Giovedì 4 febbraio 2022 i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno pubblicato nuovi dati sui rischi di ricovero e morte conseguenti a infezioni da Covid nelle persone non vaccinate e vaccinate, facendo una distinzione anche tra pazienti con o senza dosi di richiamo. A partire dall’analisi delle informazioni a disposizione un dato interessante è emerso riguardo l’efficacia dei vaccini e della dose booster rapportata all’età di chi la riceve.
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Come cambia l’efficacia dei vaccini (e della terza dose) in base all’età
Il Governo statunitense ha raccomandato già da tempo la vaccinazione con terza dose dei bambini di età superiore ai 12 anni. Come si legge nell’ultimo report CDC, queste informazioni – a disposizione di scienziati e dottori – oggi rappresentano il primo dato completo sull’efficacia dei booster somministrati a diverse fasce d’età, non solo agli adulti.
Ebbene, numeri alla mano, le cifre sembrerebbero confermare che le dosi di richiamo risultano essere più vantaggiose per gli anziani. Lo stesso, invece, non si può dire per i giovani. Tenendo conto infatti dei vari gruppi di età, il completamento del primo ciclo vaccinale (ovvero due dosi di Moderna o Pfizer, o una dose del vaccino Johnson & Johnson) ha ridotto il rischio di ricovero e morte in modo così netto in bambini e adolescenti che una terza dose non sembra aggiungere molti benefici. Il booster del vaccino, sulla base di queste osservazioni, sarebbe più indicato solo per minori con patologie o problemi di salute specifici.
Efficacia della dose booster nei bambini: i limiti della scoperta CDC
Il report CDC sembra arrivare a una inequivocabile conclusione, ovvero: vista l’immunità assicurata dal vaccino nei bambini, che pare durare di più rispetto agli adulti, una terza dose (né altre dosi booster) potrebbe essere necessaria per i più piccoli. Tale osservazione, però, presenta dei limiti.
I dati, infatti, sono aggiornati fino alla fine di dicembre, quando l’ondata di Omicron era appena iniziata. Poiché la variante si è dimostrata essere altamente contagiosa, i colpi di richiamo potrebbero aver contribuito a limitare la diffusione della variante nella popolazione. In questo contesto, al contrario di quanto sostenuto fino a ora, potrebbero aver giocato un ruolo fondamentale nel contrasto della pandemia.
I vantaggi dei colpi di richiamo in vari gruppi di età sono stati oggetto di accesi dibattiti fino allo scorso autunno, quando la variante Delta era la forma principale del virus negli Stati Uniti. Ma molti scienziati, con l’arrivo della nuova mutazione Covid, più contagiosa e veloce, hanno cambiato idea, arrivando a raccomandare e appoggiare la dose aggiuntiva.
Il vero problema restano i non vaccinati
Tutti i ricercatori, però, sembrano essere d’accordo sul fatto che il vero problema – oggi – è rappresentato dallo zoccolo duro dei non vaccinati. Secondo i dati CDC, le persone non vaccinate in ogni fascia di età sono a più alto rischio di infezione, ricovero e morte rispetto a quelle che sono state immunizzate. È questa è una tendenza persistente (e dato certo) da quando sono stati introdotti i vaccini.
Il report parla chiaro: Al 25 dicembre, il tasso di ospedalizzazione tra gli adulti non vaccinati di età superiore ai 65 anni era di 246 ogni 100.000 persone. Tale tasso è sceso a 27,4 per 100.000 tra le persone vaccinate senza una dose di richiamo e a 4,9 tra coloro che sono stati vaccinati e hanno ricevuto un richiamo. Ci sono stati circa 44 decessi ogni 100.000 adulti non vaccinati di età pari o superiore a 65 anni. Le vaccinazioni hanno ridotto quel numero a circa 3,6 decessi ogni 100.000, un dodicesimo in più. I colpi di richiamo hanno ridotto ulteriormente il tasso, a circa 0,5 morti ogni 100.000, una cifra 90 volte più piccola.