Obesità, quando servono i farmaci e cosa può fare la chirurgia

Sovrappeso e obesità rappresentano oggi il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale. I chili in eccesso rubano fino a 6 anni di vita

Pubblicato: 24 Maggio 2024 16:00

Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

L’85% degli italiani considera l’obesità una patologia complessa, associata a molteplici cause (genetiche, endocrino-metaboliche, ambientali, comportamentali) e non semplicemente una conseguenza di alimentazione e stili di vita scorretti. Il 73% la ritiene una delle malattie più diffuse e una delle principali cause di mortalità. Circa la metà degli italiani (49%) è consapevole che l’obesità è una malattia cronica e un fattore di rischio per altre patologie, meno di un terzo (29%) la reputa conseguenza di cattive abitudini e solo il 4% un mero problema estetico.

Sono solo alcuni dei dati che emergono dal documento “Obesità in Italia. Percezioni, costi e sfide per il futuro” realizzato da IPSOS, I-COM e Università del Piemonte Orientale (UPO) con il contributo di Lilly, presentato a margine del Congresso Europeo sull’Obesità – ECO 2024. L’obesità è, infatti, una delle principali sfide sanitarie globali con tassi di crescita e impatti tanto allarmanti da portare l’Organizzazione Mondiale della Sanità a coniare il termine “Globesità”.

Il fenomeno è in sensibile aumento e riguarda più dell’11% della popolazione, mentre il 33% dei cittadini risulta in sovrappeso. Si tratta di un problema sociale e sanitario in rapida e costante crescita, specie nei Paesi a medio-alto reddito. Nel mondo un miliardo di persone convive con l’obesità, le proiezioni sconfortanti ipotizzano al 2035 che metà della popolazione mondiale ne sarà affetta. Tra le diverse strategie mediche per affrontare la tematica, farmaci mirati potrebbero rappresentare una potenziale soluzione per molti casi. A patto che siano usati con appropriatezza. Ma dove va la ricerca?

Cosa è l’obesità

L’obesità, come emerso in un convegno organizzato dall’Irccs Istituto Auxologico Italiano, è una malattia cronica risultante dalla complessa interazione tra ambiente, stile di vita, e alterazioni metaboliche geneticamente determinate e solo parzialmente controllabili dalla volontà. L’eccesso ponderale ha rilevanti ripercussioni sulla qualità della vita del paziente, sia per le sue implicazioni sociali e psicologiche sia per le limitazioni funzionali di cui è vittima. Si associa inoltre a complicanze che incidono sfavorevolmente sull’aspettativa di vita: ipertensione, dislipidemia, diabete, sindrome delle apnee notturne (OSAS) e aumento del rischio cardiovascolare, oncologico e infettivo.

Insieme al sovrappeso, l’obesità costituisce un importante fattore di rischio per le malattie croniche non trasmissibili, per le malattie cardiovascolari ed è anche tra i principali fattori di rischio oncologico. Per questo occorre prevenire ed intervenire sui fattori di rischio modificabili, nel caso specifico sulle cattive abitudini alimentari e sulla sedentarietà.

Sovrappeso e obesità rappresentano oggi il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale (almeno 2.8 milioni/anno di decessi nel mondo) e si calcola che un paziente con obesità grave riduca la propria aspettativa di vita di circa 10 anni e ne trascorra 20 in condizioni di disabilità.

Il peso dell’obesità sul singolo e sulla società

In Europa, secondo il report OMS 2022, più di un individuo adulto su 2 e più di un bambino su 3 convivono con sovrappeso o obesità. Almeno 2,8 milioni di adulti muoiono ogni anno a causa di questa patologia e delle sue conseguenze, senza contare che essa è causa di morte prematura e collegata ad almeno 200 complicanze tra cui diabete di tipo 2, tumori, ipertensione, dislipidemia, malattia coronarica e apnee ostruttive. Comparati a soggetti normopeso, gli individui con obesità hanno 12 volte il rischio di sviluppare quattro o più malattie correlate.

