In Italia lo smart working da alcuni anni accompagna la vita lavorativa di non poche persone. Di matrice anglosassone si è diffuso entro i nostri confini nazionali a seguito della pandemia e delle restrizioni che ne sono conseguite, per preservare il diritto alla salute.
C’è chi lo ha subito apprezzato per la possibilità di meglio combinare l’orario di lavoro con gli impegni personali e familiari, per il risparmio di tempo dovuto all’assenza di spostamenti casa-ufficio e per quella sensazione di maggior libertà che dà a chi è in grado di lavorare in autonomia e per obiettivi predefiniti, senza aver bisogno della continua supervisione del capo o dei superiori.
Ebbene, una recente indagine Doxa, realizzata con il contributo del Politecnico di Milano – Polimi, ribadisce quello che molti già pensano: il lavoro da remoto o lavoro agile, con pc e connessione internet attiva, tendenzialmente fa vivere meglio rispetto alle modalità tradizionali di svolgimento delle mansioni.
Vediamo più da vicino cosa è emerso in questa indagine e cogliamo l’occasione per ricordare qualche esempio di strumenti informatici che, avvalendosi in vario modo dell’intelligenza artificiale, possono arricchire e migliorare la qualità dello smart working.
Indice
Lavorare da remoto fa bene alla salute, la conferma dello studio Doxa-Polimi
Il report in oggetto espone percentuali interessanti, che ci aiutano a capire come ormai il mondo del lavoro sia destinato ad un processo di mutazione irreversibile, stimolato altresì dall’introduzione dell’intelligenza artificiale in un numero sempre maggiore di attività.
Lo studio Doxa-Polimi è stato presentato nei giorni scorsi dal Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working e HR Innovation Practice nell’ambito del tavolo “Twin Transition e Circular Working”, presso lo spazio Copernico di Phygiwork nella Capitale. All’evento, organizzato da Consenso Europa, hanno partecipato rappresentanti di aziende, associazioni, multinazionali ed esponenti della Commissione Lavoro alla Camera, a testimonianza del rilievo dell’indagine e della consapevolezza che i dati che ne sono emersi, potranno essere di orientamento per il futuro.
L’indagine giunge a positive conclusioni in merito all’uso del lavoro agile, replicando di fatto gli esiti di vari altri lavori, come ad es. lo studio della Boston Consulting Group “What 12.000 Employees Have To Say About the Future of Remote Work”, condotto su dodicimila dipendenti in tre Paesi (Usa, Germania e India) e contenente un principio di fondo: lavorando da remoto, la produttività non viene meno ma migliora. Anzi si riducono le probabilità di stress legato al lavoro e del temuto burnout.
E il messaggio che emerge dall’indagine Doxa-Polimi è sulla stessa linea: il benessere psicologico, relazionale e fisico di chi lavora in smart working è tendenzialmente più alto rispetto ai lavoratori subordinati, che lavorano in presenza o in remoto senza flessibilità o orientamento al risultato.
Maggior elasticità genera migliori performance: una trasformazione antropologica in atto
Essere liberi di organizzare la propria giornata lavorativa, pur mantenendo la connessione ‘digitale’ ed essendo ben consci di dover rispettare scadenze e target, fa bene all’umore e alla psiche – favorendo anche migliori performance.
In altre parole, un po’ come nel coworking, un ambiente di lavoro flessibile e personalizzato è in grado di migliorare la concentrazione e la gestione del tempo. E il proficuo e amichevole rapporto con i colleghi potrà essere preservato da pratici strumenti come Skype e Google Meet, adattissimi a chi lavora in modalità ‘smart’.
Nell’indagine Doxa-Polimi è emerso anche che, dal lato della valutazione del proprio capo, il giudizio per i lavoratori in smart working è migliore rispetto alle altre tipologie di lavoro, le prestazioni dei dipendenti sono considerate di maggior qualità e – come in un circolo virtuoso – a beneficiarne sono anche e soprattutto le aziende, in termini di produttività e raggiungimento degli obiettivi.
Mentre l’associazione Lavoro&Welfare, intervenuta al significativo evento, ha evidenziato la sempre più forte richiesta da parte delle nuove generazioni di conciliare i tempi di lavoro con quelli della vita. Più che cambio di modalità di svolgimento della prestazione, siamo innanzi ad una trasformazione antropologica che cambierà per sempre l'”architettura” del lavoro.
Alcune percentuali interessanti
L’indagine Doxa-Polimi è stata fatta su un campione di 800 dipendenti e, come accennato poco sopra, sono le percentuali a spiegare in sintesi il successo del lavoro agile e le sue potenzialità. Infatti nel report si può leggere che:
- il rendimento del 37% dei lavoratori subordinati in smart working è valutato sopra le aspettative;
- soltanto il 17% dei lavoratori in presenza raggiunge lo stesso livello di valutazione.
