Sono trascorsi circa 3 mesi da quando il governo guidato da Giorgia Meloni ha approvato la sua prima legge di Bilancio. Un passaggio molto delicato per l’esecutivo di centrodestra, che ha dovuto scrivere la Manovra di fine anno in una situazione del tutto inedita, a pochi mesi dal suo insediamento e con buona parte dei fondi a disposizione già destinati per alcune voci stabilite in precedenza (vedi i 21 miliardi di euro per calmierare il costo delle bollette di luce e gas).
In questo contesto di assoluta ristrettezza, la premier e i ministri competenti (in particolare il leghista Giancarlo Giorgetti, titolare del dicastero dell’Economia) non hanno potuto inserire nel testo approvato diverse misure annunciate ai quattro venti durante la campagna elettorale dello scorso autunno. In particolare, erano stati moltissimi gli elettori che avevano scelta la proposta di Fratelli d’Italia e degli alleati convinti di veder approvata in tempi brevi una radicale riforma fiscale che stravolgesse l’attuale sistema della tassazione per le imprese e i contribuenti.
Fisco e tasse, la strategia di Giorgia Meloni per un nuovo rapporto tra Stato e contribuenti
Così non è stato: gli interventi di natura prettamente economica si possono contare sulle dita di una mano (diverse le proroghe delle agevolazioni per le fasce più deboli già inserite dai governi procedenti), con le modifiche più rilevanti che riguardano l’assistenza alle famiglie con figli e il drastico restringimento dei requisiti per poter richiedere il Reddito di cittadinanza. Per la tanto attesa “rivoluzione del Fisco” occorrerà dunque attendere.
È nel solco di queste difficoltà che la presidente del Consiglio ha deciso di presentare comunque, nella prima metà del mese di marzo, la delega fiscale che segna il percorso da seguire nel corso dei 5 anni che la vedranno a Palazzo Chigi. Un piano d’azione che “cambierà per sempre il rapporto tra lo Stato e il cittadino” (secondo quanto riferito in conferenza stampa dai due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani), ma che dovrà vedere la luce attraverso passaggi graduali lungo tutto l’arco della legislatura.
Imposte e pagamenti, perché si parla di “scudo per gli evasori” dopo l’approvazione del decreto bollette
Il nuovo paradigma su cui verrà impostata la tassazione del futuro dovrà prevedere – oltre al taglio delle aliquote IRPEF, con l’obiettivo di passare dalle attuali 4 fasce di reddito ad un’unica soglia per tutti in stile flat tax – la possibilità di accordarsi con l’Agenzia delle entrate per determinare a priori la soglia di tributi e imposte da versare nelle casse dell’erario pubblico. È stato denominato “concordato preventivo” ed entrerà in vigore per tutte le imprese attive sul territorio nazionale (ve ne abbiamo parlato nel dettaglio in quest’ultimo approfondimento).
Non contenti, a distanza di pochi giorni dalla presentazione della riforma del Fisco, gli esponenti del governo hanno voluto fare un passo in più. Nel decreto bollette approvato in questi giorni per prolungare il calmieramento del costo delle fatture anche per il trimestre da aprile a giugno, l’esecutivo ha inserito uno scudo penale per gli evasori, che in alcuni casi specifici potranno usufruire della non punibilità: anche in questo caso tutto ruoterà attorno alla possibilità di trovare un accordo con l’erario pubblico e riguarderà queste situazioni:
- mancato versamento dell’IVA per un valore superiore ai 250mila euro annui;
- mancato pagamento di ritenute oltre la soglia di 150mila euro per annualità;
- compensazione indebita di crediti non spettanti oltre i 50mila euro l’anno.