Cop29, finanza climatica e taglio delle emissioni, le richieste Ue a Baku

La strategia dell'Unione europea e le sfide globali per la finanza climatica e la protezione delle popolazioni vulnerabili di fronte al cambiamento climatico

Pubblicato: 16 Ottobre 2024 16:25

Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

L’Unione europea ha delineato la sua strategia in vista della 29ª Conferenza delle Parti (Cop29) sull’ambiente, che si terrà a Baku, in Azerbaigian. Il Consiglio dell’Ue ha raggiunto un accordo sulla posizione da adottare nei negoziati globali sul clima, ma le novità sono scarse.

Il documento finale, frutto di lunghe trattative, non presenta significative evoluzioni rispetto alle precedenti posizioni europee. L’Ue si conferma cauta nell’affrontare l’emergenza climatica, optando per un approccio conservatore e poco ambizioso. Nonostante le crescenti pressioni internazionali e le evidenze scientifiche sempre più allarmanti, l’Unione Europea non sembra pronta ad assumere un ruolo di leadership nella lotta al riscaldamento globale.

La decisione dell’Ue riflette un equilibrio delicato tra le diverse posizioni degli Stati membri. Da un lato, vi è la consapevolezza della gravità della crisi climatica e della necessità di agire con urgenza. Dall’altro, persistono divergenze sulle modalità di attuazione delle politiche climatiche e sulle ripercussioni economiche delle misure di mitigazione.

L’atteggiamento timido dell’Unione Europea solleva preoccupazioni sulla sua capacità di affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici. L’assenza di una visione strategica chiara e di obiettivi ambiziosi rischia di compromettere gli sforzi globali per limitare l’aumento della temperatura media globale e mitigare gli impatti dei fenomeni estremi.

Cop29, una sfida finanziaria per proteggere le comunità vulnerabili

Per quindici giorni, dall’11 al 22 novembre, i leader mondiali si riuniranno a Baku per discutere delle misure necessarie a proteggere le popolazioni direttamente colpite dagli effetti del cambiamento climatico. La Cop29 è stata già definita la “Cop finanziaria”, poiché si è giunti a un momento decisivo in cui i Paesi devono fissare un nuovo e ambizioso obiettivo di finanziamento globale per il clima. Questo finanziamento è cruciale per sostenere sia la transizione energetica che l’adattamento delle comunità vulnerabili agli impatti climatici sempre più devastanti.

Oltre a definire un nuovo obiettivo finanziario, la Cop29 rappresenta un’occasione importante per i Paesi di presentare impegni nazionali più ambiziosi in materia di riduzione delle emissioni di gas serra. Questi impegni saranno fondamentali in vista della Cop30, che si terrà il prossimo anno in Brasile, dove si prevede un ulteriore consolidamento delle azioni globali per mantenere l’aumento delle temperature globali entro i limiti stabiliti dagli accordi di Parigi.

Un altro punto di grande interesse per i Paesi in via di sviluppo riguarda il rispetto degli impegni presi nelle edizioni precedenti della Cop. Durante la Cop28 di Dubai, ad esempio, sono stati fatti alcuni progressi significativi, tra cui il lancio di un fondo per le perdite e i danni destinato a risarcire le vittime dei disastri climatici. Questo strumento è stato accolto con grande entusiasmo dai Paesi più vulnerabili, ma ora è fondamentale che gli impegni presi vengano rispettati e, se possibile, rafforzati.

Dichiarazioni della Premier Meloni sulla decarbonizzazione

Le recenti dichiarazioni della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in merito alla transizione energetica hanno riacceso il dibattito sulla posizione dell’Italia di fronte alla crisi climatica. La premier ha affermato che “la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è un suicidio: non c’è nulla di verde in un deserto”, allineandosi alle preoccupazioni espresse da una parte del mondo imprenditoriale italiano più legata ai modelli produttivi tradizionali.

Questa visione, tuttavia, appare miope e fuori tempo. Ignora infatti l’evidente trend globale verso un’economia sempre più sostenibile e basata sulle energie rinnovabili. In Europa, negli Stati Uniti e in Cina, gli investimenti nelle tecnologie green stanno trainando la crescita economica, creando nuovi posti di lavoro e promuovendo l’innovazione. La transizione ecologica non è più solo una necessità ambientale, ma anche un’opportunità di sviluppo economico e sociale.

La posizione del governo italiano sulla questione climatica appare contraddittoria e strumentale. Da un lato, si assistono a dichiarazioni pubbliche che sembrano mettere in dubbio l’urgenza di agire contro il cambiamento climatico e che alimentano dubbi e perplessità nell’opinione pubblica. Dall’altro, l’Italia, in sede internazionale, sottoscrive impegni ambiziosi in materia di riduzione delle emissioni e di tutela dell’ambiente.

