumentato, con la sola comprensibile eccezione degli anni della pandemia, in cui i movimenti interni e verso l’estero erano più complessi. Nel 2022 per la prima volta sono stati più di 25mila i possessori di un titolo di educazione terziaria che hanno lasciato un’area periferica del nostro Paese per muoversi verso un centro urbano. Circa 3mila invece quelli partiti per l’estero. Anche se i flussi di rientro hanno ripreso ad aumentare dal 2019, sono marginali rispetto a quelli in uscita, coprendo circa la metà delle partenze.
In 20 anni, tra il 2002 e il 2022, si sono spostati dalle Aree interne verso i centri circa 330mila laureati tra i 25 e i 39 anni. 45mila quelli che sono andati a vivere all’estero. Il ritorno è stato di meno di 200mila giovani dal centro e 17mila dall’estero. Questo significa che le aree interne hanno perso in media 8mila laureati all’anno, una quantità di capitale umano molto significativa che ha peggiorato sensibilmente le possibilità di questa parte del Paese.
Dove vanno gli italiani che espatriano
Come visto dai dati mostrati in precedenza, la principale meta degli italiani che espatriano dalle Aeree interne sono i centri. Il movimento verso le città è largamente maggiore di quello verso altri Paesi anche se c’è da segnalare che il trend tra i due dati è praticamente identico. La crescita è stata fermata soltanto dalla pandemia, contesto in cui lo spostamento verso l’estero era molto complesso, anche all’interno dell’Unione europea.
Nel 2021 però circa 94mila persone hanno lasciato l’Italia, buona parte di queste quindi proveniva dai centri. La migrazione dalla periferia quindi compensa quasi completamente le partenze verso l’estero, che quindi risultano al netto del trasferimento interno un elemento importante per lo svuotamento progressivo delle Aree interne. Ormai soltanto 13 milioni di italiani abitano lontano dai centri urbani, meno di un quarto del totale della popolazione del nostro Paese.
Le persone che se ne vanno dalle aree interne dell’Italia verso l’estero hanno mete preferite piuttosto definite. In molti casi però, si tratta di Paesi europei che non fanno parte dell’Ue. Se la Germania rimane il principale Paese di riferimento, attraendo il 25,3% degli emigrati provenienti dalle periferie italiane, al secondo e al terzo posto ci sono la Svizzera, con il 13,6% e il Regno Unito, con il 12,7%. Proprio la Gran Bretagna si prende invece il primo posto per quanto riguarda l’emigrazione proveniente dai centri, anche se con un ruolo meno preponderante di quello che ha la Germania per le periferie. Infatti solo il 18,8% del totale degli emigrati vede lo UK come meta preferita. Seguono la Germania ancora una volta, con il 13% e la Francia, con il 10%.