La maggioranza dei neolaureati italiani ha la valigia pronta per andare all’estero a cercare uno stipendio migliore. Lo rivela il 26esimo rapporto di AlmaLaurea, da cui emerge che oltra il 60 per cento degli intervistati ha risposto “no” alla domanda se sarebbe disposto ad accettare uno stipendio da 1.250 euro al mese. Secondo l’analisi, per quanto siano soddisfatti del proprio percorso di studi, buona parte di coloro che conseguono un titolo universitario preferiscono trasferirsi fuori dall’Italia per avere una retribuzione più alta, piuttosto di rimanere nel loro Paese con una paga considerata inadeguata.
Il confronto tra stipendi dei neolaureati
Del resto, la forchetta retributiva per i laureati di secondo livello che rimangono in Italia e coloro che hanno trovato lavoro all’estero, a un anno dal titolo è molto ampia: 2.174 euro contro i 1.393 percepiti nel nostro Paese.
A 5 anni dalla laurea, il divario si allarga ulteriormente: fuori dai confini nazionali il salario medio è di 2.710 euro, pari al +58,7 per cento rispetto ai 1.708 euro italiani.
“I laureati sono sempre meno disponibili ad accettare lavori a basso reddito o non coerenti con il proprio percorso formativo” ha spiegato la direttrice di Almalaurea, Marina Timoteo.
“A un anno dal titolo, infatti, tra i laureati di primo e di secondo livello, non occupati e in cerca di lavoro, la quota di chi accetterebbe una retribuzione al più di 1.250 euro è pari, rispettivamente, al 38,1 per cento e al 32,9 per cento; tali valori risultano in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente, di 8,9 e di 6,8 punti percentuali – ha sottolineato la docente – Inoltre, si dichiara disponibile ad accettare un lavoro non coerente con gli studi il 76,9 per cento dei laureati di primo e il 73 per cento di quelli di secondo livello; anche in tal caso si tratta di valori in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente di 5,9 e 3,0 punti percentuali”.
I dati del rapporto AlmaLaurea 2024
Secondo quanto emerge dal rapporto di AlmaLaurea, il tasso di occupazione a un anno dal conseguimento del titolo universitario è dunque sceso di oltre un punto percentuale, dal 75,4 al 74,1 per i diplomi triennali e dal 77,1 al 75,7 per i percorsi magistrali.
Un dato che registra una calo del genere per la prima volta dopo dodici anni, escludendo il crollo del 2020 legato al Covid-19. D’altro canto l’influenza della pandemia sulla regolarità degli studi degli universitari non si è ancora esaurita, se si considera che il numero di fuori corso è tornato ad aumentare.
Nonostante la proroga concessa per le tesi, nel 2022 la percentuale di studenti che si è laureata in tempo è scesa di un punto, ma il 61,5 per cento è riuscito comunque a concludere gli studi nei tempi previsti.
Nel 2023 l’età media dei neolaureati per è pari a 25,7 anni, 24,5 per i laureati della triennale e 27,1 per i magistrali e le lauree a ciclo unico: un dato che include anche chi si è iscritto in ritardo, in media un anno e mezzo, rispetto alla maturità.
La 26esima edizione dello studio realizzato dal Consorzio Interuniversitario ha interessato circa 660mila laureati di 78 atenei, prendendo in esame la condizione occupazionale a 1, 3 e 5 anni dal conseguimento del titolo.