BTP e BOT, la rinazionalizzazione “riuscita” del debito pubblico

Una analisi di approfondimento del Centro Studi Confindustria nell'ambito del Rapporto d'autunno mette in luce come è ripartito il debito pubblico italiano e l'aumento della quota in mano alle famiglie

Pubblicato: 28 Ottobre 2024 09:24

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Redazione

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Il Governo Meloni ha puntato molto sulla “nazionalizzazione” del debito pubblico italiano, come confermano le numerose e fortunate operazioni di collocamento dei BTP Valore e BTP Italia, che tanta fortuna hanno riscosso fra il pubblico retail. Operazioni che sono andate in porto e che hanno prodotto un riequilibro ed una normalizzazione dello stock del debito pubblico.

Un’analisi condotta dal Centro Studi Confindustria nel suo Rapporto d’autunno mette in luce che, fra il 2022 e il 2024, c’è stata una significativa ricomposizione tra i detentori dello stock di titoli di debito pubblico in Italia.

Nel complesso, si sta determinando una “normalizzazione” tra i detentori di titoli di Stato italiani: meno banche e assicurazioni, cioè i due principali settori finanziari, che comunque restano prevalenti con il 23,8% complessivo (dal 29,1%); più famiglie e imprese, ovvero i due settori dell’economia “reale”, che insieme arrivano al 14,1% (dal 6%). Un riequilibrio che va giudicato positivamente ai fini della  stabilità finanziaria complessiva del Paese.

Più Italia che estero

Guardando alla composizione del debito si nota subito che il sistema Italia detiene poco meno della metà dello stock di titoli pubblici italiani (il 45,1% nel 1° trimestre 2024), in significativo aumento negli ultimi due anni (dal 41,6% nel 1° trimestre 2022). A questi si aggiungono anche i titoli in mano alla Banca Centrale rivenienti dalla BCE (il 26,8%).

L’Estero invece conta in Italia per meno di un terzo del totale dello stock di titoli pubblici (il 28,1% nel 2024). Una quota molto più bassa dei partner europei: in Germania è in mano all’estero il 54,2% dei titoli pubblici, in Francia il 55,4%. Nonostante il ruolo limitato dell’Estero sul totale dello standing, di recente, quasi metà degli acquisti addizionali di titoli di Stato italiani è venuta dall’estero (+100 miliardi lo stock detenuto da stranieri nel 1° trimestre 2024 rispetto al 2023). Sembra dunque che ci sia più fiducia dei mercati esteri verso lo Stato italiano (come conferma l’esito dell’ultimo collocamento del Tesoro).

Cresce la quota in mano alle famiglie

Da segnalare anche che lo stock di titoli di Stato in mano alle famiglie italiane è cresciuto ininterrottamente negli ultimi due anni, registrando +109 miliardi nel 1° trimestre 2024 rispetto a inizio 2023 e +69 miliardi nel 2023 rispetto al 2022. La quota detenuta dalle famiglie è risalita dal 4,7% del totale a inizio del 2022 al 12,1% a inizio del 2024. All’inizio del 2022 era stato toccato il minimo storico dello stock di titoli di Stato in mano alle famiglie (117 miliardi), che poi ha raggiunto nel 2024un nuovo massimo storico di 295 miliardi (263 miliardi solo intitoli a lungo termine), mentre lo stock di BOT è salito da quasi zero a un quarto del totale in soli 2 anni (31 miliardi).

Ma per quale motivo le famiglie stanno acquistando tutto questo debito? Da notare che il trend in corso è iniziato a inizio 2022, con la guerra Russia-Ucraina e l’impennata dell’inflazione, che ha costretto la BCE ad alzare i tassi velocemente sino al massimo del 4,50%. Questa evoluzione favorevole dei rendimenti, unita all’incertezza globale, ha convinto le famiglie ad acquistare più debito pubblico.

L’aumento dello stock di titoli di Stato non sembrerebbe invece essere ricollegato all’investimento di parte dell’extra-risparmio accumulato nel periodo della pandemia (2020-2021). Infatti, la ricchezza finanziaria delle famiglie (che include i depositi di liquidità presso le banche) saliva a un nuovo picco a fine 2021, spinta dall’extra-risparmio, mentre i titoli pubblici scendevano al minimo sino a inizio 2022. Negli ultimi 2 anni, le famiglie italiane hanno più che raddoppiato la quota di titoli di Stato detenuti: da 2,2% nella loro ricchezza a inizio 2022, a 5,1% della loro ricchezza a inizio 2024.

Chi altro compra BTP

Anche le imprese italiane hanno acquistato più titoli di Stato, sebbene in misura molto inferiore a quello delle famiglie, per investire una parte della loro liquidità. La loro quota è così passata dal’1,3% del totale a inizio 2022 al 2% a inizio 2024 e s divide in 6 miliardi i titoli pubblici a breve e 43 miliardi in strumenti di medio-lungo termine.

Pure i fondi comuni hanno contribuito alla maggiore domanda recente di titoli di Stato (+12 miliardi nel 2024, per un totale di 48 miliardi), così come la PA che “ricompra” parte dei titoli che emette e ne detiene oggi uno stock significativo e in crescita (2,6% del totale, pari a 64 miliardi nel 2024, da 1,7% e 41 miliardi nel 2022).

C’è anche chi vende

Il principale settore venditore sono negli ultimi due anni le banche italiane, che stanno rapidamente disinvestendo dai titoli di Stato, un elemento di instabilità e di aumento del rischio nei loro bilanci: -35 miliardi nel 2023 e -44 miliardi nel 2024. Disinvestendo, nell’ultimo anno le banche hanno sostituito tali titoli pubblici italiani con quelli esteri, per cui il loro stock complessivo di titoli di Stato di paesi europei si è ridotto di poco. La voce che si sta riducendo più fortemente tra gli asset bancari è quella dei prestiti (-73 miliardi negli ultimi 12 mesi).

Anche le compagnie di assicurazioni, come le banche, stanno disinvestendo dai titoli PA italiani, per motivazioni e con modalità sostanzialmente analoghe.

E con velocità simile: la quota delle banche sul totale di questi titoli è scesa dal 17,0% al 14,1%, quella delle assicurazioni dal 12,1% al 9,7%.

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