A leggere le cifre c’è il rischio di sottovalutarli. Perché alla fine i sarcomi, che rappresentano una famiglia di neoplasie rare, interessano meno di 6 persone su 100.000 ogni anno. Ma non considerare queste forme per il peso che hanno sia sul paziente che sulla famiglia e sull’intero sistema sanitario è un errore. Anche se purtroppo c’è ancora molto da fare, anche in termini di “tossicità finanziaria” legata a queste forme tumorali.
Le sfide sono molteplici. Perché i sarcomi non si presentano solo negli anziani o nei giovani, ma possono colpire a qualunque età. Non solo. Si tratta di patologie difficili da riconoscere, in quanto privi di sintomi specifici in fase iniziale e programmi di screening facilmente attuabili. Insomma, alla fine diagnosi tardive, totalmente errate o inaccurate, trattamenti spesso non appropriati, interventi chirurgici non adeguati sono causa di un elevato burden – fisico, psicologico ed economico – per i pazienti e di costi evitabili per il Servizio Sanitario.
Per fotografare la realtà italiana dei sarcomi, far emergere le criticità e suggerire le prospettive future, Fondazione Paola Gonzato – Rete Sarcoma ETS ha ideato e realizzato “Sarcomi dalle esperienze alle proposte. Libro Bianco su stato dell’arte e prospettive future”. Ecco, in sintesi, cosa emerge da questo grande lavoro, che esamina come l’Italia si sta muovendo nella sfida a questi tumori “difficili”: i sarcomi sono infatti una categoria di neoplasie rare nella quale si riconoscono più di 100 tipi di tumore caratterizzati da un distinto comportamento clinico e biologico e da uno specifico aspetto microscopico.
Indice
Quali sono i bisogni dei pazienti
Il Libro Bianco sui sarcomi si colloca all’interno di un percorso di advocacy che la Fondazione Paola Gonzato – Rete Sarcoma ETS porta avanti da più di 15 anni con una crescente informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica, dei clinici e delle Istituzioni, che nel 2023 è culminato nella campagna “Pazienti esperti e Istituzioni insieme nella sfida ai sarcomi. Verso una nuova umanizzazione delle cure”, cui ha fatto seguito la realizzazione di “Vivere con il sarcoma in Italia”, la prima indagine a livello nazionale condotta su queste patologie dall’Istituto di ricerca AstraRicerche, rivolta ai pazienti e ai loro caregiver.
L’indagine ha costituito la base per la stesura ed è stata incorporata come primo capitolo del Libro Bianco, che, anche attraverso un insieme di approfondimenti sul piano clinico-organizzativo, ha consentito di delineare lo stato dell’arte nel nostro Paese e le istanze per il futuro.
I risultati fanno emergere due elementi significativi: da un lato, una gestione ancora sub-ottimale dei pazienti e della malattia, sebbene per alcuni aspetti molto migliorata nel complesso rispetto al passato, dall’altro il pesante burden della patologia e dei trattamenti sulla vita dei pazienti, l’85% dei quali dichiara di aver subito un impatto importante, sia dal punto di vista psicologico che sulla sfera economica-professionale e affettiva-relazionale.
Il dato più rilevante riguarda le diagnosi tardive, non corrette o inaccurate. Quasi la metà del campione (49,4%) prima della diagnosi di sarcoma ha ricevuto diagnosi differenti, poi rivelatesi errate o non accurate. Rispetto alla comparsa dei primi sintomi (dolore e/o tumefazione), il 17,5% ha dovuto attendere per la diagnosi dai 6 ai 12 mesi, il 6,5% dai 13 ai 24 mesi e il 4,8% anche più di 2 anni.
La chirurgia, trattamento principale nei sarcomi, che necessita di competenze e Centri specialistici, rappresenta una criticità. La biopsia non sempre risulta effettuata correttamente, con conseguente impatto sia sulla diagnosi sia sulla prognosi. Inoltre, circa nel 25% dei casi, l’intervento chirurgico viene eseguito anche in ospedali locali. Il supporto psicologico è offerto gratuitamente soltanto al 32,6% dei pazienti, laddove l’impatto psicologico negativo è dichiarato da quasi il 90% degli intervistati.
