Le unioni civili rappresentano una tipologia di convivenza di coppia, in qualche modo alternativa al matrimonio. Come quest’ultimo si fondano su vincoli affettivi e di natura economica, e oggi la legge riconosce loro uno status giuridico e una protezione per molti versi simili all’unione tradizionale conseguita in chiesa o in Comune.
Basti pensare ad es. alle conseguenze della rottura dell’unione civile. Come per le coppie sposatesi con matrimonio civile o religioso con effetti civili, infatti, può spettare l’assegno di mantenimento, ma non sempre.
Recentemente la Corte di Cassazione ha offerto utili chiarimenti a riguardo e – con l’ordinanza n. 24930 – indirettamente aiuta anche tutte quelle coppie che, unite civilmente, hanno dubbi in merito ai diritti in gioco subito dopo la cessazione del legame.
Scopriamo allora quando, in caso di unione civile giunta al capolinea, spetta il contributo mensile e quando invece non è possibile rivendicarlo.
Indice
Assegno di mantenimento per le unioni civili, la legge Cirinnà sul punto
La legge n. 76 del 2016 – o legge Cirinnà – contiene una importante previsione all’art. 1 comma 25. In esso infatti il legislatore – richiamando la disciplina della nota legge sul divorzio del 1970 – equipara l‘assegno di mantenimento delle unioni civili a quello disposto in caso di divorzio (che oggi può essere veloce), ma attenzione: con la citata pronuncia di qualche settimana fa la Cassazione ha colto anche l’occasione per precisare che:
- nella generalità dei casi l’obbligo di mantenimento gravante su uno dei componenti dell’ex unione civile, non può essere considerato automatico;
- tale obbligo deve anzi essere valutato in rapporto alla condizione economica di ambo le parti.
La Corte ha perciò rimarcato che il mantenimento post-unione civile non può prescindere da una valutazione bilanciata e precisa del contesto economico in cui si trovano gli ex partner. Nell’ordinanza si legge infatti che:
in caso di unioni civili […] il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore dell’ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, […] richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex partner istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Non solo. Il giudizio sulle effettive risorse a disposizione deve essere effettuato, in particolare, sulla scorta di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, pur tenuto conto:
del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio.
In altre parole, il dovere di versare l’assegno di mantenimento non è una conseguenza inevitabile per ogni ex partner, ma un’espressione del principio di solidarietà che sorregge le relazioni affettive, contemperato dal rilievo della responsabilità economica individuale.
Lo squilibrio economico è essenziale per il mantenimento
Quanto appena detto aderisce a un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’assegno di mantenimento viene concesso esclusivamente:
- in caso di un oggettivo squilibrio economico tra gli ex partner dell’unione civile (al pari del matrimonio);
- se la difficoltà economica è direttamente correlata alla stop all’unione.
Non a caso la Cassazione, nell’ordinanza suddetta, richiama espressamente l’art. 5 della legge n. 898/1970 sul divorzio, specificando che il mantenimento deve garantire un livello adeguato di vita esclusivamente quando uno dei partner sia in uno stato di evidente disparità economica rispetto all’altro. In tale articolo si trova infatti scritto che:
Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale […] dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
Mentre qualora ambo le parti versino in una situazione di fragilità delle condizioni economiche (o abbiano situazioni economiche equivalenti), la giurisprudenza ha chiarito che – in un intento solidaristico – l’obbligo di mantenimento può decadere o non essere imposto a chi a sua volta non è in grado di essere economicamente autosufficiente.
In altre parole, se a non essere autosufficienti sono ambo le parti, il legislatore non chiede di versare l’assegno, perché quest’ultimo non è da intendersi meramente come una rendita o una forma di compensazione per la fine del matrimonio o dell’unione. A queste conclusioni è già giunta in passato la Cassazione, con la sentenza n. 11504 del 2017.
Che cosa cambia
L’ordinanza n. 24930 della Corte di Cassazione si colloca su un solco già tracciato, ma ulteriormente chiarisce ai giudici come comportarsi in caso di richieste di assegno di mantenimento a seguito della fine dell’unione civile. Tale assegno è spessissimo fonte di dispute giudiziarie, come abbiamo visto recentemente ad es. in riferimento al part time o alla revoca al figlio.
I magistrati dovranno porre massima attenzione alle circostanze concrete e alle condizioni economiche di ogni singolo caso, senza poter applicare l’obbligo di assegno come una sorta di automatismo che potrebbe rivelarsi iniquo ed eccessivamente penalizzante per uno dei due componenti dell’ex unione.
Ma anche per i cittadini pronunce come questa servono a capire meglio quali potrebbero essere le conseguenze di una unione civile giunta al capolinea e a essere consapevoli, in anticipo, degli esiti delle loro richieste o istanze.
Chiarimenti sulla differenza tra unione civile e matrimonio
Sopra abbiamo visto quali conseguenze ci sono in caso di fine di unione civile e spiegato quando ricorre il diritto all’assegno di mantenimento. Giova inoltre ricordare che in Italia l’unione civile:
- consiste in un’unione sentimentale e economica tra persone maggiorenni e può essere contratta tra persone dello stesso sesso;
- è pensata specificamente per riconoscere le coppie omosessuali, conferendo loro gran parte dei diritti e dei doveri propri del matrimonio.
Mentre, per le coppie di sesso differente, la legge – come è noto – prevede il matrimonio, sia esso civile o religioso con effetti civili, come unico istituto per formalizzare l’unione. A disciplinare tali unioni è la citata legge Cirinnà del 2016.
Come spiega il sito web del Ministero della Giustizia, l’unione civile è costituita tramite dichiarazione ad hoc innanzi all’ufficiale di stato civile del Comune e alla presenza di due testimoni. L’ufficiale provvede poi alla registrazione nell’archivio dello stato civile (legge 76 del 2016).