La strategia italiana di smarcamento dalla Russia per l’approvvigionamento del gas è cominciata da circa due mesi, in coincidenza con l’invasione dell’Ucraina: il governo – tramite i viaggi di Mario Draghi, dei ministri Di Maio e Cingolani e dell’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi – ha già stretto accordi con diversi Paesi come il Qatar, l’Azerbaijan, il Congo, l’Angola, l’Algeria e l’Egitto.
Questo per azzerare la dipendenza da Mosca ed evitare che in futuro si possano ripresentare nuovi ricatti da parte di Vladimir Putin. La diversificazione delle fonti nel tentativo di sterilizzare l’arma di pressione più importante del Cremlino si scontra però con altri due nodi.
Alternative al gas russo: i problemi delle forniture
Il primo è l’impennata legata alla speculazione del Ttf, il prezzo del gas sulla Borsa di Amsterdam ora a 100 euro a megawatt ora, in un momento dell’anno in cui i prezzi in Europa normalmente flettono perché scende la domanda di consumo. Comprare gas ora non conviene a nessuno, tanto meno ad aziende quotate come Eni, Total e Shell: non è escluso che debbano intervenire gli Stati con acquisti per arricchire le riserve.
Il secondo è la quantità di materia prima a disposizione. Che non è illimitata se parliamo del gas liquido, negoziato in grandi volumi anche sulla Borsa asiatica di settore. Perché quei 29 miliardi di metri cubi che arrivano dalla Russia sono più facili da utilizzare: viaggiano già allo stato gassoso su una rete strutturata. Dunque per sostituirli c’è da scommettere sul metano liquido che viaggia sulle navi per poi essere rigassificato.
L’embargo verso Mosca e i nuovi contratti firmati dall’Italia
Immaginando un’accelerata per l’embargo del gas russo e ipotizzando una partenza dal prossimo 1° giugno, mancherebbero all’appello circa 17 miliardi di metri cubi dalla Russia, perché i restanti 12 sarebbero già affluiti dall’inizio dell’anno, contenuti nei contratti con Gazprom. Al momento infatti gli accordi stipulati dal governo permettono solo una sostituzione parziale.
Circa 2,5 miliardi di metri cubi sono stati garantiti dall’Azerbaijan entro la fine dell’anno tramite il gasdotto Tap che arriva in Puglia. Altri tre miliardi di metri cubi di gas dall’Algeria arriva passando per Gela: il governo di Algeri ci darà 9 miliardi di metri cubi di metano in aggiunta ma lo farà, a regime, solo dal 2024.
Altri 6 miliardi di metri cubi potrebbero essere garantiti estendendo al 100% la capacità di rigassificazione dei nostri tre terminal: nel 2021 si è fermata a 9,7 miliardi di metri cubi ma potrebbe arrivare a 16 miliardi, di cui 8 solo dal terminal Adriatic Lng di Rovigo che ha un contratto garantito decennale col Qatar. Il governo di Doha si è impegnato a fornire altri 5 miliardi di metri cubi ma dal 2023, mentre l’Egitto ne fornirà 3 miliardi. Da Angola e Congo arriveranno altri 6 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto, in attesa che venga arricchita la nostra capacità con due nuove navi galleggianti da 5 miliardi di metri cubi l’una.
Verso l’autonomia energetica: dove viene estratto il gas in Italia
Anche la nostra produzione nazionale dovrebbe essere potenziata nel breve termine, portando in dote un paio di miliardi di metri cubi. Le trivellazioni in Sicilia e nel mar Adriatico (presso il sito di Cavarzere, in provincia di Venezia) verranno ampliate, mentre l’esecutivo è al lavoro per trovare nuove aree idonee.
Ma è chiaro che l’abbandono del gas russo comporterà anche la necessità di un risparmio energetico generale per il nostro Paese in termini di volumi: il governo vuole ridurre di 7 miliardi di metri cubi la domanda di gas tagliando i consumi in casa e in ufficio senza compromettere il sistema e innalzando la capacità di generazione elettrica delle 4 centrali a carbone che però produrranno più emissioni.