AGGIORNAMENTO: Il 9 aprile il Senato ha approvato l’ordine del giorno firmato da tutti i gruppi parlamentari affinché il Governo si attivi per l’istituzione di un protocollo unico nazionale per la gestione domiciliare dei pazienti Covid. Vi rimandiamo qui per tutti i dettagli.
Agire subito, alla comparsa di qualunque potenziale sintomo Covid, ben prima del tampone. E non aspettare assumendo Tachipirina in caso di febbre e restando in “vigile attesa”, come continuano a suggerire – a questo punto viene da dire inspiegabilmente – i protocolli del ministero della Salute. L’evidenza clinica in questo anno di pandemia ha dimostrato che il Covid è subdolo, e se non preso per tempo può trasformarsi e degenerare in qualcosa di estremamente serio, se non addirittura fatale.
Agire subito, per uscire dalla pandemia
Lo sa bene il prof. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2018 e autore di più di 1440 pubblicazioni su riviste internazionali, nonché di 16 libri, unico italiano ad essere stato membro del Comitato di redazione delle riviste “The Lancet” e “New England Journal of Medicine”, e membro del “Gruppo 2003”, cioè gli scienziati italiani più citati al mondo della letteratura scientifica.
Noi di QuiFinanza ve ne avevamo già parlato a dicembre. Dalla sua osservazione, Remuzzi ha capito che è fondamentale prendere vantaggio sul virus. Appena si avvertono i primissimi sintomi, come tosse, febbre, spossatezza, dolori ossei e muscolari, mal di testa o diarrea, bisogna iniziare subito il trattamento, senza aspettare i risultati del test molecolare.
È evidente, dopo un anno, che il Coronavirus non se ne andrà facilmente, e anzi probabilmente resterà endemico, come un raffreddore o una semplice influenza. E che è un virus che va combattuto prevalentemente a casa, se vogliamo uscire dalla fase emergenziale ormai continua.
È inimmaginabile, come dimostrato dai forti sovraccarichi ospedalieri, che la malattia da Covid-19 possa essere trattata solo in ospedale. Perché se si arriva lì, rischia di essere troppo tardi. Il numero di vittime italiane è un indicatore drammatico, eppure così palese, di numerosi errori commessi nella gestione delle cure. Ci sarà, domani, un tempo necessario per capire di chi sono queste responsabilità. Ma il tempo dell’emergenza, adesso, richiede solo di capire come uscirne al più presto.
Cosa aveva dimostrato il primo studio di Remuzzi e Suter
Il primo documento per la cura domiciliare del Covid-19 di cui vi avevamo parlato era stato ottenuto dall’esperienza di Bergamo. Era frutto del lavoro di Remuzzi e Fredy Suter, dal titolo “A recurrent question from a primary care physician: How should I treat my COVID-19 patients at home?”, pubblicato su Clinical and Medical Investigations (lo potete visionare qui).
Durante la prima fase dell’epidemia, le indicazioni per curare i pazienti a casa sono state condivise con alcuni medici dell’ATS di Bergamo, che le hanno messe in pratica su più di 100 pazienti positivi al Covid con sintomi, guariti tutti senza ricorrere al ricovero ospedaliero.
Secondo quanto elaborato da Suter e Remuzzi, se la febbre non è l’unico sintomo presente, i farmaci antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti FANS come l’Aulin, così come anche l’acido acetilsalicilico – la comune aspirina – sono da preferirsi al paracetamolo (la Tachipirina è il più famoso paracetamolo, ma ce ne sono tanti altri generici).
Il paracetamolo, infatti, spiega Remuzzi, non solo ha una bassa attività antinfiammatoria ma, secondo alcuni esperti, diminuisce le scorte di glutatione, una sostanza che agisce come antiossidante. La carenza di glutatione potrebbe portare ad un ulteriore peggioramento dei danni causati dalla risposta infiammatoria, che si verifica durante l’infezione Covid.
I FANS invece potrebbero ridurre l’infiammazione, e interrompere la progressione della malattia. Esempi di FANS utili in caso di presunto Covid sono il celecoxib e la nimesulide (l’Aulin ad esempio). Grazie ai FANS assunti tempestivamente, si può prevenire la reazione infiammatoria che, se viene presa in tempo, è curabile a domicilio dal medico di famiglia.
Cosa devono fare i medici di famiglia e l’esperienza del Comitato Cure Domiciliari Covid
Remuzzi ha più volte insistito sul ruolo dei medici di famiglia, che dovrebbero essere in grado di valutare la gravità della malattia e fare tutto il possibile per curare a casa i pazienti. Nella gestione domiciliare del Covid è assolutamente necessario che i medici di famiglia seguano i pazienti giorno dopo giorno.
