Chiusa la questione europee, per l’Italia ora tocca occuparsi della grana del deficit eccessivo. Mercoledì la Commissione Europea pubblicherà il consueto report sul rispetto dei vincoli relativi a disavanzo e debito pubblico da parte degli Stati membri, con 11 paesi, tra cui noi e la Francia, che verranno messi in procedura per deficit eccessivo. Venerdì la Commissione invierà ai governi la “traiettoria tecnica”, ovvero il percorso di aggiustamento della spesa su cui si baserà il Piano di bilancio che il governo Meloni dovrà presentare a Bruxelles entro il 20 settembre.
Quali sono le regole del Patto di Stabilità
Nonostante le recenti modifiche alle regole del Patto di Stabilità, il cosiddetto “braccio correttivo” della Commissione Europea è rimasto invariato, così come i limiti di spesa: i paesi europei devono mantenere un deficit di bilancio netto/Pil entro il 3%; l’Italia è nettamente al di sopra di questa soglia, visto che è salito al 7,4% nel 2023, il più alto d’Europa. L’Italia parte con una pesante zavorra storica, quella del debito pubblico, ulteriormente aumentato a causa della pandemia. Bruxelles prevede che il deficit scenda al 4,4% nel 2024 per poi risalire al 4,7% nel 2025, se non verranno adottate nuove politiche.
«L’aggiustamento è pienamente alla nostra portata», aveva affermato mesi fa il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. In effetti, le cifre del Documento di Economia e Finanza (DEF) congelato mostrano un calo del deficit dal 7,4% dello scorso anno (motivo dell’infrazione UE) al 3% nel 2026. Tuttavia, il debito pubblico oscilla pericolosamente attorno al 139% del Pil, ben oltre il tetto del 60% stabilito dal trattato di Maastricht, con Bruxelles che prevede un superamento del 140%.
La riforma delle norme fiscali dell’Ue ha introdotto una serie di “attenuanti” da considerare prima di avviare la procedura. Tra questi criteri ci sono il livello di difficoltà del debito pubblico, l’entità della deviazione del deficit, i progressi nell’attuazione delle riforme e degli investimenti concordati con Bruxelles, e l’aumento della spesa pubblica per la difesa. Tuttavia, queste attenuanti non cambieranno sostanzialmente la situazione per l’Italia. La Commissione, basandosi sul Documento di Economia e Finanza ricevuto da Roma, proporrà di aprire una procedura che sarà poi esaminata dal Consiglio, l’organo che riunisce i governi dei 27 Stati membri.
La situazione negli altri paesi
I conti dei Paesi dell’Ue si presentano in condizioni precarie all’appuntamento con le nuove regole: secondo Eurostat, alla fine del 2023 undici Stati membri avevano un deficit superiore al limite del 3% del Pil stabilito dai trattati. In altri tre Stati (Repubblica Ceca, Estonia e Spagna) il superamento del limite è relativamente contenuto, e per due di questi (Repubblica Ceca e Spagna) il deficit dovrebbe rientrare sotto il 3% già quest’anno. È probabile che la Commissione tenga conto di questi miglioramenti, oltre che delle “condizioni rilevanti” riviste con il nuovo Patto, come l’aumento della spesa pubblica per la difesa, considerato un elemento attenuante.
Il deficit/Pil più elevato è quello dell’Italia, 7,4% dopo 8,6% nel 2022. Gli altri paesi dell’area euro con deficit superiore al 3% del Pil, e che anche per loro verrà aperta la procedura per infrazione, sono Belgio (4,4%), Estonia (3,4%), Spagna (3,6%), Francia (5,5%), Malta (4,9%) e Slovacchia (4,9%). Per i paesi non euro Repubblica Ceca 3,7%, Polonia 5,1%, Romania 6,6%, Ungheria 6,7%.
I prossimi passi del governo
Dopo alcune incertezze sulle tempistiche, per questo primo anno di applicazione del Patto rivisto, si è deciso che venerdì prossimo, 21 giugno, verranno assegnate agli Stati le “traiettorie di riferimento” (che non saranno rese pubbliche) per sistemare i conti. Successivamente, si aprirà un negoziato tra gli Stati e la Commissione fino al 20 settembre, quando i Paesi presenteranno a Bruxelles i loro piani di spesa pluriennali.
Il programma di rientro è concepito per un periodo iniziale di 4 anni, che si potrà estendere fino a 7 anni a condizione che vengano attuate riforme significative e investimenti strategici. È plausibile che l’Italia cercherà di optare per l’estensione a 7 al fine di attenuare gli impatti dei necessari sacrifici finanziari, come confermato anche dalle simulazioni condotte dagli esperti del settore. Salvo deroghe, gli Stati dovranno inviare questi piani di spesa alla Commissione orientativamente entro il 20 settembre, circa un mese prima della formulazione dei documenti programmatici di bilancio. Solo in quel momento il valore della “traiettoria tecnica” dovrebbe diventare definitivo.
Quali misure rischiano di venire cancellate
Nelle scorse settimane, fonti europee hanno indicato che per l’Italia potrebbe essere richiesta una correzione strutturale dello 0,5-0,6% del Pil su un periodo di 7 anni, corrispondente ad almeno 10 miliardi di euro l’anno.
Dove trovarli? Circa 7 miliardi potrebbero arrivare nei prossimi mesi grazie agli avanzi dei nuovi sussidi per la povertà, che hanno raggiunto solo metà dei beneficiari previsti, e alle risorse derivanti dall’attuazione della delega fiscale. Per il resto, le opzioni disponibili sono drastiche: ridurre la spesa pubblica (con sanità e scuola che già necessitano di fondi) o aumentare le tasse, come l’Iva e le accise.
Ci sono anche le possibili rinunce. Potrebbe non essere rifinanziato il pacchetto pensioni da 630 milioni di euro, che include Quota 103, Ape Sociale, Opzione Donna e l’aumento delle pensioni minime. La proposta della Lega di introdurre Quota 41 appare irrealistica. Anzi, il governo potrebbe essere tentato di ridurre ulteriormente l’indicizzazione delle pensioni all’inflazione, che da gennaio tornerà ad essere più favorevole.
Repubblica propone poi delle stime su quanto possono costare ulteriori tagli ad altre misure, come quello del canone Rai a 70 euro, voluto da Salvini (che potrebbe valere 430 milioni di euro), la social card “Dedicata a te” di Lollobrigida (600 milioni), lo sgravio per le mamme lavoratrici con due figli (368 milioni), la garanzia per il mutuo della prima casa delle giovani coppie (282 milioni), e il pacchetto di welfare aziendale con i fringe benefit (483 milioni). Tutti bonus in scadenza a fine anno e che per fare cassa potrebbero non essere rinnovati.