Bastano queste cifre a spiegare quanto e come il problema debba essere preso in carico sul fronte dei sistemi sanitari, anche per superare oggettive barriere psicologiche e sociali che da tempo si pongono nella gestione della situazione, anche per la percezione dell’opinione pubblica. Una visione è orientata a ritenerla esclusiva responsabilità dell’individuo, l’altra orientata a riconoscerla come vera e propria malattia altamente complessa e per questo meritevole di cure e servizi. Il prevalere della prima ha prodotto un fiorire di stereotipi, radicati nel comune sentire, che minano il riconoscimento della malattia come reale stato patologico e colpevolizzano le persone con obesità, alimentando lo stigma sociale e clinico. Dall’analisi presentata Venezia emerge come nel 74% delle persone che si definiscono obese prevalga la percezione di non riuscire a controllare l’appetito, mentre il 66% di esse si addossa la responsabilità personale dell’eccesso di grasso.

E’ quindi importante riconoscere l’obesità come malattia cronica che richiede non solo attenzione clinica particolare, ma un intervento coordinato e integrato a livello nazionale, che vada oltre l’approccio preventivo. Il tutto, per fronteggiare un problema anche economico. Si stima, infatti, che ridurre il tasso di obesità del solo 5% porterebbe ad una riduzione annuale del 5,2% nei costi economici globali tra il 2020 e il 2060.

Obesità e cuore, un rapporto stretto

Scompenso cardiaco e obesità sono due epidemie in rapidissima crescita: l’insufficienza cardiaca oggi colpisce oltre un milione di italiani e si stima un incremento del 30% dei casi entro il 2030. L’aumento dei casi è trainato in parte dall’incremento dell’aspettativa di vita, perché la prevalenza della patologia raddoppia a ogni decade di età e dopo gli 80 anni lo scompenso colpisce il 20% della popolazione; tuttavia l’insufficienza cardiaca ha anche l’obesità fra le sue cause principali perché i chili in eccesso comportano, fra le altre cose, un incremento dell’infiammazione generale, un maggiore stress su metabolismo e sistema cardiovascolare e un incremento del grasso viscerale anche a livello cardiaco.

“È proprio il grasso viscerale e addominale il più pericoloso e quello che dovrebbe essere realmente misurato: la semplice valutazione dell’indice di massa corporea e quindi del rapporto fra peso e altezza non basta – ha recentemente sottolineato Ciro Indolfi, Past-President della Società Italiana di Cardiologia e professore ordinario di Cardiologia -. È necessario valutare la distribuzione del grasso e non soltanto l’indice di massa corporea così ogni possibile vantaggio di sopravvivenza per gli obesi sparisce. L’obesità infatti fa male al cuore: la probabilità di avere un infarto, un ictus o un evento cardiovascolare fatale aumenta dal 67 all’85% rispetto a chi è normopeso, tanto che i chili in eccesso ‘rubano’ fino a 6 anni di vita, secondo un recente studio pubblicato su Jama”.

Il grasso corporeo in eccesso comporta ipertensione, sindrome metabolica, diabete, fibrillazione atriale, tutte patologie che si associano poi all’insufficienza cardiaca. Oltre la metà dei pazienti con scompenso ha il cuore che non è in grado di riempirsi correttamente e di questi si stima che fino all’80% sia obeso.

Non solo cuore, perché l’obesità aumenta i rischi per la salute

Chi è obeso rischia di sviluppare forme più aggressive e difficilmente curabili, così come ha maggiori probabilità di avere complicanze durante i trattamenti e sviluppare una recidiva dopo un precedente tumore. Nel mondo, l’impatto delle neoplasie correlate all’obesità, espresso come frazione attribuibile per la popolazione (PAF), è dell’11.9% negli uomini con particolare impatto sull’insorgenza dell’adenocarcinoma dell’esofago nel quale raggiunge il 33,3%, mentre nelle donne è del 13.1% con maggior effetto sul tumore dell’endometrio (34%).

