Che la guerra in Ucraina sia un tassello, tragico e terribile, del mosaico geopolitico di uno scontro più grande tra Cina e Stati Uniti, lo si è appurato da tempo. Oltre alle sanzioni occidentali al regime di Mosca, Washington ha in programma di inasprire anche quelle rivolte a Pechino, sospettata a suo dire di fornire armi e supporto alla Russia nel conflitto nel Paese invaso.
Mentre la Casa Bianca sonda il terreno alla ricerca di alleati disponibili a condividere l’impianto sanzionatorio anti-cinese, la Repubblica Popolare costruisce una macchina di contro-sanzioni contro il complesso militare e industriale statunitense. Un’autentica guerra economica tra i due principali imperi del pianeta, che tra una crisi di Taiwan (ne abbiamo parlato qui) e una crisi di palloni-spia si preparano alla resa dei conti definitiva (intanto la Cina investe in Italia: dove si sta allargando e perché).
Le sanzioni della Cina agli Usa
Come abbiamo scritto anche qui, quella cinese è la via privilegiata (assieme ai sentieri paralleli di smistamento tramite gli Stati dell’Asia Centrale e gli Emirati Arabi Uniti) attraverso la quale le merci bloccate possono viaggiare dall’Occidente e giungere nel territorio della Federazione. Parliamo soprattutto di componenti di alta tecnologia, sulla quale Russia e Cina sono rivali ma cercano di collaborare in ottica anti-americana. E sempre in quest’ottica Pechino ha inaugurato una campagna sanzionatoria senza precedenti nei confronti degli Usa.
Le nuove misure cinesi sono rivolte principalmente contro due compagnie di armi statunitensi. Lockheed Martin e Raytheon sono ora soggette alle seguenti restrizioni:
- le aziende cinesi non possono fare affari con entrambe le imprese. L’obiettivo principale è impedire l’uso di merci cinesi nella produzione militare. Vige inoltre il divieto assoluto di includere parti cinesi nelle attrezzature militari statunitensi, almeno ufficialmente (e questa precisazione fa tutta la differenza del mondo);
- i vertici delle due società made in Usa non possono più entrare, soggiornare e lavorare in Cina.
I colpi al settore militare
Il ministero del Commercio cinese ha affermato che le società di casa dovrebbero essere “più prudenti e controllare le informazioni sulle aziende con cui vengono effettuate transazioni”. Non è chiaro quale impatto diretto potrebbero avere le sanzioni, ma le restrizioni sulle importazioni e sulle esportazioni potrebbero danneggiare Lockheed Martin e Raytheon. Sempre più spesso negli ultimi anni la produzione di armi e attrezzature americane utilizza pezzi di ricambio e materiali importati dalla Cina.
Nel settembre 2022, ad esempio, il Pentagono ha annunciato l’interruzione della produzione di caccia F-35 a causa del fatto che il magnete utilizzato nel motore dell’aereo era costituito da una lega di cobalto e samario, fornita dalla Repubblica Popolare. Secondo alcuni funzionari, tuttavia il divieto a volte viene “ignorato”, perché senza merci cinesi la produzione di armi sarebbe notevolmente rallentata, per non parlare dell’aumento del prezzo.
In generale i giganti delle armi dipendono notevolmente dalle forniture cinesi, pertanto le restrizioni influenzeranno sicuramente il processo di produzione. Naturalmente, sarà decisivo vedere prima se un tale regime di sanzioni verrà osservato o se la Cina, come gli Stati Uniti, a volte deciderà di revocare i divieti statali.
Petrolio e Taiwan
Lockheed Martin e Raytheon Technologies Corp compaiono dunque nell’elenco delle sanzioni cinesi come “organizzazioni inaffidabili”. Il motivo ufficiale è il loro coinvolgimento nella vendita di armi a Taiwan. Tuttavia, è possibile che le vendite di armi all’ex Isola di Formosa non abbiano nulla a che fare con la situazione attuale. Il giorno prima dell’imposizione delle sanzioni, la Cina ha avvertito che avrebbe preso “contromisure” contro le azioni statunitensi che violavano la sovranità cinese. Nel quadro si inseriscono soprattutto i voli di palloni-spia americani sullo Xinjiang e sul Tibet.
