Alla Cop26 dello scorso anno, sei Paesi del G7 hanno concordato di porre fine ai finanziamenti pubblici per i progetti di combustibili fossili all’estero entro la fine del 2022 – un impegno che è stato riaffermato dai ministri dell’Ambiente del G7 in occasione della riunione di maggio, quando si è unito a loro anche il Giappone, che era rimasto fuori dai giochi.
Ma i leader del G7, riuniti questa settimana nelle Alpi Bavaresi in Germania, hanno introdotto nuove scappatoie all’impegno. In un comunicato congiunto pubblicato martedì, hanno “sottolineato l’importante ruolo che può svolgere un aumento delle forniture di GNL (gas naturale liquefatto)” nell’accelerare la graduale eliminazione della loro dipendenza dall’energia russa e hanno “riconoscendo che gli investimenti in questo settore sono necessari per rispondere all’attuale crisi”.
Secondo i leader del G7, in queste circostanze eccezionali, gli investimenti pubblici nel settore del gas possono essere una risposta temporanea.
La posizione della Germania
Durante una conferenza stampa, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato che, il finanziamento delle fonti energetiche fossili deve finire e che il futuro non è rappresentato dal gas. Scholz ha però aggiunto che nel breve periodo sarà necessario il gas fossile e, nella fase di transizione, potranno esserci degli investimenti in questo settore e dovranno essere sostenuti.
Per smettere di finanziare la guerra della Russia contro l’Ucraina, i paesi europei hanno cercato di aumentare le forniture di gas da fonti non russe tra cui Stati Uniti, Qatar, Algeria, Norvegia, Egitto e Israele.
La risposta degli ambientalisti
Gli attivisti per il clima hanno reagito con rabbia. Laurie van der Burg, attivista di Oil Change International, ha dichiarato che il G7, sotto la guida del cancelliere Scholz, ha dato priorità al riempimento delle tasche dell’industria del gas fossile piuttosto che alla protezione della salute delle persone.
L’attivista van der Burg ha però sottolineato come le parole di Scholz si riferiscono a un sostegno temporaneo nei confronti del gas, un sostegno coerente con gli obiettivi climatici, incluso l’obiettivo di 1,5°C, ma che questo non deve creare un effetto lock-in.
Queste condizioni non dovrebbero consentire il verificarsi di nuovi investimenti sul gas, ha affermato Van der Burg. Questo perché la nuova infrastruttura del gas richiede anni per essere costruita, non fornisce una soluzione praticabile per rendere rapidamente indipendente il G7 dal gas russo e non è coerente con gli obiettivi climatici.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha avvertito che i nuovi investimenti in carbone, petrolio e gas oltre il 2021 sono incompatibili con un percorso volto a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C.
Luca Bergamaschi, direttore del think tank italiano sul clima ECCO, ha convenuto che le condizioni climatiche e la concorrenza delle alternative pulite significano che ci sono poche o nessuna possibilità di investimento per nuovo gas, senza che siano “sovvenzionati artificialmente”.
Per Gareth Redmond-King dell’Energy and Climate Intelligence Unit con sede nel Regno Unito, gli investimenti a breve termine sui combustibili fossili, come sta dimostrando l’UE, possono essere superati da impegni più ambiziosi in materia di emissioni a medio termine.
La posizione dell’Italia
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha dichiarato che nella situazione attuale avremo esigenze a breve termine che richiederanno grandi investimenti nei Paesi in via di sviluppo, e non solo, per realizzare nuove infrastrutture per il gas. Draghi ha inoltre aggiunto che è necessario però assicurarsi che le nuove infrastrutture possano essere riadattate per trasportare idrogeno, in modo da conciliare le esigenze a breve termine con quelle climatiche a lungo termine.
A margine del vertice, Draghi ha incontrato il suo omologo argentino Fernández. I due hanno discusso della possibilità che l’Italia partecipi a progetti esistenti in Argentina per installare impianti di liquefazione del gas ed esportarlo.
I finanziamenti per la transizione ecologica
L’osservatore di finanza climatica Joe Thwaites ha osservato che, i paesi che si sono impegnati a porre fine ai finanziamenti internazionali per i combustibili fossili, attualmente spendono circa 33 miliardi di dollari all’anno per sostenere progetti esteri legati al carbone, al petrolio e al gas.
I dati dell’OCSE indicano che nel 2019 ai Paesi più ricchi mancavano circa 34 miliardi di dollari per raggiungere l’obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare il cambiamento climatico.
Secondo Thwaites, il trasferimento dei finanziamenti per i combustibili fossili verso i finanziamenti ambientali colmerebbe il divario. Thwaites ha inoltre aggiunto che sarebbe difficile pensare a un accordo migliore: porre fine al finanziamento dei combustibili fossili che sta guidando la crisi climatica e utilizzarlo per aumentare i finanziamenti per l’accesso all’energia pulita nei paesi in via di sviluppo. Questa sarebbe una vittoria per tutti.
Nel loro comunicato, i leader del G7 hanno promesso di migliorare i loro sforzi per raggiungere il prima possibile l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari.
Un recente rapporto dell’Overseas Development Institute (ODI) ha rilevato che gli Stati Uniti sono in gran parte responsabili del divario nei finanziamenti per il clima. Nel 2020 hanno infatti donato solo 2 miliardi dollari per finanziamenti per il clima, mentre la loro quota è di 43 miliardi di dollari. Questa quota è calcolata secondo la grandezza dell’economia del Paese e dello storico delle sue emissioni.
La ricerca dell’ODI ha rilevato che l’Italia, il Regno Unito e il Canada non hanno raggiunto la loro quota di 3 miliardi di dollari ciascuno.