La comunicazione medico-paziente è un’altra area di criticità: meno di 2/3 del campione ritiene di essere informato. Solo al 26,8% è stato chiesto di donare campioni biologici per la ricerca e solo al 23% offerta la possibilità di partecipare ad una sperimentazione clinica.
Il Libro Bianco si chiude con un elenco di proposte/raccomandazioni rivolte alle Istituzioni, da interventi volti a migliorare l’appropriatezza diagnostica e chirurgica, nonché la qualità e sicurezza complessiva dei percorsi di cura e assistenza, alla necessità di maggiori investimenti nella ricerca. Obiettivo ultimo è superare iniquità e disparità di accesso ai trattamenti dovute alla rarità e complessità di queste neoplasie: traguardo raggiungibile principalmente attraverso il potenziamento della collaborazione dei Centri di riferimento e la piena operatività della Rete Nazionale Tumori Rari.
In cerca di cure per i sarcomi pediatrici
Secondo Franca Fagioli, Professore Ordinario di Pediatria Generale, Università di Torino e Direttore di Struttura Complessa, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino, circa sette diagnosi di tumore su 100 in età pediatrica sono legate a sarcomi. L’osteosarcoma, in particolare, è il quarto tumore solido più comune nei bambini e adolescenti, rappresentando il 5% dei tumori pediatrici e il 55% di tutti i tumori ossei primari in pazienti di età inferiore ai 20 anni.
“In questi ultimi anni per migliorare la probabilità di guarigione, è stata dedicata molta attenzione alla ricerca sui modelli preclinici, sui nuovi farmaci come gli inibitori multi-target tirosin-chinasici, immunoterapia/terapia cellulare e sulla medicina di precisione – fa notare l’esperta. A fronte delle notevoli potenzialità di queste strategie, solo il 10% dei pazienti beneficia attualmente di farmaci target; infatti, sono pochi i target molecolari effettivamente “azionabili” dai farmaci disponibili e spesso alcuni farmaci non sono immediatamente fruibili per i pazienti pediatrici, in quanto sono pochi quelli adeguatamente studiati sulla popolazione pediatrica. La mancanza di medicinali autorizzati in ambito pediatrico e il conseguente utilizzo off-label di alcuni di essi sono problemi significativi e attuali, causati anche dalla difficoltà di condurre studi clinici pediatrici e dal ridotto numero dei pazienti, uniti al fatto che l’uso pediatrico rappresenta un mercato minore per l’industria farmaceutica. Il percorso di cura di questi pazienti deve avvenire in Centri con elevato expertise e in Italia questo è possibile nei 49 Centri dell’AEIOP; tuttavia, attualmente vi è ancora una profonda disomogeneità tra i Centri in termini di numerosità dei casi presi in carico e disparità di competenze. Proprio su questi presupposti è stata istituita la Rete Nazionale Tumori Rari che definisce i criteri perché un Centro sia considerato provider a supporto di altri”.
Come si affrontano i sarcomi nei giovani
Quando si parla di sarcomi si fa riferimento ad una famiglia eterogenea di tumori rari che originano in muscoli, tendini, sinovie, tessuto adiposo e tessuti connettivi in genere, con un’incidenza pari a meno di 6 persone su 100.000 all’anno. Per la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti è essenziale la presa in carico all’interno di reti dedicate, basate su Centri di riferimento dotati di competenze specialistiche e di un insieme di requisiti specifici a partire dalla presenza di un team multidisciplinare. Un esempio di questo approccio viene dalla situazione dei cosiddetti AYA (sigla che sta per Adolescenti e giovani- Young Adulti).
