A dispetto delle dichiarazioni di guerra in campagna elettorale contro il Reddito di cittadinanza, migliaia di percettori possono ormai tirare un sospiro di sollievo. Ma non tutti. Il sussidio tanto caro al M5s sembra aver definitivamente scampato il rischio soppressione e all’interno del governo Meloni si registrano sul tema diverse linee di pensiero, come dimostrano le parole di apertura del sottosegretario del ministero del Lavoro, Claudio Durigon.
La riforma della misura è ancora sul tavolo, di certo c’è però che non mancheranno modifiche sostanziali ai requisiti e alle condizioni per continuare a mantenere l’assegno.
Reddito di cittadinanza: le intenzioni del governo
A rischiare dovrebbero essere i beneficiari abili al lavoro con meno di 60 anni e senza figli a carico, che potrebbero essere costretti a rinunciare al sostegno di Stato.
Lo conferma in un recente intervento in TV ospite di “Porta a Porta” il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari.
“Chi ha tra i 18 e i 59 anni, senza minori a carico, ed è in grado di lavorare perderà l’assegno legato al reddito di cittadinanza, anche se non immediatamente. Lo manterranno, invece, gli invalidi, chi è in difficoltà, chi ha minori a carico senza avere adeguati mezzi di sostentamento”, ha dichiarato l’esponente di Fratelli d’Italia.
“Ovviamente non sarà fatto immediatamente – ha spiegato – Prima della riforma della Naspi l’assegno di disoccupazione era di 6 mesi, questo può essere un tempo congruo”.
Più morbido rispetto alle altre posizioni nel governo l’approccio della Lega espressa dal sottosegretario al Lavoro Durigon, per il quale la riforma del Reddito di cittadinanza dovrebbe prevedere un “décalage” dell’assegno, una decurtazione a tappe dell’importo ricevuto fino a un limite di tempo prestabilito, ma con la perdita del sussidio per chi rifiuterà anche una sola offerta di lavoro.
Una stretta che secondo i calcoli dell’esponente del Carroccio, già sottosegretario al Lavoro nel 2019 quando il governo Lega-M5s varò l’Rdc, dovrebbe colpire un beneficiario su tre.
“Il sussidio non può essere a vita” ha spiegato Durigon, “va fissato un termine oltre il quale non si può andare, un po’ come con la Naspi“, l’indennità di disoccupazione.
“Pensiamo che il sistema non debba più essere gestito centralmente dall’Inps ma sul territorio dai Comuni, che conoscono meglio le reali situazioni di povertà” ha aggiunto inoltre il sottosegretario.
Reddito di cittadinanza: il piano di Durigon
L’esponente leghista ha in mente un percorso “ragionevole” da proporre al governo di Giorgia Meloni, che dovrebbe prevedere “dopo i primi 18 mesi di Reddito, che si possa andare avanti al massimo per altri due anni e mezzo, ma con un décalage”.
Se dopo questo primo arco di tempo il percettore non trova lavoro viene inserito senza assegno in un percorso di politiche attive del lavoro per sei mesi, trascorsi i quali, in caso fosse ancora disoccupato, potrebbe ottenere di nuovo il Rdc, “ma con un importo tagliato del 25% e una durata ridotta a 12 mesi”, durante i quali continuerebbe a fare formazione.
Secondo il piano di Durigon, se anche dopo questo periodo il beneficiario non è entrato nel mercato del lavoro, il sussidio verrà sospeso per altri sei mesi, alla fine dei quali il Reddito di cittadinanza potrà essere chiesto per l’ultima volta, “solo per sei mesi e per un importo decurtato di un altro 25%. Prenderà cioè la metà di quanto prendeva all’inizio”.
Infine, chi dovesse rifiutare anche soltanto un’offerta di lavoro, e non due come previsto oggi, perderebbe da subito il diritto al Reddito di cittadinanza (in precedenza avevamo già spiegato come potrebbe cambiare l’Rdc).