Questo doppio gioco è pericoloso e mette a rischio la credibilità internazionale del nostro Paese. L’Italia, come tutti gli altri Paesi, è chiamata a fare la sua parte per affrontare la crisi climatica. Ritardi e incertezze nelle politiche climatiche rischiano di compromettere il futuro delle nuove generazioni e di mettere a repentaglio la competitività del nostro sistema economico.

L’Unione europea verso un futuro a basse emissioni: sfide e ambizioni

Tornando a focalizzarsi sul senso complessivo del documento europeo, emerge chiaramente la determinazione dell’Unione europea a fare la propria parte per rispettare uno dei punti fondamentali dell’Accordo di Parigi: mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, o comunque entro un limite massimo di 2 gradi. Questo obiettivo rappresenta un pilastro della politica climatica internazionale e la sua realizzazione è considerata essenziale per prevenire le peggiori conseguenze del cambiamento climatico.

In questo contesto, l’Ue ribadisce il proprio impegno ad abbandonare gradualmente l’uso dei combustibili fossili, con una “transition away” che prevede come data finale il 2050, un obiettivo concordato lo scorso anno durante la Cop28 a Dubai. Sebbene questo impegno sia, per ora, espresso solo a parole, rappresenta una chiara indicazione della strada che l’Europa intende percorrere verso una transizione energetica.

Entro l’anno prossimo, o al massimo entro il 2025, i Paesi dell’Unione saranno chiamati a presentare i nuovi Contributi Determinati a Livello Nazionale (Ndc). Questi documenti rappresentano quanto ogni nazione si impegna a ridurre le proprie emissioni di gas serra, fornendo una misura tangibile degli sforzi necessari per raggiungere gli obiettivi climatici fissati a livello internazionale.

L’impegno dell’Unione europea, sebbene ancora soggetto a sfide politiche e implementative, rappresenta un segnale forte della volontà di guidare la lotta contro il cambiamento climatico, contribuendo alla costruzione di un futuro sostenibile per le generazioni future.

Le promesse europee sul clima e le contraddizioni negli investimenti fossili

Cresce l’attesa per le promesse che i governi europei potrebbero annunciare durante il palcoscenico internazionale della Cop29 a Baku, ma non è affatto certo che vi saranno dichiarazioni significative. Alcuni osservatori, come il Climate Action Network Europe, sottolineano la necessità di azioni più radicali per essere in linea con l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050. Secondo questa visione, l’Europa dovrebbe abbandonare completamente il carbone entro il 2030, il gas naturale entro il 2035 e il petrolio entro il 2040, un calendario che riflette l’urgenza della transizione energetica.

Tuttavia, la realtà degli investimenti europei racconta una storia diversa. Molti Paesi, a partire dall’Italia, stanno ancora investendo ingenti risorse pubbliche in infrastrutture legate ai combustibili fossili, come il previsto raddoppio dei gasdotti. Questo solleva un dubbio cruciale: è realistico immaginare che queste nuove infrastrutture, costate miliardi, verranno smantellate o rottamate entro un decennio per rispettare gli obiettivi climatici?

Il contrasto tra l’impegno formale verso la decarbonizzazione e le attuali scelte economiche solleva interrogativi sulla capacità del Vecchio Continente di mantenere le sue promesse climatiche. Senza un chiaro cambio di rotta, il rischio è che l’Europa continui a ritardare la piena transizione verso un futuro a emissioni zero, compromettendo così non solo i propri obiettivi, ma anche la credibilità sul piano internazionale.

Il ruolo centrale della finanza climatica alla Cop29

Il vero cuore della Cop29 sarà la finanza climatica. Finora, i Paesi ricchi hanno tenuto fede, con molta fatica e grandi ritardi, all’impegno precedente e ormai in scadenza: favorire la transizione dei Paesi in via di sviluppo con un contributo di 100 miliardi di dollari l’anno. Questo impegno è stato fondamentale per sostenere le economie emergenti nel loro percorso verso la sostenibilità.

La scorsa settimana, i ministri delle finanze dell’Unione europea hanno dichiarato che avrebbero continuato a versare la loro quota. Tuttavia, anche nel documento varato ieri, non c’è alcun cenno a eventuali contributi aggiuntivi, nonostante la pressante richiesta da parte dei Paesi più vulnerabili. Questa situazione solleva preoccupazioni sulla capacità dei Paesi ricchi di rispondere adeguatamente alle esigenze finanziarie dei Paesi in via di sviluppo, che sono spesso i più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico.

La finanza climatica è un elemento cruciale per garantire che i Paesi in via di sviluppo possano adottare tecnologie verdi e implementare politiche di adattamento e mitigazione del cambiamento climatico. Senza un sostegno finanziario adeguato, questi Paesi rischiano di rimanere indietro nella transizione verso un’economia sostenibile, compromettendo gli sforzi globali per combattere il riscaldamento globale.