Obesità e sovrappeso sono tra i fattori di rischio noti per i tumori di endometrio, ovaio, mammella, colon, retto, esofago, stomaco, rene, pancreas e mieloma multiplo. Questo aumentato rischio di sviluppare neoplasie risiede nel fatto che nelle persone obese è presente un’infiammazione cronica dei tessuti che alla lunga predispone alla trasformazione cancerosa delle cellule per effetto dell’incremento degli acidi grassi e dei radicali liberi che inducono mutazioni nel DNA. Il grasso, inoltre, è un deposito naturale di sostanze che favoriscono l’infiammazione e produce ormoni, come gli estrogeni, coinvolti nello sviluppo di vari tipi di tumori. In aggiunta, i pazienti con eccesso ponderale hanno nel sangue elevati livelli d’insulina e di fattori di crescita che svolgono un ruolo chiave nella relazione tra cibo e cancro aumentando la crescita e la proliferazione cellulare (soprattutto delle cellule tumorali).

I farmaci specifici per l’obesità

Negli ultimi tempi si sono resi disponibili e sono in via avanzata di ricerca alcuni farmaci di grande interesse per il trattamento dell’obesità e per gli effetti positivi che possono avere su eventuali patologie cardiache, come appunto lo scompenso.

Semaglutide è un’agonista del recettore del GLP-1 (glucagon like peptide-1) da tempo impiegato nel trattamento del diabete di tipo 2. In pratica aiuta a regolare la sensazione di fame e soprattutto favorisce il senso di sazietà all’interno dell’apparato digerente, per cui basta una quantità inferiore di cibo per “correggere” la sensazione di fame. Non solo: questa azione si combina con quella che si verifica centralmente, con un effetto su specifici nuclei dell’encefalo e quindi ulteriore incremento del senso di ripienezza e calo del desiderio di assumere cibo.

Dopo semaglutide, si affaccia una molecola chiamata tirzepatide. Si tratta del primo agente di una nuova classe di farmaci con una struttura molecolare progettata per attivare sia il recettore del GLP-1 che quello del GIP (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente), le due incretine predominanti nell’intestino.

Basilare è comunque che sia il medico ad indicare la cura, anche perché se è vero che chi risponde si sentirà sazio prima e mangerà di meno, magari piccole quantità di cibo ma più di frequente, i medicinali tendono a mantenersi attivi fin quando vengono assunti, proprio per il loro meccanismo d’azione. Per questo è fondamentale che il percorso sia accompagnato da un medico esperto che cerchi di migliorare, nel frattempo, lo stile di vita, per poi mantenere il peso raggiunto.
Migliorare lo stile di vita è la vera sfida all’obesità. Ed è la partita su cui si gioca il successo delle cure. Anche per la sanità pubblica in Italia.

Quanti e quali interventi chirurgici si effettuano

Secondo i dati Sicob relativi al 2023, raccolti presso i 135 centri ufficiali (66 al Nord, 28 al Centro, 28 al Sud e 13 nelle Isole), il 73% dei pazienti sono donne e il 27% uomini, mentre, in fatto di età:

Da un punto di vista geografico, rispetto ai 26624 interventi totali, 14424 si sono concentrati nel Nord Italia (54%), 5407 nel Sud (20%), 4613 nel Centro (18%) e 2180 nelle Isole (8%).

Nel dettaglio, la regione con maggior numero di interventi è la Lombardia (8189), seguita da Campania (3679) ed Emilia Romagna (3428). Scorrendo la classifica, troviamo Lazio (1975), Sicilia (1700), Puglia (1498), Abruzzo (1294), Veneto (1202) e Toscana (1004). Nella seconda parte dell’elenco, Piemonte (672), Sardegna (480), Liguria (398), Friuli Venezia Giulia (386), Marche (199), Umbria (129). Fanalini di coda sono Trentino Alto Adige e Basilicata (entrambe con 121), Calabria (109), Valle d’Aosta (28) e Molise (12).

