Che la guerra in Ucraina abbia innescato un effetto a cascata che coinvolge praticamente tutti i Paesi del mondo è ormai cosa chiara ed evidente. Lo è per i comuni cittadini e, a maggior ragione, per un “drago” della geopolitica e architetto delle trame internazionali negli Anni Settanta: il celeberrimo Henry Kissinger. Di recente era finito nell’occhio del ciclone per via di alcune dichiarazioni “scomode”, come solo quelle dei grandi analisti sanno essere, riguardo una Russia da “reintegrare” nel sistema europeo (ne abbiamo parlato qui).
L’ex Segretario di Stato americano durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford stavolta non si abbandona a interpretazioni oltre la Storia, ma parla di un rischio reale e presente. E che c’entra con la tensione crescente tra Stati Uniti e Cina per Taiwan.
Cosa ha detto Kissinger
Senza girarci troppo intorno, secondo Kissinger un’escalation tra le due superpotenze globali rischia di tradursi in una “catastrofe comparabile alla Prima Guerra Mondiale”. Non è la prima volta che l’ex Consigliere per la sicurezza americano dice una cosa del genere: già nel 2020, infatti, mise in guardia le cancellerie occidentali (e non) sul countdown per evitare l’inasprirsi dei rapporti tra Cina e Usa. Un invito a una strategia meno conflittuale reiterato anche alla luce delle dichiarazioni sino-statunitensi tutt’altro che distensive negli ultimi giorni (guerra Cina-Taiwan alle porte? Perché ci costerebbe cara).
In un’intervista rilasciata a Bloomberg, Kissinger da un lato sottolinea che la Cina non dovrebbe diventare “un’egemonia globale”, mentre dall’altro esorta Joe Biden a evitare di sovrapporre la politica domestica degli Usa con “l’importanza della comprensione della permanenza” del gigante asiatico. Tradotto: “è importante prevenire il predominio della Cina o di qualsiasi altro Paese, ma non è qualcosa che può essere raggiunto con uno scontro senza fine“.
L’avvertimento prima della visita di Nancy Pelosi a Taiwan
L’avvertimento del diplomatico di lungo corso è arrivato pochi giorni prima della visita a Taiwan della speaker della Camera statunitense, Nancy Pelosi, che Pechino non ha tardato a definire una “grave provocazione”. Da parte sua Pelosi ha sottolineato che la visita serve a ribadire il sostegno della Casa Bianca alla “vibrante democrazia” dell’isola rivendicata territorialmente dalla Cina comunista da oltre 20 anni.
Il punto di vista razionale del Premio Nobel per la Pace 1973 esclude un’invasione diretta dell’ex isola di Formosa da parte di Pechino, ma ritiene plausibile una strategia indiretta di indebolimento politico e socio-economico di Taiwan. L’obiettivo primario degli Stati Uniti dovrebbe restare quello di evitare uno scontro frontale con la Cina, mantenendo il confronto su livelli più diplomatici. Argomenti che Kissinger padroneggia in profondità, visto che fu lui stesso nel 1972 a condurre il presidente Richard Nixon da Mao Zedong nella Città Proibita, dopo un negoziato segreto.
I consigli (vecchi) rivolti a Joe Biden e Xi Jinping
La capacità di previsione a lungo termine di Kissinger è ancora più evidente se si considera che egli ha riproposto esattamente gli stessi concetti espressi più di due anni fa in merito alle relazioni tra Cina e Stati Uniti. E funzionano ancora perfettamente, anche alla luce dell’ennesima crisi legata a Taiwan. “A meno che si trovi una qualche base di cooperazione, il rischio è che il mondo scivoli in una catastrofe comparabile alla Prima Guerra Mondiale”. Una catastrofe che sarebbe “più grave, perché la tecnologia ha terribilmente accresciuto il potenziale distruttivo delle armi“, aveva spiegato l’ex Segretario di Stato sempre all’agenzia Bloomberg, in piena pandemia Covid. Con un suggerimento diretto e spassionato ai due leader Joe Biden e Xi Jinping: incontrarsi e proporre un’agenda comune basata sostanzialmente su due punti:
- scongiurare una guerra diretta: “Il pericolo ora è che una crisi vada oltre la retorica e scivoli nella guerra. Biden e Xi devono dirsi apertamente che qualunque scontro possano avere, Stati Uniti e Cina non ricorreranno mai al conflitto militare”;
- Biden e Xi dovrebbero incaricare “qualcuno di cui si fidino completamente per l’avvio di negoziati“, con l’intento di stabilire quello che possono fare insieme; secondo Kissinger, i delegati dovrebbero rimanere in contatto costante a nome dei rispettivi presidenti.