La sanzioni rappresentano anche la contromossa cinese alla crisi dei palloni-spia registrata in terra americana. La Repubblica Popolare non ha mancato di sottolineare ancora una volta come Washington abbia messo a repentaglio le relazioni bilaterali.
C’è poi la questione del petrolio. Le quantità di greggio da petroliere provenienti dai porti russi sono schizzate del 140% verso cinque Paesi che non applicano le sanzioni occidentali: Cina, India, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Singapore. I maggiori acquirenti si nascondono dietro il fumo lanciato negli occhi del mondo dalle dichiarazioni ufficiali dei blocchi contrapposti: Australia, Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Olanda, Francia e anche Italia. Price cap ed embargo vengono sistematicamente aggirati, come avevamo spiegato anche qui.
I dati del 2022 rivelano che i maggiori partner commerciali della Cina sono i Paesi Asean, l’Unione europea e gli Stati Uniti. La Russia è solo al decimo posto. Pechino è anche il maggiore partner commerciale dell’Ucraina. La guerra non ferma gli affari, semmai li rende manipolabili dai giganti. E l’ombra della Cina sembra davvero sempre più lunga.
La questione Francia
L’incontro tra Xi Jinping ed Emmanuel Macron in terra cinese ha indispettito non poco gli apparati statunitensi. Se la Germania è l’approdo dorato delle Vie della Seta, la Francia rappresenta per Pechino la pedina fondamentale per scardinare dal basso la presa americana sul cuore dell’Europa. Il primo segnale è forte, anche se passa sotto traccia: il Vecchio Continente non è completamente allineato con gli Stati Uniti ai fini del contenimento della Cina nell’Indo-Pacifico.
Pur non trattando esplicitamente il dossier Taiwan, mentre tra l’altro le esercitazioni cinesi simulavano l’accerchiamento dell’isola, Macron e Xi hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui si sottolinea “l’interesse comune e condiviso” di conseguire la pace in Ucraina. Il testo prevede in realtà l’aumento della collaborazione tra Cina e Francia in ambiti quali Spazio, aviazione civile, settore agroalimentare e lotta al cambiamento climatico. Nella dichiarazione si legge inoltre che il comando del Teatro meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione (che pattuglia la porzione sud dei Mari Cinesi) “approfondirà il dialogo” con il comando della Forze francesi per l’Indo-Pacifico.
Il messaggio di Macron e Xi agli Usa
Un altro segnale forte, Macron l’ha offerto con le dichiarazioni ai cronisti. Il presidente francese ha dichiarato, ad esempio, che l’Europa “deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti e conseguire l’autonomia strategica”, vecchia utopia dai tempi della CECA (la Comunità europea del carbone e dell’acciaio del 1951). Con Parigi che si propone naturalmente come guida del “nuovo corso” europeo. Negli stessi giorni Ursula von der Leyen orientava tutti i suoi sforzi istituzionali nell’alveo retorico occidentale, chiedendo a Pechino di stemperare la tensione con Taiwan. Una differenza evidente e importante, che contraddice il dettame Usa per il conflitto russo-ucraino: nessun Paese occidentale si proponga come “mediatore indipendente” alternativo all’America. La Francia di Macron invece l’ha fatto.
Un altro grande dossier discusso da Macron e Xi riguarda un tema molto caro agli Stati Uniti: l’energia. I due leader hanno raggiunto un’intesa nel campo delle rinnovabili e del nucleare. Non solo: Airbus raddoppierà la produzione di velivoli nella Repubblica Popolare tramite la fabbrica di Tianjin, mentre L’Oréal ha concordato una partnership triennale con il colosso del commercio digitale Alibaba, che il Partito cinese controlla ormai con mano ferma. Infine il sodalizio culturale: la Reggia di Versailles e la Città Proibita organizzeranno mostre congiunte per promuovere lo scambio storico-artistico tra i due Paesi.