Quante volte, nel controllare i prezzi dei beni in vendita al supermercato, stiamo attenti alla quantità di cose che stiamo acquistando? Può capitare, quando e se siamo indecisi tra due prodotti simili, che per decidere cosa mettere nel carrello procediamo con una comparazione, cercando di rispondere alla domanda: “Quale mi conviene di più”? A parità di peso, è meglio comprare quello che costa meno. Al contrario, se il prezzo differisce di poco, è consigliabile il marchio che assicura più prodotto.
Il fenomeno del caro prezzi, però, ha cambiato un po’ le carte in tavola, così può capitare di spendere di più acquistando le cose di sempre ai supermarket dove ci rechiamo sempre. Ma come è possibile questo? È davvero colpa dell’inflazione, la crisi degli approvvigionamenti e il conseguente aumento dei costi? La risposta è: non sempre.
Gli esperti la chiamano “shrinkflation“, ed è il sistema con cui i grandi marchi – specie i più furbetti – aggirano gli aumenti facendo spendere comunque di più ai clienti.
Che cos’è la “shrinkflation” e perché si verifica?
Il termine “shrinkflation” significa letteralmente “restringimento”, ed è stato coniato dall’economista Pippa Malmgren per descrivere la pratica che spinge i produttori – soprattutto quelli operanti nel settore food & beverage – a ridurre le dimensioni o il peso di un bene mantenendo lo stesso prezzo. In sostanza, questo fenomeno si verifica tutte le volte che qualcuno ci sta vendendo meno prodotto per lo stesso costo, ed è diffusissimo nei Paesi in recessione o che si trovano a fare i conti con una forte inflazione (qui la situazione in Italia).
Tra l’inflazione e l’aumento dei costi delle materie prime a causa della guerra in Ucraina, i marchi sono costretti a scegliere se aumentare i prezzi o risparmiare sui materiali riducendo le dimensioni dei loro articoli, così da poter rimanere competitivi e continuare a guadagnare.
Spesso, per ridurre le dimensioni, la confezione viene riprogettata. In questo modo i produttori cambiano il diametro, la lunghezza, la larghezza e l’altezza del pack, facendo passare tutto per re-branding. Quando il volume di un contenitore viene alterato in più dimensioni, la nostra percezione è relativamente insensibile al cambiamento nelle dimensioni effettive, pertanto abbiamo l’impressione che la quantità di prodotto sia rimasta la stessa. Il problema è che la situazione potrebbe anche peggiorare se Vladimir Putin deciderà di tagliare i rifornimenti all’Europa come risposta alle sanzioni.
I supermercati dove spendiamo di più
Con l’aumento dei prezzi stimato anche in Italia (qui le previsioni degli esperti), è probabile che il consumatore abbia la tendenza ad affidarsi agli stessi marchi e prodotti, per avere la sensazione di stare scegliendo qualcosa su cui ha sempre fatto affidamento (specie per quanto riguarda i costi).
Così può capitare che compriamo sempre lo stesso tipo di pasta, riso, detersivo e quant’altro perché rassicurati dal fatto che abbiano mantenuto lo stesso prezzo. Attenzione però alla confezione, perché anche nel caso in cui questa sia cambiata minimamente, è probabile che contenga meno prodotto. In questo modo, l’ammontare riportato nello scontrino è sempre uguale, ma i prodotti che ci portiamo a casa sono di quantità minore, quindi stiamo spendendo di più.
Questo fenomeno, infatti, è stato rilevato in diversi supermercati italiani, tant’è che la magistratura e l’Antitrust sono stati chiamati a indagare sui prodotti confezionati venduti al pubblico mantenendo invariati i prezzi. Le associazioni di consumatori hanno presentato infatti un esposto chiedendo di fare chiarezza.