La questione di Taiwan: cosa succede fra Usa e Cina
Ciò che è certo è che il conflitto russo-ucraino ha accelerato la contesa tra Cina e Usa legata al dossier “difesa di Taiwan”. L’atteggiamento statunitense nei confronti dell’isola è regolato da una legge federale, il Taiwan Relations Act del 1979 (ai margini dell’era Kissinger, dunque), che però è molto ambigua su che cosa potrebbe succedere in caso di attacco militare da parte della Repubblica Popolare a quella che è di fatto “l’anti-Cina” o più semplicemente la Cina nazionalista. Nel testo viene disposto che il Congresso e il presidente degli Stati Uniti dovranno consultarsi e decidere il da farsi. C’è dunque ampio margine per evitare un intervento militare diretto, più volte paventato in questi giorni e a cavallo tra Vecchio e Nuovo Millennio. Anche se di fatto, come nota Lucio Caracciolo, si è spenta la luce sul teatro geopolitico sino-americano allestito mezzo secolo fa da Henry Kissinger e Zhou Enlai e codificato nel 1992, fondato sull’ambiguo riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese da parte americana a scapito della Repubblica di Cina, come allora Taiwan preferiva definirsi. In cambio, Washington offriva a Taipei vaghe garanzie contro un’eventuale aggressione.
L’ambiguità regna però anche nelle intenzioni e nella propaganda delle due nazioni. La visita di Nancy Pelosi ha esacerbato i toni, ma già nei mesi scorsi lo stesso Biden, dopo aver detto “difenderemo Taiwan con la forza”, ha specificato che per gli Usa resta valida la politica dell’Unica Cina. Non solo: dice anche di non volere una crisi con Pechino, ma di essere pronto a gestirla. Dal canto suo, il governo cinese mobilita i caccia (di fabbricazione russa) e inaugura esercitazioni militari nello Stretto di Formosa proprio mentre la Pelosi è a Taipei, ma poi si definisce “vittima” delle provocazioni americane e chiama “traditori” gli avversari anglofoni. Spalleggiata, manco a dirlo, dal Cremlino attraverso le parole del ministro degli Esteri Sergei Lavrov, secondo il quale Washington ha voluto dimostrare la propria “impunità” e “illegalità”. “Non posso dire quale sia stata la motivazione degli americani, ma non ci sono dubbi che rifletta la stessa linea di cui stiamo parlando per quanto riguarda la situazione in Ucraina”. Completano il quadro le parole della presidente taiwanese Tsai Ing-wen, secondo cui l’isola non cederà di fronte alle minacce militari per “difendere la democrazia”.
C’è però una notazione da fare. Di fatto Stati Uniti e Taiwan non hanno relazioni diplomatiche ufficiali, esistono solo uffici di rappresentanza e commerciali – per così dire – da quando, alla fine dei Settanta, Washington rovesciò l’atteggiamento nei confronti della Cina, riconoscendo la Repubblica Popolare perché utile in funzione anti sovietica in quanto molto più “pesante” della piccola Cina insulare, che dal canto sua si professa come quella “vera”. Una situazione che oggi non è cambiata, se non per il destino che attende la Russia: gli Usa vogliono evitare che l’Orso finisca preda del Dragone cinese, che arriverebbe così alla grande sfida per il predominio globale oltremodo rafforzata (con grano e petrolio a sufficienza). Sfida che ci auguriamo quantomeno non militare.