A descriverlo è Alexia Francesca Bertuzzi, Head Sarcoma and Melanoma (AYA) presso l’Humanitas Research Hospital di Milano. “In oncoematologia con l’acronimo AYA – Adolescents and Young Adults, ci si riferisce a pazienti di età compresa tra i 16 e i 39 anni, fascia di età caratterizzata da esigenze psicologiche e sociali difficilmente riconosciute, spesso non soddisfatte e inserite dentro una complessità clinica, diagnostica e terapeutica. I sarcomi rappresentano a livello mondiale l’11% dei tumori AYA. L’osteosarcoma (OS) e il sarcoma di Ewing sono i più frequenti. Lo sviluppo di una oncologia AYA rappresenta una sfida per i medici, per le strutture sanitarie e per la società, che implica il riconoscimento di un gap reale che comprende la diagnosi/terapia di una patologia rara e di complessa gestione, l’unicità dei bisogni psicologici e sociali correlati alla fascia d’età e infine necessita di un follow-up personalizzato sulla base della patologia, dei trattamenti ricevuti e delle comorbidità/stile di vita del paziente. Le sequele a lungo termine, influenzate da diversi fattori, sono riconducibili a 3 sottogruppi: medico-oncologiche, legate allo sviluppo di secondi tumori, mediche organo-specifiche e psicosociali. Il mondo oncologico AYA rappresenta una grande sfida, si tratta di un concreto esempio di medicina personalizzata, a partire dalla diagnosi fino al follow-up. Si tratta anche di un nuovo modello di cure da adottare, dove il paziente deve essere considerato all’interno del suo mondo (emotivo personale, sociale e professionale), protagonista in prima persona del proprio percorso di cura e assolutamente coinvolto nelle scelte terapeutiche”.
Cosa fare negli adulti e l’importanza della rete
Come ricorda Paolo Giovanni Casali, Professore Associato e Direttore di Oncologia Medica 2 “Tumori mesenchimali dell’adulto e Tumori Rari” presso l’Istituto Nazionale Tumori di Milano, la classica domanda “ho un tumore, cosa devo fare?”deve trovare risposte ancor più complesse in caso di sarcoma. Il paziente con tumore raro, e a maggior ragione il paziente con sarcoma, deve porsi la domanda preliminare ‘Dove devo andare?’.
La risposta a questa domanda può essere la ‘rete’: segnatamente, dovrebbe essere la Rete Nazionale Tumori Rari, prevista da un’Intesa Stato-Regioni del 2017. Per quanto riguarda i sarcomi dell’adulto, 105 Centri su tutto il territorio nazionale sono stati selezionati a farne parte. Ciò che a questo punto è richiesto perché la Rete possa partire è una collaborazione operativa tra le singole Regioni e il livello nazionale. Alcune Regioni si stanno muovendo: è urgente che il processo possa attuarsi quanto prima”.
Ovviamente, viste le caratteristiche delle lesioni, il passaggio attraverso la sala operatoria è quasi la regola. E visto che questi tumori interessano spesso ossa, muscoli articolazioni e comunque strutture dell’apparato locomotore, è evidente che l’ortopedico rappresenta il punto di riferimento.
Lo ricorda Davide Maria Donati, Professore Associato e Direttore III Clinica Ortopedica Oncologica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna. “La chirurgia nella maggior parte dei casi rappresenta l’atto fondamentale per la cura locale di un tumore dell’apparato muscoloscheletrico, per quanto all’interno di un trattamento multimodale – segnala l’esperto. Essa include l’asportazione dell’osso e delle parti molli associate. Purtroppo, circa il 5% dei casi ricade, con ripresa locale della malattia. Alla fase di asportazione segue quella ricostruttiva tramite dispositivi che sostituiscono l’osso e le articolazioni asportate. Fra i dispositivi ricostruttivi giocano un ruolo fondamentale le protesi interne e, in casi più selezionati, l’innesto di osso ottenuto da donazione, proveniente dalla banca dell’osso. Nel paziente in accrescimento esistono problemi di ancoraggio in un osso ancora immaturo e, soprattutto, esiste il problema dell’accorciamento dell’arto a fine accrescimento. Il compito del chirurgo ortopedico è ottenere una ricostruzione definitiva a fine accrescimento, cioè attorno ai 16-17 anni, tale per cui da quel momento il risultato funzionale possa considerarsi definitivo e non inficiare la futura qualità della vita. Pochi centri in Italia possiedono tutte le competenze necessarie assieme a programmi di sviluppo tecnologico capaci di utilizzare le tecniche più attuali. Lavorare in team multidisciplinari e porre attenzione alla qualità della vita dei pazienti, correlando i risultati clinico-funzionali alla valutazione degli esiti da parte del paziente (Patients Reported Outcomes) è essenziale per garantire i migliori risultati”.