Per quanto riguarda invece la tipologia di intervento, in oltre il 97% condotto per via laparoscopica o robotica:

Come ottenere il meglio dall’intervento

Come emerge dal Congresso Nazionale SICOB – Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità, si punta sulla gestione ottimale del paziente, prima, durante subito dopo l’intervento sul paziente obeso. Si tratta di un protocollo già adottato presso alcuni centri accreditati che consente una rapida ripresa post-operatoria del paziente sottoposto a chirurgia attraverso l’applicazione di un percorso multimodale volto a ridurre stress, dolore, nausea, vomito in assenza di sondini, drenaggi e cateteri.

“L’applicazione di tale protocollo assicura al paziente un’esperienza migliore e ricoveri di breve durata, nonché una ripresa quasi immediata – spiega Giuseppe Navarra, President Sicob – ERAS è l’acronimo che a livello globale identifica questo nuovo approccio”. Secondo Giuseppe Maria Marinari responsabile Unità Operativa Chirurgia Bariatrica all’IRCCS Humanitas di Milano “l’adozione di questi protocolli rende la chirurgia più gentile e mette i pazienti al centro, restituendoli in tempi brevi e in buone condizioni alla loro quotidianità. Si può parlare senza timore di umanizzazione delle cure. Non è da dimenticare che anche i manager ospedalieri sono soddisfatti: questi protocolli aumentano la sostenibilità della chirurgia, permettendo in pratica di curare più persone con le stesse risorse in termini di letti di degenza. Per ottenere questi risultati è necessario lavorare su quattro fronti: creazione di un team efficiente ed efficace (fondamentale la collaborazione con anestesisti e infermieri), grande attenzione alla preparazione preoperatoria al fine di ridurre il rischio di complicanze, convinzione nell’abbandonare alcune tradizioni trasmesseci dai nostri maestri, seguire il paziente anche dopo la dimissione”.

Nella fase preoperatoria è centrale il counseling, fase in cui il paziente viene istruito su tutte le tappe del suo percorso, così da abbatterne l’ansia e aumentare la sua consapevolezza. Per quanto riguarda l’intervento vengono scelti approcci mini-invasivi, tramite chirurgia laparoscopica e robotica, quindi senza tagli ma solo con lievissime incisioni. Fondamentale è il ruolo dell’anestesista che seguirà protocolli anestesiologici che limitano al minimo l’uso di oppiacei, riducendo il rischio di nausea, dolore e vomito post-operatorio.

“Se vengono adottati tali accorgimenti, la fase postoperatoria risulta meno impattante e di conseguenza il paziente può lasciare l’ospedale prima – conclude Navarra -. Il risveglio è quasi immediato al termine dell’intervento, il paziente è in grado di lasciare il letto, sorseggiare liquidi e riprendere una minima alimentazione già dopo qualche ora e può tornare a casa nell’arco di 48 ore anziché dopo 4-5 giorni tipici della gestione classica. Tranne in casi particolari non si usano più sondini, drenaggi e cateteri. La dimissione comunque avviene solo dopo una visita scrupolosa e la compilazione di una specifica e minuziosa check list. Riduzione di degenza da 5 a 2 giorni significa anche risparmio di risorse da una parte, ma soprattutto posti letto disponibili per altri pazienti ed interventi”.

Cosa può fare il bisturi per l’obesità

Ovviamente, come si vede sono diverse le opportunità che si possono perseguire in base ai risultati che si desidera ottenere. Quindi, ricordando che le opzioni sono diverse, proviamo a dare un quadro molto generico. Esistono diversi tipi di intervento che si basano essenzialmente su due principi: quello “restrittivo” ovvero ridurre la capacità dello stomaco di ricevere cibo, e quello malassorbitivo ovvero indurre una modifica nell’assorbimento di quanto il paziente mangia. Gli interventi attualmente più praticati sono il bendaggio gastrico e la Sleeve Gastrectomy che appartengono al primo gruppo ed il Bypass gastrico che possiede entrambe le caratteristiche. Come detto, poi, il chirurgo specialista può proporre le alternative più indicate caso per caso.

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