Con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri, la riforma del premierato compie un passo avanti verso l’ok definitivo. Nonostante gli oggettivi ostacoli (come abbiamo spiegato qui) al progetto di modifica costituzionale, Giorgia Meloni punta forte su quella che definisce “la madre di tutte le riforme”, che contiene anche misure “anti-ribaltone” e l’addio ai senatori a vita.
La vera sfida ora è però adattare l’impalcatura istituzionale per accogliere compiutamente la riforma voluta dalla maggioranza. Un percorso che impone un cambiamento anche della legge elettorale. Ecco perché e cosa può accadere.
Qual è l’attuale legge elettorale e perché va cambiata
“Si affida alla legge elettorale la determinazione di un sistema, con un premio assegnato su base nazionale che assicuri al partito o alla coalizione dei partiti collegati al premier la maggioranza dei seggi parlamentari”. La summa riassunta dalla ministra Maria Elisabetta Alberti Casellati è in realtà una premessa: “Sto lavorando per mettere a terra la riforma della legge elettorale. È chiaro che serve una legge da adattare alla nuova forma di governo. Ci sarà un’ampia consultazione. Ci sarà l’individuazione di una soglia, il 55% rimane un’ipotesi minima, potremmo anche superarla”.
Cerchiamo di entrare nel dettaglio. L’attuale legge elettorale è il cosiddetto Rosatellum o Legge Rosato, chiamato così in omaggio a uno dei principali sostenitori del testo, approvato nel 2018: Ettore Rosato. La legge n. 165 del 3 novembre 2017 prevede un sistema elettorale misto, in parte proporzionale e in parte maggioritario. Nello specifico, un terzo dei seggi tra Camera e Senato viene eletto in collegi uninominali (quindi tramite un sistema maggioritario), mentre i restanti due terzi sono divisi tra i partiti rispettando i risultati percentuali ottenuti alle elezioni (quindi tramite un sistema proporzionale).
Qui spieghiamo invece cos’è il Piano Mattei voluto dal Governo Meloni.
I nodi della legge elettorale: perché deve cambiare e come
Il Rosatellum fa a pugni con la riforma del premierato per una questione numerica: l’attuale sistema elettorale non offre infatti la sicurezza matematica che il Presidente del Consiglio eletto direttamente ottenga la maggioranza parlamentare del 55%, prevista invece dal disegno di legge voluto dal Governo Meloni. Fra premierato e premio di maggioranza, insomma, c’è il mare.
Il progetto di riforma prevede un premio di maggioranza assegnato su base nazionale, che garantisce il 55% dei seggi a chi ottiene più voti. Giorgia Meloni ha spiegato che nel ddl non si è voluto affrontare né la questione del ballottaggio né quella del premio di maggioranza, perché “di questo si dovrà occupare il Parlamento”. Anche riscrivendo la legge elettorale, per l’appunto.
Qui invece parliamo del piano anti terrorismo voluto dal Governo Meloni.
Cosa non torna: ostacoli e ipotesi
La riforma voluta dalla maggioranza ha evidenziato forse l’unica certezza: abbiamo bisogno di una nuova legge elettorale. Il più grande ostacolo, oggi come in passato, è come stabilire l’assegnazione del premio di maggioranza, autentico “spauracchio” delle discussione parlamentari sul tema. Alla luce delle misure proposte dalla riforma del premierato, andrà inoltre stabilito il sistema per selezionare i parlamentari.
Assumendo che la nuova legge elettorale dovrà prevedere una soglia oltre la quale scatterà il premio, si presenta già la prima incognita. Dato che Palazzo Chigi propone l’elezione diretta del premier a cui è collegata una maggioranza, secondo alcuni costituzionalisti la soglia minima dovrebbe essere del 50%, come il sistema per eleggere il sindaco o su modello del sistema presidenziale francese. Se non si raggiunge la maggioranza assoluta, si dovrebbe andare quindi al ballottaggio. Alcune fonti riferiscono che la maggioranza parla tuttavia di percentuali più contenute: il primo riferimento è al 40% come stabilito dall’Italicum, la legge elettorale bocciata dalla Corte costituzionale nel 2017.