Lo scorso anno, ormai usciti dal tunnel della pandemia, nel nostro paese c’erano più di 3,5 milioni di lavoratori non in sede. Certo non la maggioranza visto che – come indica l’Istat con i suoi periodici report – nel paese gli occupati superano ampiamente i venti milioni di unità, ma sicuramente il segnale di una svolta nel modo di concepire la prestazione di lavoro.
Gli autori dell’indagine hanno spiegato che se i modelli di lavoro si evolvono, devono cambiare anche gli spazi, poiché esiste una correlazione positiva tra lavoro in spazi smart, benessere ed engagement delle persone. La distanza non separa i lavoratori e – sembra paradossale ma non lo è – aiuta a riequilibrare ritmi di lavoro e ritmi di vita.
Il dialogo con i colleghi, i superiori e il capo – seppur virtuale – potrebbe beneficiarne per la maggior distensione degli animi, il maggior tempo a disposizione e la libertà di tendere all’obiettivo previsto dall’azienda, senza guardare in continuazione le lancette dell’orologio, attendendo l’uscita dall’ufficio magari in una afosa giornata estiva.
Sostenibilità economica, micro imprese e giovani: lo smart working come ‘valore aggiunto’
I partecipanti al tavolo in cui è stata presentata l’indagine Doxa-Polimi hanno posto l’attenzione anche su temi collegati. Tra essi, la sostenibilità economica per le imprese: ricorrere al lavoro a distanza, oltre ai benefici in termini di performance del personale, garantirebbe una sensibile e costante riduzione dei costi operativi (affitto uffici, utenze, manutenzione, forniture ecc.)
Ma non va trascurata la difficoltà di trasferire tali nuovi modelli di lavoro all’interno delle micro imprese italiane, una realtà e una rete densissima di esempi virtuosi ma al contempo con una visione classica e ordinaria delle attività di lavoro.
Molti giovani, nativi digitali e over 30, potrebbero invece essere fortemente attratti dalla possibilità di lavorare in smart working, aumentando le chance dell’azienda di reperire talenti e di accrescere la soddisfazione e la fidelizzazione dei suoi dipendenti.
Senza dimenticare i benefici per l’ambiente, visto che il ricorso al lavoro agile può contribuire a una marcata riduzione delle emissioni di anidride carbonica in virtù di minori spostamenti casa-lavoro e a un minore sfruttamento di risorse fisiche negli uffici. Indirettamente ne beneficia una volta in più l’immagine aziendale come pure la responsabilità sociale dell’impresa, determinante anch’essa per il successo.
Lavoro da remoto e IA, un’unione destinata a funzionare
L‘intelligenza artificiale – IA è sempre più vista come opportunità, specialmente dalle aziende all’avanguardia. Potrebbe beneficiarne la rete imprenditoriale italiana, con un conseguente balzo in avanti del Pil annuo del paese.
In un mondo dell’occupazione destinato ad essere sempre più ‘smart’, l’IA sarà di supporto per incrementare l’efficienza del lavoro da remoto – velocizzando il citato processo di cambiamento antropologico a cui stiamo assistendo. L’intelligenza artificiale come federe compagna di lavoro degli smart worker? La risposta è un sì perché già ora i numerosissimi esempi non mancano, basti pensare ad assistenti virtuali come Google Assistant, Siri o Alexa che possono aiutare a programmare appuntamenti, ricordare scadenze e gestire le attività quotidiane da remoto.
Oppure strumenti di pianificazione e applicazioni come Trello o Asana, potenziate da algoritmi di intelligenza artificiale, possono suggerire priorità in base alla cronologia del lavoro e aiutare i dipendenti nell’organizzazione e ottimizzazione delle attività.
Non è finita qui. Strumenti come SaneBox e Boomerang utilizzano l’IA per filtrare, ordinare e rispondere alle email in modo intelligente, riducendo il tempo necessario a gestire la posta elettronica e quindi alleggerendo il lavoro dello smart worker, specialmente in quei picchi di lavoro in cui è ancor più preferibile delegare le attività secondarie.
Mentre piattaforme come Zapier e Microsoft Power Automate possono automatizzare attività ripetitive ed in grado di portare via molto tempo, come l’aggiornamento dei dati, l’invio di report e la sincronizzazione di informazioni tra distinte applicazioni. Le videoconferenze intelligenti tramite strumenti come Zoom e Microsoft Teams stanno integrando funzionalità tecnologiche avanzate e di IA per perfezionare la qualità audio e video, fornire trascrizioni in tempo reale e riassumere le riunioni, a tutto beneficio degli smart worker.
Concludendo, se da un lato le indagini periodicamente effettuate sullo smart working sembrano indicare sempre più una sorta di via maestra, da percorrere per il futuro dell’occupazione, dall’altro l’intelligenza artificiale ha già ora tutte le caratteristiche per essere una affidabilissima alleata per ogni lavoratore o lavoratrice da remoto. Se è vero che dallo scorso aprire è venuta meno la normativa emergenziale legata alla pandemia, con tutta la disciplina del lavoro agile rimandata alle leggi ordinarie e accordi aziendali o individuali, è intuibile che nei prossimi decenni il ricorso allo smart working crescerà sensibilmente.