La Cop29 rappresenta quindi un’opportunità fondamentale per affrontare questa questione e trovare soluzioni concrete. La comunità internazionale attende con impazienza di vedere se i Paesi ricchi saranno disposti a fare di più per sostenere i Paesi in via di sviluppo, riconoscendo che la lotta contro il cambiamento climatico richiede uno sforzo collettivo e coordinato. La finanza climatica è il fulcro di questa battaglia, e le decisioni prese a Baku avranno un impatto significativo sul futuro del nostro pianeta.

Il ruolo della Cina alla Cop29: nuove pressioni su Pechino per la finanza climatica

Alla Cop29 di Baku si tenterà di coinvolgere attivamente la Cina nel sistema dei contributi alla finanza climatica, poiché fino ad oggi il Paese non ha partecipato a tali finanziamenti, essendo formalmente classificato come “Paese in via di sviluppo”. Tuttavia, Europa e Stati Uniti sono determinati a “allargare la base dei contributori“, sottolineando che la potenza economica della Cina è drasticamente cambiata rispetto al 1992, anno in cui venne firmata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). A quel tempo, Pechino era effettivamente un’economia emergente, ma oggi è una delle principali superpotenze economiche del mondo.

L’argomentazione degli Stati occidentali si basa sulla necessità che i grandi Paesi in crescita come la Cina assumano una parte più significativa delle responsabilità finanziarie globali per affrontare la crisi climatica. Tuttavia, da Pechino viene ribadito che la maggiore responsabilità storica dell’innalzamento delle temperature globali ricade sull’Occidente, e in particolare sulla Rivoluzione industriale, che per oltre due secoli ha visto i Paesi occidentali come i principali artefici e beneficiari di un modello di sviluppo ad alto impatto ambientale.

Questa posizione riflette il delicato equilibrio geopolitico in gioco alla Cop29. Da un lato, i Paesi occidentali insistono sul fatto che la Cina, con la sua enorme crescita economica e il suo ruolo di secondo maggiore emettitore di gas serra al mondo, debba contribuire maggiormente agli sforzi globali per la riduzione delle emissioni e per il finanziamento della transizione verde. Dall’altro, la Cina continua a sottolineare che le sue emissioni pro capite rimangono inferiori a quelle dei Paesi sviluppati e che il fardello della storia non può essere ignorato.

Questa tensione si pone al centro del dibattito globale sulla giustizia climatica, una questione che vede i Paesi industrializzati del passato confrontarsi con le nuove potenze economiche emergenti. L’allargamento della base dei contributori sarà uno dei temi più complessi da affrontare a Baku, poiché definire come bilanciare le responsabilità tra le economie avanzate e quelle in crescita sarà cruciale per raggiungere accordi significativi sul clima.

La Cop29 rappresenta quindi un’occasione cruciale per trovare un terreno comune e definire un quadro di cooperazione che possa effettivamente rispondere alle sfide climatiche globali. La capacità di coinvolgere la Cina in modo significativo sarà determinante per il successo degli sforzi internazionali nel contrastare il cambiamento climatico e garantire un futuro sostenibile per tutte le nazioni.

La posizione attendista dell’Europa alla cop29: tra speranze cinesi e incognite statunitensi

L’Europa si avvicina alla Cop29 di Baku con una posizione prevalentemente attendista, riflettendo una strategia che guarda a due elementi chiave. Da un lato, c’è la speranza che la Cina possa finalmente contribuire in modo significativo allo sforzo finanziario necessario per sostenere i Paesi più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. La partecipazione di Pechino è vista come essenziale per ampliare la base dei contributori, una questione che è diventata cruciale con l’aggravarsi della crisi climatica.

Dall’altro, l’Europa si mantiene in attesa dell’esito delle elezioni statunitensi del prossimo 5 novembre. Una eventuale vittoria di Donald Trump potrebbe alterare radicalmente il panorama delle politiche climatiche globali, portando a un possibile disimpegno degli Stati Uniti dagli accordi sul clima e rendendo più difficile raggiungere un consenso internazionale sugli obiettivi di decarbonizzazione e transizione energetica.

Nonostante l’incertezza su questi due fronti, la Unione europea, almeno nei suoi testi ufficiali, esprime chiaramente la propria preoccupazione per la gravità della situazione climatica. I capi di governo riuniti a Bruxelles hanno infatti definito la crisi climatica come una “minaccia esistenziale per l’umanità, per gli ecosistemi, per la biodiversità, nonché per la pace e la sicurezza globali. Un’emergenza che non risparmia nessun Paese, territorio o regione”.

Tuttavia, nonostante queste dichiarazioni formali, spesso i governi sembrano dimenticare questa urgenza una volta tornati nelle rispettive capitali, dove gli interessi interni e le pressioni economiche prevalgono sulle priorità climatiche internazionali.

L’esito della Cop29 sarà dunque fortemente influenzato dalla capacità dell’Europa di mantenere la propria posizione di leadership e di promuovere un’azione collettiva significativa, nonostante le incertezze geopolitiche e la lentezza nell’attuazione di misure concrete.

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