Eppure, questa pandemia ha evidenziato falle enormi nel sistema di medicina territoriale, spolpata da politiche ormai ventennali di privatizzazioni selvagge e depauperamento delle risorse pubbliche (“modello Lombardia” docet). Sono ancora troppo pochi i medici di base che curano adeguatamente i pazienti Covid a casa. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
E proprio da questa grave mancanza è nata l’esperienza del Comitato Cure Domiciliari Covid fondato dall’avvocato Erich Grimaldi, che oggi, anche grazie all’attivissimo gruppo Facebook formato da medici e infermieri che forniscono aiuto gratuitamente, sta salvando centinaia di pazienti ogni giorno, con una rete territoriale che ci auguriamo faccia scuola.
Se gli antinfiammatori non bastano
E quando gli antinfiammatori non bastano, che succede? Si passa ad altri farmaci, ma prima è necessario sottoporsi ad alcuni esami del sangue, con un prelievo a domicilio, per controllare alcuni valori essenziali:
- globuli rossi e dei globuli bianchi, che danno un’idea della situazione immunologica;
- PCR, o Proteina C Reattiva, per accertare l’andamento dell’infiammazione;
- creatinina, albumina ed elettroliti per verificare lo stato di salute dei reni;
- glucosio per la presenza di ipoglicemia e iperglicemia;
- enzimi epatici per controllare lo stato di salute del fegato;
- D-dimero, PT, PTT e fibrinogeno per controllare la coagulazione del sangue.
Il nuovo studio di Remuzzi
Ora, finalmente, quelle che erano indicazioni utili raccolte dal prof. Remuzzi e dai suoi collaboratori sono diventate uno studio in versione pre-print che ha riaperto il dibattito sulle cure domiciliari Covid. È bene chiarire che uno studio in pre-print non viene sottoposto a “revisione dei pari” o “peer-review”, per velocizzare la disponibilità dei risultati.
Lo studio di cui Remuzzi è coautore stato pubblicato su MedRxiv con il titolo “A simple, home-therapy algorithm to prevent hospitalization for covid-19 patients: a retrospective observational matched-cohort study” (Un semplice algoritmo per il trattamento domiciliare di pazienti Covid-19 per prevenire l’ospedalizzazione: uno studio di osservazione retrospettiva).
Si propone, come altri studi attualmente in corso, per il trattamento domiciliare dei pazienti Covid-19, di presentare ai medici di Medicina Generale una possibile cura precoce nelle prime fasi dell’infezione. Studi clinici randomizzati in pazienti con Covid-19 curati a casa, condotti per confrontare l’efficacia di diversi regimi di trattamento, non erano ancora mai stati compiuti finora.
Come si evolve il Covid e cosa fare
Pur essendo in attesa della pubblicazione ufficiale, Remuzzi ha pensato di rendere noti i dati emersi alla comunità scientifica perché i risultati sull’ospedalizzazione “sono di un certo interesse”. Nei primi 2-3 giorni, il Covid è in fase di incubazione: la persona non presenta ancora sintomi, ovvero è pre-sintomatica.
Nei 4-7 giorni successivi, la carica virale aumenta facendo comparire i primi sintomi, come tosse, febbre, stanchezza, dolori muscolari, mal di gola, nausea, vomito, diarrea. Intervenire in questa fase, iniziando a curarsi a casa e trattando il Covid come si farebbe con qualsiasi altra infezione respiratoria, ancora prima che sia disponibile l’esito del tampone, potrebbe aiutare ad accelerare il recupero e a ridurre l’ospedalizzazione.
Cosa dimostra lo studio di Remuzzi
Lo studio retrospettivo mostra chiaramente che 90 pazienti con Covid lieve sono stati trattati a casa dai loro medici di famiglia, tra ottobre 2020 e gennaio 2021, secondo l’algoritmo proposto. I risultati ottenuti da questi pazienti sono stati confrontati con i risultati di pazienti che presentavano le stesse caratteristiche per età, sesso e comorbidità, ma che avevano ricevuto altre terapie.
Un trattamento accurato dei pazienti Covid-19 a domicilio da parte dei medici di famiglia, secondo il regime di raccomandazione proposto nel documento, ha avuto un effetto importante sulla necessità di ricovero in ospedale. Ciò si è tradotto in una riduzione di oltre il 90% del numero complessivo di giorni di ricovero e dei relativi costi di trattamento.
Il tempo mediano per la risoluzione dei sintomi principali è stato di 18 giorni per i pazienti trattati secondo le nuove raccomandazioni, 14 giorni nel gruppo di controllo. Cosa significa questo? Che trattare precocemente il Covid a casa non influenza in modo particolare la durata della malattia, quanto invece il suo fenotipo, cioè l’insieme di tutte le manifestazioni cliniche, con una conseguente riduzione della necessità di ospedalizzazione.