L’industria della moda è tra le più inquinanti del mondo: il 10% delle emissioni di gas sono da attribuire proprio a questo mercato. Un dato che è il risultato del crescente utilizzo delle fibre sintetiche che ha permesso di stravolgere i tempi di produzione, facendo realizzare ai player sul mercato anche 20 collezioni all’anno. Questo ha condizionato così le abitudini dei consumatori che comprano di più, a meno, secondo il report di Changing Markets Foundation del 2021.
Rispetto a 15 anni fa, la domanda è cresciuta, tanto che oggi in media viene acquistato il 60% di vestiti in più, che però vengono utilizzati la metà del necessario: i meno attenti all’ambiente utilizzano un capo di abbigliamento al massimo 10 volte prima di buttarlo, secondo il report TRAID. E molti negozi si ritrovano con capi invenduti in magazzino e piuttosto che svenderli, li smaltiscono e di conseguenza i tessuti prodotti raggiungono in sempre più breve tempo le discariche e gli inceneritori senza mai essere utilizzati.
Come arginare questo problema che oltre ad essere etico è anche ambientale? Da questa domanda nasce Kool, la startup nata per aiutare i negozi a risolvere il problema delle rimanenze di magazzino e che supporta gli utenti ad acquistare consapevolmente grazie a una mystery box. Infatti, una volta al mese, i negozi in autonomia selezionano tra le proprie rimanenze di magazzino capi e accessori che vengono inseriti all’interno di box che gli utenti acquistano “a scatola chiusa” con uno sconto del 60%.
Come è nata l’idea
Nata a febbraio 2022 dall’idea di Miriana Massimini e Alice Sebastianis, Kool ha già convinto più di 25 negozi nelle province di Modena e Bologna.
Alice Sebastianis, co-founder di Kool, ha spiegato che l’idea di creare Kool è nata durante il lockdown quando molte realtà commerciali faticavano a vendere i propri capi, ma non avevano fondi e competenze sufficienti per aprire un e-commerce. E stato in quel momento che le due fondatrici di Kool hanno capito che un grande problema delle boutique vicine a loro era la gestione dell’esubero di merce. Lo scopo di Kool è quello di dare un’alternativa sostenibile e accessibile sia ai commercianti che agli utenti.
La Too Good To Go del fashion
L’obiettivo che si pone Kool è di far vivere all’utente un‘esperienza vantaggiosa senza rinunciare all’esclusività e alla qualità dei brand.
Scegliendo di collaborare unicamente con boutique, negozi artigianali e concept store, (rinunciando a brand di fast fashion), Kool dà la possibilità ai negozi di trovare un canale di vendita alternativo per smaltire in maniera sostenibile e innovativa i capi invenduti e agli utenti di acquistare capi e accessori di brand ricercati a un prezzo del tutto accessibile.
Ispirandosi a Too Good To Go, infatti, Kool dà la possibilità a ogni negozio di scegliere autonomamente quali articoli inserire nelle fashion mistery box che vengono aperte alle vendite solo una volta al mese per 72 ore.
L’utente, dopo aver scelto il proprio negozio preferito, aver indicato la propria taglia e genere, può acquistare una box che contiene dai 2 ai 5 articoli a “sorpresa”. Per stuzzicare la curiosità dell’utente, prima dell’acquisto Kool svela sempre un capo, mentre dei restanti articoli comunica solo la categoria di appartenenza.
Una soluzione win-win: per il negozio, che può liberare il magazzino e ridurre i costi di gestione e stoccaggio oltre che dare nuovo valore al capo che altrimenti sarebbe stato smaltito e per l’utente, che acquista abbigliamento e accessori di brand medio-luxury e luxury a un prezzo più che accessibile.
Miriana Massimini, l’altra co-founder di Kool, ha aggiunto che l’obiettivo è quello di ridisegnare il settore del fashion discount: permettere ai negozi di evitare l’errato smaltimento e l’inquinamento che si andrebbe a generare e dare una seconda vita a prodotti che visto il costo elevato non avrebbero trovato acquirenti. Le ideatrici del progetto hanno scelto di non servirsi di un magazzino, infatti, ogni negozio crea autonomamente la box e la spedisce, eliminando uno step intermedio dispendioso
La sfida crescente dei rifiuti dei capi di abbigliamento
Sempre più spesso quando i vestiti vengono venduti è un biglietto di sola andata per la spazzatura. Il sistema prevalente del fast fashion ci fa comprare sempre più vestiti, ce li fa usare di meno e a buttarli più spesso. Lo sconcertante 87% di tutti i materiali presenti nel sistema dell’abbigliamento va perso in qualche modo: la maggior parte viene bruciata o portata in discarica, mentre il resto è rappresentato da perdite di processo, perdite durante la raccolta, rilascio di microfibre e “liquidazione delle scorte”. Se si tiene conto del downcycling, per usi come imbottiture, stracci e isolamento dopo i quali il materiale viene solitamente conferito in discarica o incenerito, questa cifra sale al 99%.
Su un totale di 48 milioni di tonnellate di indumenti prodotti nel 2015, il 73%, ovvero 35 milioni di tonnellate, la destinazione finale è stata la discarica o l’inceneritore. Più nel dettaglio, il 70% è finito in discarica, mentre il 30% è stato incenerito. Cifre importanti se si considera che equivale a circa un camion della spazzatura carico di vestiti che finisce in discarica ogni secondo in tutto il mondo. Il destino di gran parte dei rifiuti di abbigliamento è quindi quello di marcire gradualmente nel corso di centinaia di anni rilasciando sostanze chimiche tossiche nel suolo e nelle acque sotterranee e rilasciando metano nell’atmosfera. È stato calcolato che, ogni anno, i consumatori dell’Unione Europea buttano circa 11 kg di tessuti per persona. In totale, ogni anno nell’UE vengono generati 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, per un valore di circa 6,9 miliardi di euro, gran parte dei quali viene conferito in discarica o bruciato.
Cifre importanti che sottolineano come sia importante trovare soluzioni come quella della startup italiana o di progetti simili iìn modo da ridurre l’impatto ambientale dell’industria del fashion.